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San Giuseppe prefigurò il nuovo Adamo (7/9) 

Mariage de Joseph et Marie

© Nancy Bauer - shutterstock

Vetrata con un particolare del matrimonio tra Giuseppe e Maria

Joseph-Marie Verlinde - pubblicato il 21/01/21

Fondatore e priore della comunità monastica della Famiglia di San Giuseppe, padre Joseph-Marie Verline ci introduce alla grande figura di san Giuseppe, a cui papa Francesco ha consacrato un anno speciale in occasione del 150º anniversario della sua proclamazione a patrono universale della Chiesa. Secondo la Scrittura e la Tradizione, Gesù è “il Nuovo Adamo”, e questo ha portato a vedere in Maria “la nuova Eva”; la santità della coppia formata da lei con Giuseppe, tuttavia, ripara in qualche modo il male nato dalla coppia di Adamo ed Eva. 

La santità della coppia formata da Giuseppe e Maria ripara anche il male nato dalla coppia di Adamo ed Eva. È insieme, nella loro comunione di amore, che Maria e Giuseppe riflettono la perfetta immagine di Dio che attrae il Verbo eterno e lo conduce a «farsi carne e porre la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14).

Papa Paolo VI amava associare strettamente Maria e Giuseppe nel loro rispettivo ministero al servizio del Mistero dell’Incarnazione:

Ecco che sulla soglia del Nuovo Testamento, come all’ingresso dell’Antico, sta una coppia. Mentre però quella di Adamo ed Eva fu la fonte del male che è deflagrato sul mondo, quella di Giuseppe di Maria è la vetta donde la santità si diffonde su tutta la terra. Il Salvatore ha cominciato l’opera della Salvezza mediante questa unione verginale e santa in cui si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, santuario dell’amore e ricettacolo di vita.

Il prototipo della famiglia cristiana

Papa Giovanni Paolo II prolungò questa dottrina quando offrì la Santa Famiglia come modello a tutte le famiglie cristiane:

Per misterioso disegno di Dio, in essa è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa è dunque prototipo ed esempio di tutte le famiglie cristiane. E quella Famiglia, unica al mondo, che ha trascorso un’esistenza anonima e silenziosa in un piccolo borgo della Palestina; che è stata provata dalla povertà, dalla persecuzione, dall’esilio; che ha glorificato Dio in modo incomparabilmente alto e puro, non mancherà di assistere le famiglie cristiane, anzi tutte le famiglie del mondo, nella fedeltà ai loro doveri quotidiani, nel sopportare le ansie e le tribolazioni della vita, nella generosa apertura verso le necessità degli altri, nell’adempimento gioioso del piano di Dio nei loro riguardi.

Familiaris consortio86

Poiché «l’essenza ed i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall’amore» e «la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa» («Familairis Consortio», 17), e nella santa Famiglia, in questa originaria «Chiesa domestica» («Familiaris Consortio», 49; cfr. «Lumen Gentium», 11; «Apostolicam Actuositatem», 11) che tutte le famiglie cristiane debbono rispecchiarsi. In essa, infatti, «per un misterioso disegno di Dio è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa, dunque, è il prototipo e l’esempio di tutte le famiglie cristiane» («Familiaris Consortio», 85).

San Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente «ministro della salvezza» (cfr. S. Ioannis Chrysostomi, «In Matth. Hom.», V, 3: PG 57, 57s). La sua paternità si è espressa concretamente «nell’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sè, della sua vita, del suo lavoro; nell’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sè, del suo cuore e di ogni capacità nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa» («Insegnamenti di Paolo VI», IV [1966] 110).

Redemptoris custos 7-8

È in seno a una famiglia che il Figlio di Dio s’è voluto incarnare, per godere della tenerezza e dell’assistenza di una vera madre e di un vero padre, entrambi indispensabili perché il Bambino potesse «crescere in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).

Il potere di dare il nome a Gesù

Restando aderente al racconto evangelico, san Giovanni Crisostomo (344-398) parafrasò il dialogo tra il Messaggero celeste e Giuseppe, e in quella pagina si legge fra l’altro:

Tieni con te – gli disse l’Angelo – questa sposa che volevi rimandare a casa, perché è Dio stesso a dartela, non i suoi genitori. Te la dona non per l’unione carnale, ma soltanto perché resti con te; Egli la unisce a te mediante me che ti parlo. Non soltanto è pura da ogni traffico illecito, ma la sua fecondità è al di sopra delle leggi della natura. Non provare dunque alcuna tristezza per la felicissima concezione della tua sposa, ma spalanca il cuore a un’allegria grande, perché «quel che è stato generato in lei viene dallo Spirito Santo: darà alla luce un figlio a cui tu darai il nome di Gesù». Benché infatti questo bambino sia stato concepito di Spirito Santo, non credere che tu sia dispensato dal prendertene cura e dal servirlo in ogni cosa. Benché tu sia estraneo alla sua nascita e Maria resti sempre perfettamente vergine, ti conferisco riguardo a questo Bambino la qualità di padre in tutto quanto non ferirà quella della Vergine, e ti lascio il potere di dargli il nome. Sei tu che gli darai il suo nome; benché non sia tuo figlio, non ometterai di avere per lui l’affetto di un padre: è per questo che ti permetto di dargli tu stesso il nome, per essere strettissimamente vincolato a questo bambino.

Giovanni Crisostomo, Hom IV, in PG LVII, 41 (citato da mons. Villepelet in Des plus beaux textes sur Saint Joseph, edizioni del Vieux Colombier, Paris 1959, p. 27)

L’analogia fra Giuseppe e Adamo, a ben vedere, torna confermata non soltanto dalla vera unione sponsale con la Vergine – che lo conforma al Protoplasto all’interno di una coppia, secondo la lezione di Paolo VI – ma pure dal conferimento esplicito del potere di dare il nome non, come l’antico Parente, alle opere di Dio (cf. Gen 2,19), bensì al Figlio di Dio, al Verbo stesso che quelle opere, in Principio e restando nel seno del Padre, compiva.




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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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