Quando si mise in dubbio la pratica dei pellegrinaggi durante la Riforma, l'arte venne in loro difesa
C’è qualcosa di più accattivante di un viaggio compiuto per amore? Una visita a sorpresa di ritorno a casa per le vacanze, un pretendente che giunge all’improvviso in ginocchio, Ulisse che cerca di tornare da Penelope per nove lunghi anni…
Sono immagini che catturano l’immaginazione e scaldano il cuore. Il pellegrinaggio è il viaggio per amore per eccellenza, un sacrificio di tempo, risorse e comodità.
Anche se molte religioni hanno promosso i pellegrinaggi, i cristiani hanno un proprio sigillo. Dal momento in cui Gesù ha esortato i suoi apostoli dicendo “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,19), i cristiani hanno viaggiato in tutto il mondo non solo per diffondere il Vangelo, ma anche per visitare i luoghi in cui si è sviluppata la storia della salvezza e in cui grandi santi hanno testimoniato la Verità.
Le avversità del pellegrinaggio – lunghi percorsi a piedi, pericolo delle malattie e minaccia rappresentata dai malviventi – lo rendevano una penitenza popolare, un autentico gesto di redenzione nel viaggio d’amore per Cristo.
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Durante la Riforma, tuttavia, la pratica dei pellegrinaggi venne messa in discussione da Martin Lutero, che derideva i pellegrini per le loro motivazioni.
Chi compie un pellegrinaggio ha molteplici motivi, non sempre legittimi. Il primo motivo per compiere un pellegrinaggio è il più comune di tutti, ovvero la curiosità di vedere e ascoltare cose strane e sconosciute.
Questa frivolezza deriva dall’avversione e dalla noia nei confronti dei servizi di culto, trascurati nella Chiesa particolare dei pellegrini.
La Chiesa cattolica ha sostenuto la tradizione dei pellegrinaggi nella sessione finale del Concilio di Trento, e dopo un periodo di diminuzione dei visitatori a Roma gli Anni Santi hanno iniziato a vedere le strade riempirsi nuovamente di pellegrini.
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