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Il Papa: il no all’uso e possesso di armi atomiche entri nel Catechismo

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Antoine Mekary | ALETEIA

Vatican News - pubblicato il 27/11/19

Sul volo Tokyo-Roma Francesco ribadisce il forte messaggio di Hiroshima, esprimendo dubbi anche sulle centrali nucleari fino a che non ci sarà sicurezza totale. A proposito dell’inchiesta sulle finanze dice: “Sono contento perché è la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro, non da fuori”

«L’uso delle armi nucleari è immorale, per questo deve andare nel Catechismo della Chiesa Cattolica, e non solo l’uso, anche il possesso, perché un incidente o la pazzia di qualche governante, la pazzia di uno può distruggere l’umanità». Nel dialogo sul volo che da Tokyo lo riportava a Roma Papa Francesco ha risposto a molte domande dei giornalisti al seguito, ribadendo la forte condanna pronunciata a Hiroshima per far comprendere il suo valore magisteriale. Ecco la trascrizione del colloquio a cura di Vatican News.

«Vi ringrazio per il vostro lavoro – ha detto il Papa all’inizio dell’incontro – per un viaggio intenso con un cambio di categoria: una cosa era la Thailandia e un’altra il Giappone. Non si possono valutare le cose con le stesse categorie, le realtà vanno valutare con quanto viene dalla stessa categoria. Giappone e Thailandia sono due realtà completamente diverse. Per questo ci vuole il doppio lavoro, e grazie a voi di questo, anche delle giornate molto intense, io mi sono sentito vicino a voi in questo lavoro».

Padre Makoto Yamamoto, Catholic Shimbum

La ringraziamo di cuore per essere venuto in Giappone da molto lontano. Io sono sacerdote diocesano vicino a Nagasaki. Lei ha visitato Nagasaki e Hiroshima, come si è sentito? La società e la Chiesa occidentale hanno qualcosa da imparare dalla società e dalla Chiesa orientale?

«Comincio dall’ultima. A me ha illuminato tanto un detto: lux ex Oriente, ex Occidente luxus. La luce viene dall’oriente, il lusso, il consumismo viene dall’Occidente. C’è proprio questa saggezza orientale, che non è saggezza soltanto di conoscenza, ma di tempi, di contemplazione. Alla nostra società occidentale – sempre troppo di fretta – aiuta tanto imparare la contemplazione, il fermarsi e guardare anche poeticamente le cose. Questa è un’opinione personale, ma credo che all’Occidente manchi un po’ di poesia in più. Ce ne sono di cose poetiche bellissime, ma l’Oriente va oltre. L’Oriente è capace di guardare le cose con occhi che vanno oltre, non vorrei usare la parola “trascendente” perché alcune religioni orientali non fanno cenno alla trascendenza ma ad una visione oltre il limite dell’immanenza, senza però dire trascendenza. Per questo uso espressioni come poesia, gratuità, la ricerca della propria perfezione nel digiuno, nelle penitenze, nella lettura della saggezza dei saggi orientali. Credo che a noi occidentali farà bene fermarci un po’ e dare tempo alla saggezza.

Nagasaki e Hiroshima ambedue hanno sofferto la bomba atomica, e questo le fa assomigliare. Ma c’è una differenza. Nagasaki non ha avuto solo la bomba ma anche i cristiani. Nagasaki ha radici cristiane, il cristianesimo è antico, la persecuzione dei cristiani c’era in tutto il Giappone ma in Nagasaki è stata molto forte. Il segretario della Nunziatura mi ha regalato un facsimile in legno dove c’è scritto il “wanted” di quel tempo: si cercano cristiani! Se tu trovi uno, denuncialo e tu avrai tanto, se tu trovi un sacerdote denuncialo, e avrai tanto. Questo colpisce, sono stati secoli di persecuzioni, questo è un fenomeno cristiano che in qualche modo “relativizza”, nel senso buono della parola, la bomba atomica. Invece andare a Hiroshima è soltanto per (fare memoria, ndr) della bomba atomica, perché non è una città cristiana come Nagasaki. Per questo io sono voluto andare ad ambedue, in entrambe c’è stato il disastro atomico.

Hiroshima è stata una vera catechesi umana sulla crudeltà, non ho potuto vedere il museo di Hiroshima per motivi di tempo, perché è stata una giornataccia (per i ritmi serratissimi, ndr) ma dicono che è terribile: lettere dei Capi di Stato, dei generali che spiegavano come si poteva fare un disastro più grande. Per me è stata un’esperienza molto più toccante. E lì ho ribadito che l’uso delle armi nucleari è immorale, per questo deve andare nel Catechismo della Chiesa Cattolica, e non solo l’uso, anche il possesso, perché un incidente, o la pazzia di qualche governante, la pazzia di uno può distruggere l’umanità. Pensiamo a quel detto di Einstein: “La quarta guerra mondiale sarà combattuta con bastoni e pietre”».

Shinichi Kawarada, The Asahi Shimbum

Come lei ha giustamente indicato, una pace duratura non si fa senza un disarmo. Il Giappone è un Paese che gode della protezione nucleare degli USA, ed è anche produttore di energia nucleare, cosa che comporta un grande rischio come è successo a Fukushima. Come può il Giappone contribuire alla pace mondiale? Dovrebbero essere spente le centrali nucleari?

«Torno sul possesso di industrie nucleari. Sempre può accadere un incidente, il triplice disastro (il terremoto, lo tsunami e il disastro nucleare della centrale di Fukushima nel 2011, ndr), voi l’avete sperimentato. Il nucleare è il limite, le armi lasciamole perché quella è distruzione. L’uso del nucleare è molto al limite perché ancora non abbiamo raggiunto una sicurezza totale. Tu potresti dirmi che anche con l’elettricità si può fare un disastro per una insicurezza, ma sarebbe un disastrino piccolo. Il disastro di una centrale nucleare sarà un disastro grande. E ancora non è stata elaborata la sicurezza. È un’opinione personale, io non userei l’energia nucleare finché non ci sarà una totale sicurezza sul suo utilizzo. Alcuni dicono che è un rischio per la custodia del creato e che l’energia nucleare deve fermarsi. Io mi fermo sulla sicurezza. Non c’è la sicurezza per garantire che non avvenga un disastro. Sì, uno ogni dieci anni nel mondo. Poi c’è il creato, il disastro della potenza nucleare sul creato, sulla persona. C’è stato il disastro in Ucraina (a Chernobyl, nel 1986, ndr). Dobbiamo fare ricerca sulla sicurezza sia per evitare disastri e sia per le conseguenze sull’ambiente, Sull’ambiente credo che siamo andati oltre il limite, nell’agricoltura con i pesticidi, nell’allevamento dei polli con i dottori dicono alle mamme di non dare da mangiare ai bambini quelli di allevamento perché sono allevati con gli ormoni e fanno male alla salute. Tante malattie rare che ci sono oggi per l’uso non buono dell’ambiente. La custodia dell’ambiente è una cosa che o avviene oggi o mai. Ma tornando sull’energia nucleare: costruzione, sicurezza e custodia del creato».

Elisabetta Zunica, Kyoto News

Akamada Iwao, è un condannato a morte giapponese, in attesa della revisione del processo. Era presente alla Messa al Tokyo Dome, ma non ha avuto modo di parlare con lei. Era in programma un breve incontro con lei? Il tema della pena di morte è molto discusso in Giappone. Poco prima della riforma del Catechismo su questo tema, sono state eseguite tredici condanne a morte. Nei suoi discorsi non c’è un riferimento a questo. Ha avuto modo di parlarne con il premier Shinzo Abe?

«Su quel caso della pena di morte, l’ho saputo dopo, non sapevo di quella persona. Con il primo ministro ho parlato di tanti problemi, di processi, di condanne eterne che non finiscono, sia con la morte sia senza la morte. Ma ho parlato di problemi generali, che esistono anche in altri Paesi: le carceri sovraffollate, la gente che aspetta con una prigionia preventiva senza presunzione di innocenza. Quindici giorni fa ho fatto un intervento al convegno Internazionale di Diritto Penale e ho parlato seriamente su questo tema. La pena di morte non si può fare, non è morale.

Questo va unito a una coscienza che si sviluppa. Ad esempio, alcuni Paesi non possono abolirla per problemi politici ma fanno una sospensione che è un modo di dare l’ergastolo senza dichiararlo. Ma la condanna deve essere sempre per il reinserimento, una condanna senza finestre di orizzonte non è umana. Anche per l’ergastolo si deve pensare come l’ergastolano si possa reinserire, dentro o fuori. Lei mi dirà: ma ci sono condannati per un problema di pazzia, malattia, incorreggibilità genetica… Allora bisogna cercare il modo perché facciano attività che li fanno sentire persone. In tante parti del mondo le carceri sono sovraffollate, sono depositi di carne umana, che invece di crescere con salute tante volte si corrompe. Dobbiamo lottare contro la pena di morte lentamente. Ci sono casi che a me danno gioia perché ci sono Paesi che dicono: noi ci fermiamo. Un governatore di uno Stato lo scorso anno, prima di lasciare l’incarico, ha fatto quella sospensione quasi definitiva: sono passi di una coscienza umana. Ma alcuni Paesi ancora non sono riusciti a incorporarsi in questa linea di umanità».

Jean-Marie Guénois, Le Figaro

Lei ha detto che la vera pace può essere solo disarmata, ma che cosa succede per la legittima difesa, quando un Paese è attaccato da un altro? Esiste ancora la possibilità di una guerra giusta? È ancora in progetto un’enciclica sulla non violenza?

«Un progetto, la farà il prossimo Papa… Ci sono progetti che sono nel cassetto. Uno sulla pace è lì, sta maturando. Io sento che quando è il momento lo farò. Per esempio il problema del bullismo è un problema di violenza, ne ho parlato proprio ai giovani giapponesi. È un problema che stiamo cercando di risolvere con tanti programmi educativi. È un problema di violenza. Un’enciclica sulla non violenza ancora non me la sento matura, devo pregare tanto e devo cercare la via.

C’è quel detto romano: Si vis pacem para bellum. Lì non siamo stati maturi, le organizzazioni internazionali non riescono, le Nazioni Unite non riescono, fanno tante mediazioni meritevoli, Paesi come la Norvegia sempre disposta a mediare, a me piace ma è poco, bisogna fare ancora di più. Lei pensi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, se c’è un problema con le armi e tutti sono d’accordo per risolvere quel problema per evitare un incidente bellico, tutti votano di sì, uno col diritto al veto vota no e tutto si ferma. Non so giudicare se è buono o no, è un’opinione che ho sentito, ma forse le Nazioni Unite dovrebbero fare un passo in avanti rinunciando nel Consiglio di Sicurezza al diritto al veto di alcune nazioni. Ho sentito questa come una possibilità. Nell’equilibrio mondiale ci sono argomenti che in questo momento non sono capace di giudicare. Però tutto quello che si può fare per fermare la produzione delle armi, per fermare le guerre, per favorire il negoziato, con l’aiuto dei facilitatori, questo si deve fare sempre e dà dei risultati. Per esempio nel caso di Ucraina-Russia, non si parla di armi, è stato il negoziato per lo scambio dei prigionieri, questo è positivo. Nel Donbass si pensa a una pianificazione di un regime governativo diverso, ne stanno discutendo. Questo è un passo positivo.

Una cosa brutta è l’ipocrisia “armamentista”. Paesi cristiani, paesi europei che parlano di pace e vivono delle armi, questa è ipocrisia, una parola evangelica, Gesù la diceva nel capitolo 23.mo di Matteo: bisogna finire con questa ipocrisia. Ci vuole il coraggio di dire: “Non posso parlare di pace, perché la mia economia guadagna tanto con le armi”. Sono tutte cose che senza insultare e senza sporcare quel Paese, ma parlare come fratelli, per la fratellanza umana: fermiamoci ragazzi perché la cosa è brutta. In un porto, è arrivata da un paese una nave che doveva passare le armi a un’altra nave per andare allo Yemen, e i lavoratori del porto hanno detto “no”. Sono stati bravi e la nave è tornata a casa sua. È un caso, ma ci insegna come si deve andare in questa direzione. La pace oggi è molto debole, ma non bisogna scoraggiarsi. L’ipotesi della legittima difesa rimane sempre, anche nella teologia morale va contemplata, ma come ultimo ricorso. Ultimo ricorso con le armi. La legittima difesa va fatta con la diplomazia, con le mediazioni. Ultimo ricorso: legittima difesa con le armi. Ma sottolineo: ultimo ricorso! Noi stiamo andando avanti in un progresso etico che a me piace, nel mettere in questione tutte queste cose. Questo è bello perché dice che l’umanità va avanti anche con il bene, non solo con il male».

Cristiana Caricato, TV 2000

La gente legge sui giornali che la Santa Sede ha acquistato immobili per centinaia di milioni nel cuore di Londra e rimane un po’ sconcertata da questo uso delle finanze vaticane, in particolare quando viene coinvolto anche l’Obolo di San Pietro. Lei sapeva di queste operazioni finanziarie e soprattutto, secondo lei, è corretto l’uso che viene fatto dell’Obolo? Lei spesso ha detto che non si devono fare i soldi con i soldi, ha denunciato quest’uso spregiudicato della finanza, poi però vediamo che queste operazioni coinvolgono anche la Santa Sede, e questo scandalizza. Come vede tutta questa vicenda?

«Grazie. Prima di tutto, la buona amministrazione normale: ti arriva la somma dell’Obolo di San Pietro, e che cosa faccio, la metto nel cassetto? No, questa è una cattiva amministrazione! Cerco di fare un investimento e quando ho bisogno di dare, quando ci sono le necessità, in un anno, si prendono (i soldi, ndr) e quel capitale non si svaluta, si mantiene o cresce un po’. Questa è una buona amministrazione. L’amministrazione del cassetto è cattiva. Ma si deve cercare una buona amministrazione, un buon investimento: chiaro questo? Anche un investimento come da noi si dice, “da vedove”, come fanno le vedove: due uova qui, tre qui, cinque lì. Se cade uno, c’è altro e non si rovina. E sempre sul sicuro e sempre sul morale: se tu fai un investimento dell’Obolo di San Pietro su una fabbrica di armamenti, l’Obolo non  è l’Obolo lì. Se tu fai un investimento e per anni senza toccare il capitale, non va. L’Obolo di San Pietro si deve spendere in un anno, un anno e mezzo, fino a che arrivi l’altra colletta che si fa mondialmente. E questa è buona amministrazione: sul sicuro… anche, sì, si può comprare una proprietà, affittarla e poi venderla, ma sul sicuro, con tutte le sicurezze per il bene della gente dell’Obolo. Poi è accaduto quello che è accaduto, uno scandalo: hanno fatto cose che non sembrano pulite. Ma la denuncia non è venuta da fuori. Quella riforma della metodologia economica che aveva già incominciato Benedetto XVI è andata avanti ed è stato il Revisore dei conti interno a dire: qui c’è una cosa brutta, qui c’è qualcosa che non funziona. È venuto da me e gli ho detto: lei è sicuro? Sì, mi ha risposto, mi ha fatto vedere e mi ha chiesto: cosa devo fare? E io: c’è la giustizia vaticana, vada e faccia la denuncia al Promotore di Giustizia. E in questo io sono rimasto contento perché si vede che l’amministrazione vaticana adesso ha le risorse di chiarire le cose brutte che succedono dentro, come questo caso, che se non è il caso dell’immobile di Londra – perché ancora questo non è chiaro – ma lì c’erano casi di corruzione. Il Promotore di Giustizia ha studiato la cosa, ha fatto le consultazioni e ha visto che c’era uno squilibrio nel bilancio. Poi ha chiesto a me il permesso di fare le perquisizioni: c’è una presunzione di corruzione e mi ha detto che doveva farle in questo, in quest’altro e in quest’altro ufficio. Io ho firmato l’autorizzazione. È stata fatta la perquisizione in cinque uffici e al giorno di oggi – sebbene c’è la presunzione di innocenza – ci sono i capitali che non sono amministrati bene anche con corruzione. Credo che in meno di un mese incominceranno gli interrogatori delle cinque persone che sono state bloccate perché c’erano indizi di corruzione. Lei potrà dirmi: questi cinque sono corrotti? No, la presunzione di innocenza è una garanzia, un diritto umano. Ma c’è corruzione, si vede. Con le perquisizioni si vedrà se sono colpevoli o no. È una cosa brutta, non è bello che succeda questo in Vaticano. Ma è stato chiarito dai meccanismi interni che cominciano a funzionare e che Papa Benedetto aveva cominciato a fare. Per questo io ringrazio Dio. Non ringrazio Dio perché c’è la corruzione, ma lo ringrazio perché il sistema di controllo vaticano funziona bene».

Philip Pullella, Reuters

C’è preoccupazione nelle ultime settimane per quello che sta succedendo nelle finanze del Vaticano e secondo alcuni c’è una guerra interna su chi deve controllare i soldi. La maggior parte dei membri del Consiglio di amministrazione dell’AIF si è dimessa. Egmont, che è il gruppo di queste autorità finanziarie, ha sospeso il Vaticano dalle comunicazioni sicure dopo il raid del primo ottobre (le perquisizioni dell’inchiesta, ndr). Il direttore dell’AIF è ancora sospeso, come ha detto lei e ancora non c’è un Revisore generale. Che cosa può fare o dire lei per garantire alla comunità finanziaria internazionale e ai fedeli chiamati a contribuire all’Obolo, che il Vaticano non tornerà a essere considerato un paria da tenere escluso, di cui non fidarsi, e che le riforme continueranno e che non si tornerà alle abitudini del passato?

«Il Vaticano ha fatto passi avanti nella sua amministrazione: per esempio lo IOR oggi è accettato da tutte le banche e può agire come le banche italiane, cosa che un anno fa ancora non c’era, ci sono stati dei progressi. Poi, sul gruppo Egmont: è una cosa non ufficiale internazionale, è un gruppo di appartenenti all’AIF, e il controllo internazionale non dipende dal gruppo Egmont, che è un gruppo privato anche se ha il suo peso. Monyeval farà l’ispezione programmata per i primi mesi dell’anno prossimo, la farà. Il direttore AIF è sospeso perché c’erano sospetti di non buona amministrazione. Il presidente dell’AIF si è fatto forza con il gruppo Egmont per riprendere la documentazione (sequestrata, ndr) e questo la giustizia non può farlo. Davanti a questo io fatto una consultazione con un magistrato italiano, di livello: cosa devo fare? La giustizia davanti a un’accusa di corruzione è sovrana in un Paese, nessuno può immischiarsi lì dentro, nessuno può dare le carte al gruppo Egmont, Devono essere studiate le carte che fanno emergere quella che sembra una cattiva amministrazione nel senso di un cattivo controllo: è stato l’AIF a non controllare – sembra – i delitti degli altri. Il suo dovere era controllare. Io spero che si provi che non è così, ora c’è la presunzione di innocenza. Ma per il momento il magistrato è sovrano e deve studiare come sono andate le cose perché in caso contrario un Paese avrebbe una amministrazione superiore che lederebbe la sua sovranità. Il presidente dell’AIF scadeva il 19 (novembre, ndr), io l’ho chiamato alcuni giorni prima e lui non se n’è accorto, mi ha detto in seguito. E ho annunciato che il 19 lasciava. Ho già trovato il successore, un magistrato di altissimo livello giuridico ed economico nazionale e internazionale, e al mio rientro assumerà l’incarico della presidenza dell’AIF. Sarebbe stato un controsenso che l’autorità di controllo fosse sovrana sopra lo Stato. È una cosa non facile da capire. Quello che ha un po’ disturbato è il gruppo Egmont, che è un gruppo privato: aiuta tanto ma non è l’autorità di controllo del Moneyval. Moneyval studierà i numeri, studierà le procedure, studierà come ha agito il Promotore di Giustizia e come il giudice e i giudici hanno determinato la cosa. Io so che in questi giorni incomincerà l’interrogatorio di alcuni dei cinque che sono stati sospesi. Non è facile, ma non dobbiamo essere ingenui, non dobbiamo essere schiavi. Qualcuno mi ha detto, ma io non credo: con questo fatto che abbiamo toccato il gruppo Egmont, la gente si spaventa e si sta facendo un po’ di terrorismo (psicologico, ndr). Lasciamo da parte questo. Noi andiamo avanti con la legge, con il Moneyval, con il nuovo presidente dell’AIF. E il direttore è sospeso: magari fosse innocente, io vorrei perché è una cosa bella che una persona sia innocente e non colpevole, lo spero. Ma è stato fatto un po’ di rumore con questo gruppo che non volevano che si toccassero le carte che appartenevano al gruppo.

È la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro, non da fuori. Da fuori tante volte (lo è stata, ndr). Ci hanno detto tante volte e noi con tanta vergogna… Ma Papa Benedetto è stato saggio, ha cominciato un processo che è maturato, maturato e adesso ci sono le istituzioni. Che il Revisore abbia avuto il coraggio di fare una denuncia scritta contro cinque persone, sta funzionando… Davvero, non voglio offendere il gruppo Egmont perché fa tanto bene, aiuta, ma in questo caso la sovranità dello Stato è la giustizia, che è più sovrana del potere esecutivo. Non è facile da capire ma vi chiedo di capirlo».

Roland Juchem, CIC

Santo Padre, sul volo da Bangkok a Tokyo ha mandato un telegramma a Carrie Lam di Hong Kong. Che cosa pensa della situazione lì, con le manifestazioni e con le elezioni comunali? E quando potremo accompagnarla a Pechino?

«I telegrammi si mandano a tutti i Capi di Stato, è una cosa automatica di saluto ed è anche un modo cortese di chiedere permesso di sorvolare il loro territorio. Questo non ha un significato né di condanna né di appoggio. È una cosa meccanica che tutti gli aerei fanno quando tecnicamente entrano, avvisano che stanno entrando, e noi lo facciamo con cortesia. Questo non ha alcun valore nel senso della sua domanda, ha soltanto un valore di cortesia. Per l’altra cosa che lei mi dice: se ci pensiamo, poi, non è soltanto Hong Kong. Pensi al Cile, pensi alla Francia, la democratica Francia: un anno di gilet gialli. Pensi al Nicaragua, pensi ad altri Paesi latinoamericani che hanno problemi del genere e anche a qualche Paese europeo. È una cosa generale. Che cosa fa la Santa Sede con questo? Chiama al dialogo, alla pace, ma non è solo Hong Kong, ci sono varie situazioni con problemi che io in questo momento non sono capace di valutare. Io rispetto la pace e chiedo la pace per tutti questi Paesi che hanno dei problemi, anche la Spagna. Conviene relativizzare le cose e chiamare al dialogo, alla pace, perché si risolvano i problemi. E infine: mi piacerebbe andare a Pechino, io amo la Cina».

Valentina Alazraki, Televisa

Papa Francesco, l’America Latina è in fiamme. Abbiamo visto dopo il Venezuela e Cile immagini che non pensavamo di vedere dopo Pinochet. Abbiamo visto la situazione in Bolivia, Nicaragua o altri Paesi: rivolte, violenza nelle strade, morti, feriti, chiese anche bruciate, violate. Quale è la sua analisi su quello che sta succedendo in questi Paesi? La Chiesa e lei personalmente come Papa latinoamericano state facendo qualcosa?

«Qualcuno mi ha detto questo: si deve fare un’analisi. La situazione oggi nell’America Latina assomiglia a quella del 1974-1980, in Cile, Argentina, Uruguay, Brasile, Paraguay con Strössner, e credo anche Bolivia… avevano l’operazione Condor in quel momento… Una situazione in fiamme, ma non so se è un problema che assomiglia o è un altro, Davvero io in questo momento non sono capace di fare l’analisi di questo.

È vero che ci sono dichiarazioni precisamente non di pace. Ciò che accade in Cile a me spaventa, perché il Cile sta uscendo da un problema di abusi che ha fatto soffrire tanto e adesso un problema del genere che non capiamo bene. Ma è in fiamme come lei dice e si deve cercare il dialogo e anche l’analisi. Ancora io non ho trovato un’analisi ben fatta sulla situazione in America Latina e anche ci sono governi deboli, molto deboli, che non sono riusciti a mettere ordine e pace, e per questo si arriva a questa situazione».

Valentina Alazraki, Televisa

Evo Morales ha chiesto la sua mediazione per esempio. Cose concrete…

«Sì, cose concrete. Il Venezuela ha chiesto la mediazione e la Santa Sede sempre è stata disposta. C’è un buon rapporto, davvero un buon rapporto, siamo lì presenti per aiutare quando è necessario. La Bolivia ha fatto qualcosa del genere, ha fatto una richiesta alle Nazioni Unite che hanno inviato dei delegati, e anche qualcuno di qualche nazione europea. Il Cile non so se ha fatto qualche domanda di mediazione internazionale, il Brasile certamente no, ma anche lì ci sono dei problemi. È una cosa un po’ strana, ma non vorrei dire una parola di più perché sono incompetente e non ho studiato bene e sinceramente non capisco bene.

Approfitto della sua domanda per aggiungere che avete parlato poco della Thailandia, che è un’altra cosa differente dal Giappone, una cultura della trascendenza, una cultura anche della bellezza diversa dalla bellezza del Giappone: una cultura, tanta povertà e tante ricchezze spirituali. Ma anche c’è un problema che fa male al cuore che ci fa pensare a “Grecia e le altre”, lei è una maestra in questo problema dello sfruttamento, lei lo ha studiato bene, e il suo libro ha fatto tanto bene. E la Thailandia, alcuni posti della Thailandia sono difficili per questo. Ma c’è la Thailandia del sud, e anche c’è la bella Thailandia del nord, dove non sono potuto andare, che è tribale e ha tutta un’altra cultura. Ho ricevuto una ventina di persone di quella zona, cristiani primi, primi battezzati, che sono venuti a Roma, con un’altra cultura diversa, quelle culture tribali. E Bangkok, abbiamo visto, è una città forte, modernissima, ma ha dei problemi diversi da quelli del Giappone e ha ricchezze diverse da quelle del Giappone. Sul problema dello sfruttamento ho voluto sottolinearlo per ringraziare lei per il suo libro, come anche vorrei ringraziare il libro “verde” di Franca Giansoldati: due donne che vengono sull’aereo che hanno fatto un libro ognuno dei quali tocca dei problemi di oggi, il problema ecologico e il problema della distruzione della madre terra, dell’ambiente, e il problema dello sfruttamento umano che lei ha toccato. Si vede che le donne lavorano più degli uomini e sono capaci. Grazie a voi, ambedue per questo contributo. E ancora non dimentico la camicia di Rocio (il riferimento è alla camicia di una donna messicana assassinata che Valentina Alazraki aveva donato al Papa durante un’intervista video nei mesi scorsi, ndr). E grazie per fare delle domande dirette, questo fa bene. Pregate per me. Buon pranzo».

(Trascrizione non ufficiale, testo raccolto da Alessandro Guarasci e Andrea Tornielli)

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SU VATICAN NEWS

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