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9 motivi che oggi allontanano la gente dalla Chiesa

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Stokkete | Shutterstock

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 07/04/18

Li spiega un parroco tedesco che dopo trent'anni ha deciso di non fare più il parroco...

«Dopo trent’anni di servizio improvvisamente ho chiuso. Chiuso con la mia attività come parroco, chiuso con il mio servizio attivo nella diocesi di Münster. Ho chiesto di essere congedato e ho abbandonato il campo che ha configurato per decenni le mie giornate, la mia vita, la mia persona».

Padre Thomas Frings è stato un parroco della città di Münster in Germania. Una volta deciso di lasciare l’incarico di sacerdote ha scritto un testo “Correzioni di rotta!”, che ha diffuso tra i suoi fedeli, e un libro “Così non posso più fare il parroco” (Ancora editrice) in cui motiva accuratamente la sua scelta.

Cioè, Padre Thomas elenca una serie di cose che non funzionano nella Chiesa tedesca, ma che possono essere estese ad ogni altra Chiesa nel mondo. Problematiche che allontanano la gente e rendono l’istituzione ecclesiastica debole e quasi aliena agli occhi di molte persone. Vediamo quali sono.

1) L’errore di sconsacrare le chiese

Il sacerdote enuncia un primo sbaglio nello sconsacrare, spesso con troppa semplicità, luoghi di culto storici e a cui una comunità, o parte di essa, si sente legata.

«Anche come segnali di orientamento e luoghi della memoria le chiese non vanno sottovalutate in città e in campagna – evidenzia Padre Thomas in “Così non posso fare più il parroco” – per esempio, sull’isola di Mull in Scozia c’è un incantevole villaggio variopinto di pescatori con tre chiese sulla banchina. La prima è stata trasformata in un ristorante fish-and-chips, nella seconda un supermercato vende pizza da asporto e carta igienica. Solo la terza continua a essere una casa di Dio, anche se chiusa dal lunedì al sabato».

«Quante chiese dovremo ancora sconsacrare – si domanda provocatoriamente il sacerdote – per arrivare al momento in cui nelle persone anche l’immagine dell’edificio chiesa si scollegherà dall’immagine della casa di Dio?».

2) Poche vocazioni, molta confusione

Secondo Padre Thomas una delle figure che subisce maggiormente sfiducia, negli ultimi decenni, è quella del seminarista. Diventare sacerdote sembra un’impresa complicata, quasi titanica. Vuoi per vincoli troppo stringenti, come celibato e promessa di obbedienza, vuoi perché non è semplice definire il proprio futuro in un contesto che si svuota di sacerdoti e di fede.

«Nel 1980 – evidenzia il prete tedesco – ho cominciato lo studio della teologia e a Münster eravamo quaranta seminaristi nello stesso semestre. Eravamo solo la metà rispetto a venticinque anni prima, ma le prospettive erano comunque buone: tre posti da cappellano per quattro anni, poi parroco. Nelle strutture esistenti la cosa era gestibile. Chi comincia a studiare teologia oggi, probabilmente non troverà più la struttura attuale e anche la nuova avrà una durata limitata».




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«Trent’anni fa – prosegue – la stima per questa vocazione era ancora molto alta. Non la si è scelta per questo, almeno non normalmente, ma la perdita di considerazione non costituisce certo una maggiore motivazione. Non siamo un’azienda, ma voi consigliereste a un giovane di entrare a far parte di un’impresa con queste prospettive, e questo per di più con il celibato e la promessa di obbedienza?».

3) Basta discussioni sterili nei consigli parrocchiali

Un altro errore che rende poco attraente la Chiesa sono le discussioni che spesso si ripetono negli organismi parrocchiali stessi.

«Che impressione avrebbe un non credente o un credente di un’altra religione se partecipasse alle discussioni di consigli parrocchiali nei quali si continuano a mercanteggiare luoghi e orari delle nostre celebrazioni? Quando si mercanteggia una mezz’ora prima o dopo, quando si tirano in ballo lavoro in giardino, trasmissione sportiva, dormire a sazietà, tempo libero, abitudini e pranzo e precisamente ben prima del significato della celebrazione della morte e risurrezione di Gesù».

Padre Thomas si chiede giustamente: «Come può scaturire da quest’ultima luce e gioia, speranza e convinzione, quando non è più importante di una colazione prolungata o di una partita di calcio fra Colonia e Bayern Monaco? Quando abbiamo dimenticato che è la forma più alta e la festa suprema della nostra fede? Finché offriamo questa festa come fosse birra acida e poniamo tutti i desideri al di sopra del contenuto, essa resterà una triste celebrazione. Infatti, a nessuno piace la birra acida».




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4) Cambiare sì, ma senza causare “gelo”

Una riflessione che il sacerdote tedesco ripete spesso nel suo libro è che oggi molti sacerdoti faticano a comprendere il contesto in cui si trovano. E il distacco con i propri fedeli aumenta.

«A volte partecipo a celebrazioni liturgiche al termine delle quali mi chiedo se vorrei ancora andare in quella chiesa – osserva Padre Thomas -. Al termine della messa mi sento veramente “congedato” nel senso letterale del termine. A volte, anche come semplice fedele, esco dalla celebrazione eucaristica e non so se devo essere più arrabbiato, più triste o addirittura sconvolto. Comunque molto raramente questo dipende dal celebrante o dall’omelia; non di rado dipende dal quadro nel suo complesso».


POPE ANGELA MARKAS

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Se per esempio si vogliono cambiare usanze e tradizioni, prima di procedere bisogna tenere presenti la sensibilità dei fedeli.

«Un nuovo confratello raccontò visibilmente commosso di aver ricevuto un amichevole avvertimento dopo la sua prima celebrazione eucaristica in parrocchia. Un uomo lo aveva avvicinato e gli aveva detto: “Padre, nella nostra parrocchia lei deve distribuire la comunione più lentamente. Noi ci prendiamo sempre molto tempo per questo”. L’avvertimento e la sua formulazione la dicevano lunga sull’atmosfera che regnava nella celebrazione eucaristica e sulla relazione esistente fra le persone nella comunità. Inoltre, quell’avvertimento cadde su un terreno pronto a riceverlo».

5) La promessa battesimale non mantenuta

«Promettiamo di educare nostro figlio nella fede». Chiunque abbia partecipato anche una sola volta a un battesimo conosce questa frase. E tanti l’hanno già personalmente pronunciata, in modo più o meno consapevole.

Oggi la crisi della fede, sopratutto nei più giovani, dipende molto dalla lontananza delle famiglie, che hanno accantonato quella promessa fatta al momento del battesimo. Lasciare il proprio figlio privo di una educazione cristiana animata da sani valori è una delle piaghe scatenata dalla laicizzazione della società. »Io mi sono trovato davanti a una coppia che era uscita dalla chiesa – lamenta Padre Thomas – e addirittura a un padrino non battezzato. La coppia motivava il suo desiderio del battesimo del figlio esclusivamente con la possibilità di avere un posto nella scuola materna e, in seguito, di frequentare una scuola gestita dalla diocesi. Non ho battezzato il bambino, ma i genitori hanno trovato un altro prete e forse egli aveva anche buone ragioni che a me erano sfuggite».




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Il sacerdote pensa ad una soluzione che potrebbe essere quella di «introdurre un catecumenato più lungo», per genitori, padrini, madrine dei battezzandi. «Sarebbe probabilmente una strada, ma potrebbe funzionare solo se tutte le parrocchie la percorressero».

6) Prima comunione? Uno show!

Sulle pecche della cerimonia della prima comunione, Padre Thomas ci va giù duro. Oggi è sempre più difficile trasmettere ai ragazzi l’importanza del primo “incontro” con il corpo di Cristo. Se poi quel giorno diventa il momento per una corsa ad agghindare il proprio figlio, allora si è messi proprio male.

«Regna ovunque una grande eccitazione. Si arieggia, si pulisce e si adorna la sala da ballo, si collocano sulle sedie o sui banchi biglietti con l’indicazione dei posti riservati, si stampa il programma con lo svolgimento della cerimonia, si dispongono bandierine lungo il viale di entrata e si adorna con bandiere la facciata della chiesa».

Poi, prosegue il prete tedesco, «arrivano loro, i piccoli ospiti, per i quali si fa tutto questo dispendio di tempo e denaro. Sono vestiti, come si addice a un antico e prestigioso Grand Hotel, con abiti e costumi di piccoli adulti».




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Alla luce di queste esperienze, Padre Thomas propone questo modello di preparazione alla comunione: in un’ora si spiega ai bambini la celebrazione eucaristica; in un’altra ora si fanno le prove della celebrazione e alla domenica c’è la celebrazione. Al termine tutti sono invitati a seguire la catechesi come preparazione successiva anziché antecedente sotto forma di ore di gruppo, pomeriggi trascorsi insieme e partecipazione all’eucaristia domenicale.

7) Aiuto e comprensione per gli sposi!

Il matrimonio può essere il momento per far ritrovare la fede agli sposi. E iniziare a vivere una nuova vita cristiana, magari dopo un periodo di “appannamento” spirituale.

Un’occasione che spesso viene “bruciata” dagli stessi sacerdoti. Perché agli sposi non viene fatto «conoscere» fino in fondo il valore di quello che si apprestano a celebrare. Per fare questo bisogna anzitutto comprendere la storia di coloro che celebreranno il sacramento.

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«Un giorno – racconta – venne da me una giovane coppia che durante gli studi aveva riscoperto la pratica della fede. Mi parlarono di questo e anche del fatto che gli altri membri delle loro famiglie potevano partecipare al matrimonio, ma non a una celebrazione eucaristica. Inoltre, per la coppia la comunione era troppo importante per lasciare che fosse data a tutti, senza che i loro invitati sapessero che farne. E tuttavia, personalmente non volevano rinunciarvi, perché faceva parte della loro vita di fede. D’altra parte, non si poteva escludere il resto della famiglia dalla partecipazione».

La soluzione fu molto semplice. «Si celebrò il matrimonio come liturgia della Parola e poi, dopo la partenza degli invitati, gli sposi si recarono a ricevere la comunione nella celebrazione eucaristica vespertina. Per loro, la conclusione perfetta della celebrazione del matrimonio. Per me, un esempio che funziona. Bisogna essere sinceri all’inizio e creativi e aperti alla fine».




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8) Capi troppo sfarzosi

Il cattivo esempi che i vertici delle istituzioni fanno in tema di sfarzo estetico, non può che tenere lontana gente dalla Chiesa. E questo accade ancora oggi.

Scrive Padre Thomas: «Prima di amministrare il sacramento della confermazione, un vescovo volle dialogare in tono amichevole e con buona intenzione con i cresimandi. Li incoraggiò a chiedergli con semplicità tutto ciò che avrebbero voluto chiedere a un vescovo. Il dialogo stentava a cominciare ed egli disse: “Io sono uno di voi. Potete chiedermi tutto”. Allora uno dei loro accompagnatori rispose: «Signor vescovo, finché lei veste in quel modo e viene in quella macchina con autista non è uno di noi».




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9) Un vero “centro-servizi” per i fedeli e non solo

«Se vedo la chiesa come qualcosa che mi sta di fronte, allora posso desiderare un servizio, esattamente come il cliente al ristorante, dove è re!», fa notare il sacerdote tedesco.

«Qui si può obiettare che nella chiesa ci si rivolge con amore alle persone e che esse non devono venire da noi come postulanti – chiosa Padre Thomas – Effettivamente questo non dovrebbe mai succedere riguardo ai sacramenti, ma fra i due estremi della richiesta e della pretesa corre una larga strada e ognuno che a suo modo la percorre è il benvenuto».

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