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Siamo figli di un falegname, la bellezza del lavoro possiamo viverla davvero

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Fraternità San Carlo Borromeo - pubblicato il 30/11/18

Gli dèi pagani erano esseri pensanti, ma il nostro Dio è diverso: la bellezza del mondo l'ha fatta con le sue mani. Così noi non siamo soli nella fatica, ma costantemente aiutati dai santi, dagli angeli e da Dio.

Di Michael Konrad

Durante l’estate sono stato a Vienna. I nostri preti abitano una parte di un vecchio monastero, dove pregano assieme nella cappella laterale di una chiesa barocca. Rimango sempre colpito quando guardo la porta che conduce alla sagrestia, una porta molto elaborata, decorata a intarsio. Non mi stupiscono tanto gli affreschi meravigliosi, dipinti da grandi artisti, quanto questa porticina che ha una funzione del tutto quotidiana. La sua bellezza rivela una concezione del lavoro e una dedizione che per me hanno dell’incredibile.


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Spesso nella nostra vita fuggiamo il lavoro come fosse un peso alienante. Rischiamo di vivere quasi esclusivamente per i fine settimana e per le vacanze. L’arte del lavoro sembra essere quella di ridurre la fatica al minimo indispensabile per raggiungere un certo scopo. Abbiamo, in fondo, una concezione del lavoro molto simile a quella dei pagani dell’antichità i quali erano convinti che il lavoro, soprattutto quello manuale, fosse degradante. Essi pensavano che solo un’occupazione intellettuale, artistica o politica, potesse arricchire la vita di un uomo. Facevano dipendere la dignità di un uomo dal tipo di attività che svolgeva, a seconda che fosse un lavoro umile o un lavoro intellettuale. Per loro, i poeti hanno una vita divina, i contadini, invece, una vita bestiale. La radice ultima di quest’idea stava nell’immagine che gli antichi avevano degli dèi: esseri pensanti o esseri che si divertivano facendo festa. E gli uomini volevano ovviamente imitare la vita dei loro dèi.


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Il nostro Dio è però del tutto diverso. Nelle prime righe della Sacra Scrittura ci viene rivelato come Dio abbia creato il mondo, lavorando per sei giorni e riposando il settimo. I Vangeli ci raccontano la vita di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio. Durante il periodo più lungo della sua vita, Egli non aveva un mestiere “intellettuale”, ma lavorava come carpentiere. Ciò non diminuì in nessun modo la sua dignità divina. Essa non dipendeva infatti dal tipo di lavoro che svolgeva, ma dal fatto che lo svolgeva nell’amore e nell’obbedienza al Padre.

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Parte importante della conversione dei cristiani è sempre stata quella di scoprire il vero significato del lavoro. In quest’avventura san Benedetto da Norcia ha avuto un posto del tutto particolare, fondando la sua comunità di monaci sul motto “ora et labora”, “prega e lavora”. Egli prevedeva che il ritmo della giornata fosse scandito dalla preghiera, dalla meditazione della Scrittura e dal lavoro. Tutti questi momenti avevano lo stesso scopo: la possibilità che il monaco venisse educato ad immedesimarsi con Gesù. È tale scopo che determina il peso di ogni momento della giornata, indicando nel contempo anche i suoi confini.

Col tempo, i monasteri che seguivano la regola di san Benedetto sono diventati dei luoghi di una tale bellezza che tutti coloro che avevano modo di frequentarli si sentivano attratti e cambiati nel cuore. In essi, tutto doveva essere bello: la preghiera sobria, l’architettura essenziale, la natura coltivata. Perché tutto ciò che facevano i monaci doveva essere bello? Perché tale bellezza era il segno della coscienza che i monaci avevano di fronte a Dio. Essi curavano anche i gesti più umili fino ai più reconditi dettagli poiché mossi da un grande amore. Eseguivano lavori che forse nessun uomo potrà mai vedere – come le statue sui tetti delle cattedrali medievali – con la consapevolezza di vivere di fronte a Dio e agli angeli. Il giardiniere e il cuoco godevano della stessa dignità dell’artista, perché con il loro lavoro rendevano gloria a Dio, non a se stessi. Nessuno firmava le sue opere.




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Impegnandosi così a fondo in ogni cosa, i monaci non hanno solo prodotto degli oggetti meravigliosi, ma essi stessi sono cresciuti come persone. Sono diventati uomini veri, crescendo nella santità. Le frequenti feste in onore di Dio e dei santi accendevano il desiderio di raggiungere il Paradiso, richiamando il senso ultimo della vita. Nel contempo promettevano un aiuto potente. Il monaco non era mai solo nella sua fatica, ma costantemente aiutato dai suoi fratelli, dai santi, dagli angeli e da Dio.
Tutto ciò mi viene in mente guardando la porta della cappella di Vienna e si accende in me il desiderio di trovare un modo nuovo di lavorare, un modo davvero cristiano, un modo che conduca alla bellezza.

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