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La scienza scopre gli effetti benefici della fede

PRAYING

Shutterstock-Halfpoint

Annalisa Teggi - pubblicato il 22/02/19

La religiosità, la preghiera, le buone azioni favoriscono l'equilibrio psicofisico e la neuroscienza si affaccia a esplorarne i riscontri studiando quel misterioso gioiello che è il cervello umano.

Sarebbe tempo di mandare definitivamente nel dimenticatoio il ritornello sulla religione come oppio dei popoli. Spesso i credenti vengono additati come persone suggestionabili e perciò poco aggrappate al reale. Un articolo del numero di marzo della rivista BenEssere, la salute con l’anima ci offre la possibilità di approfondire uno sguardo scientifico sugli effetti psicofisici della fede, ne deriva una consapevolezza davvero entusiasmante. Ne è autore il giornalista scientifico Piero Bianucci, il quale precisa fin da subito che non si tratta desumerne un riscontro utilitaristico “se credi in Dio, non avrai problemi di salute”; piuttosto è interessante constatare quali risultati abbiano dato le prove sperimentali della neuroscienza per evidenziare come il nostro cervello viva la presenza di un’esperienza religiosa.




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Risonanze spirituali

L’articolo trae prevalentemente spunto dal libro Psicoterapia di Dio dello psichiatra francese Boris Cyrulnik, in cui emerge innanzitutto che, con un semplice esame non invasivo di risonanza magnetica, si è appreso che la preghiera e altre esperienze emotive legate alla fede attivano una particolare zona del cervello: i lobi prefrontali connessi con il sistema limbico, ovvero la zona dei ricordi e delle emozioni forti (molto stimolata nell’infanzia). Dunque:

L’esame dei circuiti cerebrali non rivela l’esistenza di un’area di Dio o della religiosità, ma dimostra che un ambiente affettivo strutturato dalla fede religiosa si imprime biologicamente nel nostro cervello e facilita il ritrovamento di un sentimento di estasi o di trascendenza acquisito nell’infanzia.

Tutto ciò ha un risvolto consolante. E’ come se dentro di noi ci fosse una cassa del tesoro pronta ad aprirsi quando ce n’è bisogno. La preghiera serale da bambini, andare al rosario con la nonna o a messa coi genitori non sono momenti passeggeri che con l’adolescenza e la maturità sfumano nel nulla. Anche quando i nostri figli faranno spallucce al nostro invito a Dio, o gli volteranno le spalle con decisione, possiamo star certi che il bene che hanno sentito da piccoli condividendo con noi un gesto di fede rimarrà impresso nel cervello … e sarà pronto a sbocciare non appena il figliol prodigo sentirà il bisogno di tornare a casa.

Canta che ti passa

Non c’è stereotipo più sbagliato della noia della ripetizione. Chi conosce la bellezza e la gioia che si ricava dal dire il rosario sente di essere come il contadino che zappa la terra: ogni colpo sembra uguale all’altro, ma è solo attraverso la costanza della ripetizione che il campo si semina.




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Anche la neuroscienza si è accorta del valore non solo rassicurante, ma pure incoraggiante dei rituali:

Il cuore della preghiera e delle formule sacre dissolve la sofferenza legata all’isolamento: cantando non sono più solo. Gli oggetti simbolizzano la possibilità di accedere a Colui che tutti protegge, gli atti di fede suscitano un sentimento di appartenenza, il senso di fraternità guarisce dall’angoscia.
FAMILY
Rawpixel.com - Shutterstock

La relazione è il motore umano più importante, e lo è nel momento in cui la compagnia si fa carne. Se i social networks ci danno l’impressione di stare insieme e riempirci di condivisioni in cui ciascuno sfoga le proprie opinioni, la messa è il gesto rivoluzionare di essere un coro: riconoscersi uguali nei limiti e nei bisogni, gioiosi nell’avere parole di gratitudine e lode che vanno bene per tutti e sono vere per ciascuno.

Sorella longevità, fratello benessere

Un ultimo elemento sorprendente che emerge dall’articolo di Piero Bianucci ci catapulta nel mondo dalla clausura. Tante storie di persone comuni ci raccontano, in questi anni e perciò non lontano nel tempo, la scelta controcorrente di lasciare la “libertà” del mondo per chiudersi in convento, scegliere la vita monastica o comunque attraversare la porta di un convento. Queste testimonianze traboccano di gioia, confermano la percezione di non essersi allontanati dal mondo ma semmai di essere più presenti dentro il mondo … pur standone, apparentemente, al margine.




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Anche gli scienziati ora hanno una risposta per questo entusiasmo di vita, che a quanto pare produce effetti fisici e psichici clamorosi:

Un gruppo di ricercatori si è incuriosito scoprendo che l’aspettativa di vita delle suore è particolarmente elevata, mentre risulta assai più bassa la frequenza della malattia di Alzheimer. I ricercatori hanno dovuto concludere che era proprio l’ambiente conventuale, strutturato sulla fede e sui rituali che ne scandiscono la pratica, a favorire una maggiore speranza di vita e a mantenere in efficienza il cervello delle suore.
PRAYER FOR LIFE,NEW YORK CITY,ROE V WADE
Jeffrey Bruno

Che dire? E’ bello sapere che questi soldati del bene, al nostro fianco nelle battaglie quotidiane, abbiano scorte di perseveranza, entusiasmo e forza per sostenere anche i nostri cedimenti.

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