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Sul nucleare Papa Francesco approfondisce la Tradizione, parola di storico

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AFP

Essai nucléaire sur l'atoll de Mururoa en 1971.

Agnès Pinard Legry - Giovanni Marcotullio - pubblicato il 27/11/19

Mentre si trovava in visita a Nagasaki, in Giappone, il 24 novembre scorso il Santo Padre ha fermamente denunciato la logica di una dissuasione nucleare come garanzia di pace. Non solo «è falso dire che Papa Francesco sia il primo papa a condannare la dissuasione nucleare», ma non è neppure vero che egli sia stato «il primo a criticare l’oggetto in sé – l’arma atomica – piuttosto che la guerra atomica», riassume per Aleteia lo storico e giornalista Christophe Dickès.

Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra. Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo nuove e formidabili armi di guerra? Come possiamo parlare di pace mentre giustifichiamo determinate azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio?


POPE FRANCIS

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Così ha detto Papa Francesco domenica 24 novembre durante la sua visita al Memoriale della pace di Hiroshima, una delle due città giapponesi colpite dalle bombe atomiche nel 1945. Per Christophe Dickès, storico, giornalista e autore di diverse opere (tra cui Vatican, Vérités et légendes  [Vaticano, verità e leggende], L’héritage de Benoît XVI [L’eredità di Benedetto XVI] e 12 papes qui ont bouleversé le monde [12 Papi che hanno cambiato il mondo]), «è falso dire che Papa Francesco sia il primo pontefice romano a condannare la dissuasione nucleare». L’abbiamo intervistato.

A. P.-L.: Le dichiarazioni di Papa Francesco sul nucleare costituiscono una rottura rispetto ai precedenti papi?

Ch. D.: Non esiste davvero una simile rottura. Anzi, si tratta di continuità magisteriale. Anzitutto, l’arma atomica è inevitabilmente legata alla questione della guerra. Si cita sempre il discorso di Paolo VI (1963-1978) all’Onu, il 4 settembre 1965: «Non più la guerra, non più la guerra!», ma si dimentica quello di Pio XII (1939-1958) che, nel suo radiomessaggio di Natale del 1944, esclamò «Guerra alla guerra!». Ora, negli anni ’50 fu lo stesso Pio XII ad alludere ad armi

atte a provocare « per l’intiero nostro pianeta una pericolosa catastrofe » (Acta Ap. Sedis, 1943, pag. 75), a portare il totale sterminio di ogni vita animale e vegetale e di tutte le opere umane su regioni sempre più vaste; armi capaci ormai, con isotopi artificiali radioattivi di lunga vita media, d’inquinare in modo duraturo l’atmosfera, il terreno, gli oceani stessi, anche assai lungi dalle zone direttamente colpite e contaminate dalle esplosioni nucleari. Così dinanzi agli occhi del mondo atterrito sta la previsione di distruzioni gigantesche, di estesi territori resi inabitabili e non utilizzabili per l’uomo, oltre alle conseguenze biologiche che possono prodursi, sia per mutazioni indotte in germi e microrganismi, sia per l’incerto esito che un prolungato stimolo radioattivo può avere sugli organismi maggiori, compreso l’uomo, e sulla loro discendenza. Al qual proposito non vorremmo omettere di accennare al pericolo che per le future generazioni potrebbe rappresentare l’intervento mutageno, ottenibile o forse già ottenuto coi nuovi mezzi, per deviare dal naturale sviluppo il patrimonio dei fattori ereditari dell’uomo; anche perché fra tali deviazioni probabilmente non mancano o non mancherebbero quelle mutazioni patogene, che sono la causa delle malattie trasmissibili e delle mostruosità.

Lo stesso Papa Pacelli estese la sua condanna alle guerre batteriologiche e chimiche, e nel 1955 aggiunse questo terribile monito:

Ecco pertanto lo spettacolo che si offrirebbe allo sguardo atterrito in conseguenza di tale uso: intere città, anche fra le più grandi e ricche di storia e di arte, annientate; una nera coltre di morte sulle polverizzate materie, che coprono innumerevoli vittime dalle membra bruciate, contorte, disperse, mentre altre gemono negli spasimi dell’agonia. Frattanto lo spettro della nube radioattiva impedisce ogni pietoso soccorso ai sopravvissuti e si avanza inesorabile a sopprimere le superstiti vite. Non vi sarà alcun grido di vittoria, ma soltanto l’inconsolabile pianto della umanità, che desolatamente contemplerà la catastrofe dovuta alla sua stessa follia.

Sul piano del diritto, siamo in un periodo in cui la stessa teoria della guerra giusta, che si radica nell’opera di sant’Agostino, viene rimessa in discussione. Il simbolo di questa revisione si trova nell’opera del grande giurista Alfredo Ottaviani. Infatti nell’edizione del 1936 del suo manuale di diritto ecclesiastico, il futuro cardinale riprese la teoria classica della guerra giusta. All’indomani della seconda guerra mondiale, però, rivide radicalmente la propria opinione e scrisse che non esiste più, oggi, una guerra giusta, tale da permettere a uno Stato di sferrare un attacco per tutelare i suoi diritti, e che insomma non sarà mai lecito dichiarare guerra (cf. Alfredo Ottaviani, Institutiones iuris publici ecclesiastici, I,151-155). Per lui, le tecniche belliche e le loro inusitate potenzialità distruttrici rendono quasi illegale la guerra, perfino difensiva [Ottaviani giunse a ritenere appena la liceità della guerra difensiva, N.d.T./R.].




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La condanna della guerra nucleare è ripetuta dai Padri del Concilio Vaticano II. In Gaudium et Spes essi dichiarano:

Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione.

Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti alla umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità.

Gaudium et Spes 80

Sul piano giuridico, essi ritengono che l’uso dell’arma nucleare non rispetti il principio di proporzionalità. In effetti, nella propria concezione della guerra giusta, la Chiesa difendeva l’idea che i mezzi disposti nel corso di un conflitto fossero proporzionali a quelli dell’attacco.

A. P.-L.: La Guerra Fredda avrebbe modificato questa percezione?

Ch. D.: È vero che Giovanni Paolo II sfumò le prospettive nel contesto della sua lotta contro il comunismo e per riguardo ai vincoli stretti con l’amministrazione americana. Come sottolineava il compianto Christian Malis, geopolitico, il papa polacco giudicò una dissuasione «fondata sull’equilibrio» come «moralmente accettabile» a condizione di vedervi «una tappa sulla via di un disarmo progressivo». Siamo nel 1982. Solo un anno dopo, il Papa avrebbe scritto il messaggio pubblicato per la Giornata Mondiale della Pace all’inizio del 1984:

Più degli altri, essi [i capi di Stato, N.d.R.] devono esser convinti che la guerra è in sé irrazionale, e che il principio etico del regolamento pacifico dei conflitti è la sola via degna dell’uomo. Certamente, occorre prendere in considerazione la presenza massiccia della violenza nella storia umana. È il senso della realtà al servizio della preoccupazione fondamentale della giustizia che impone il mantenimento del principio di legittima difesa in una tale storia. Ma i rischi spaventosi delle armi di distruzione massiccia devono condurre all’elaborazione di processi di cooperazione e di disarmo che rendano la guerra praticamente impensabile. Bisogna «guadagnare» la pace. A maggior ragione la coscienza dei responsabili politici deve loro interdire di lasciarsi coinvolgere in avventure pericolose, in cui la passione prevale sulla giustizia, di sacrificarvi inutilmente la vita dei propri concittadini, di attizzare i conflitti presso gli altri, di prender pretesto dalla precarietà della pace in una regione per estendere la propria egemonia in nuovi territori. Questi dirigenti devono pesare tutto ciò nella loro anima e coscienza e bandire il machiavellismo; ne renderanno conto ai loro popoli e a Dio.

Infine, egli ha confermato la condanna della corsa all’armamento, laddove gli attori internazionali cominciavano a prendere iniziative col fine di limitarla. A tal riguardo, mons. Dupuy ha raccolto i differenti interventi della Santa Sede volti a porre un termine alla proliferazione delle armi convenzionali.




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A. P.-L.: Questo sguardo s’è evoluto all’indomani della Guerra Fredda?

Ch. D.: Sì, senza alcun dubbio. All’indomani della Guerra Fredda la Santa Sede, mediante il suo osservatore permanente all’Onu, l’allora mons. Renato Raffaele Martino, condannò la dissuasione nucleare:

L’idea che la strategia di dissuasione nucleare sia essenziale alla sicurezza di una nazione è la presunzione più pericolosa che si sia trasmessa dal periodo precedente a questo nuovo periodo. Mantenere la dissuasione nucleare fino al XXI secolo impedirà la pace molto più di quanto non la favorirà… Essa è un ostacolo fondamentale all’avvento di un nuovo periodo di sicurezza globale.

Era il 25 ottobre 1993 [il testo dovette essere pronunciato in inglese o in francese, e purtroppo non ne resta traccia sul sito della Santa Sede: Aggiornamenti Sociali ne conserva invece una retroversione italiana, N.d.T.].




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Stessa musica con mons. Migliore nel 2005, qualche settimana prima del messaggio di Benedetto XVI [il primo in assoluto per Papa Ratzinger, N.d.T.] sul medesimo argomento, il 1o gennaio 2006:

Ci sono situazioni in cui il conflitto, che cova come fuoco sotto la cenere, può nuovamente divampare causando distruzioni di imprevedibile vastità. Le autorità che, invece di porre in atto quanto è in loro potere per promuovere efficacemente la pace, fomentano nei cittadini sentimenti di ostilità verso altre nazioni, si caricano di una gravissima responsabilità: mettono a repentaglio, in regioni particolarmente a rischio, i delicati equilibri raggiunti a prezzo di faticosi negoziati, contribuendo a rendere così più insicuro e nebuloso il futuro dell’umanità. Che dire poi dei governi che contano sulle armi nucleari per garantire la sicurezza dei loro Paesi? Insieme ad innumerevoli persone di buona volontà, si può affermare che tale prospettiva, oltre che essere funesta, è del tutto fallace. In una guerra nucleare non vi sarebbero, infatti, dei vincitori, ma solo delle vittime. La verità della pace richiede che tutti — sia i governi che in modo dichiarato o occulto possiedono armi nucleari, sia quelli che intendono procurarsele —, invertano congiuntamente la rotta con scelte chiare e ferme, orientandosi verso un progressivo e concordato disarmo nucleare. Le risorse in tal modo risparmiate potranno essere impiegate in progetti di sviluppo a vantaggio di tutti gli abitanti e, in primo luogo, dei più poveri.

È dunque falso dire che Papa Francesco sia il primo a condannare la dissuasione nucleare, tutt’altro. E anzi [se si ripensa al sopra ricordato messaggio Urbi et Orbi del 18 aprile 1954, N.d.T.], non è neppure vero che egli sia il primo a scagliarsi contro l’oggetto stesso – l’arma atomica – piuttosto che contro la guerra atomica. Dalla Guerra Fredda alla “Guerra Mondiale a pezzi”, per riprendere la sua espressione, il contesto e le minacce cambiano ma la dottrina sociale della Chiesa resta costante [cf. a tal proposito il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica al n. 508, N.d.R.].




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A. P.-L.: È compito di un Papa pronunciarsi sull’utilizzo dell’energia atomica?

Ch. D.: Sì, senza alcun dubbio. Da secoli, ma soprattutto dal pontificato di Leone XIII e da prima ancora, dalla caduta dello Stato Pontificio, il papato si è trasformato in una forza morale sul piano internazionale. Lo storico Gilles Ferragu ha trattato mirabilmente questo cambiamento.

Tornando alla filosofia tomista, la Santa Sede propone una casistica applicata – tra l’altro – alle relazioni internazionali. L’enciclicaLibertas præstantissimum (1888) enuncia un principio nuovo, l’idea che la moralità stia al cuore del potere:

Infatti la ragione dimostra, e la storia conferma, che le nazioni, quanto più sono morigerate, tanto più prosperano per libertà, ricchezza e potenza.

Quest’idea avrebbe ispirato la politica estera della Santa Sede che, sulla scena internazionale, da decenni si spende nel ruolo di arbitro o di mediatore nei conflitti. Più prosaicamente, si possono collocare alcuni interventi da Leone XIII a Papa Francesco nella continuità dei movimenti della Pax Dei che, nel Medio Evo, invitavano i principi a concedersi dei tempi di pace. Questi interventi rivelano del resto per gli storici l’impresa benefica della Chiesa sulla società e sui costumi.

A. P.-L.: A proposito, quale impatto possono avere tali dichiarazioni?

Ch. D.: È difficile dirlo. C’è un certo profetismo nel Papa, cosa che alcuni (s)qualificano di utopia, dal momento che la storia ci mostra che i progetti per la pace perpetua sono falliti. Nella tradizione di Kant, un uomo politico inglese rispondente al nome di Norman Angela profetizzava la fine della guerra entro il 1910. Egli sosteneva che nessuno Stato avrebbe potuto far fronte ai costi vertiginosi comportati da un conflitto. Quattro anni dopo la soglia stabilita dal teorico, invece, l’Europa sarebbe sprofondata nel vortice. E si sa che gli appelli alla pace di Benedetto XV (1914-1922) sono risuonati come grida in un deserto (di sangue). Più tardi, Pio XII ha ritenuto quella lezione agendo nel silenzio ma con efficacia. Questo a favore delle vittime ma anche, per esempio, sostenendo il famoso complotto di Stauffenberg contro Hitler.




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La politica della Santa Sede porta i suoi frutti nel profetismo pubblico – si pensi a Giovanni Paolo II nella sua lotta contro il comunismo! – ma anche nel silenzio di un’azione diplomatica. Le due cose vanno insieme, a seconda delle epoche, e solo l’avvenire ci dirà se l’appello di Papa Francesco avrà avuto effetti misurabili.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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