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Non rifiutare la tua debolezza e lì che incontri Gesù Cristo

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Don Antonello Iapicca - pubblicato il 17/10/18

Accetta ogni giorno la precarietà nell'attesa, colma di speranza, del suo aiuto, della sua misericordia, del suo amore capace di fare del fallimento più cocente un successo strepitoso.

E’ vero, ammettiamolo: siamo sempre alla ricerca di chi possa darci ragione, di chi, al nostro passare, si sbracci nei saluti. Desideriamo essere riconosciuti, stimati, apprezzati. Il sindacato del nostro Io lavora ventiquattro ore su ventiquattro. E quanti scioperi e manifestazioni se restiamo senza il “meritato” e “giusto” salario affettivo.

Quante mogli la sera guardano in cagnesco i propri mariti appena rientrati in grave ritardo. E quanti mariti si chiudono in un abbraccio con il TG pur di non spiccicare una parola. Quanti pesi caricati sulle spalle di chi ci è vicino, moralismi e leggi che vorremmo poter compiere ma che, sperimentandone l’impossibilità, intristiti nella frustrazione, esigiamo veder compiuti dagli altri. “Guai a voi!” grida oggi il Signore a ciascuno di noi; guai, perché cerchiamo male il bene che ci spetta, cerchiamo nella carne e nel mondo, cisterne screpolate, quello che proprio non possono darci. Cerchiamo sicurezze che diano sostanza alla nostra esistenza, leggi e regole che garantiscano stabilità agli affetti, alla famiglia, all’amicizia, all’amore.




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Stendiamo una rete di ideali e di sogni, scriviamo e riscriviamo la Costituzione della nostra vita, elemosinando a quattro regolette il segreto della felicità e di una vita senza problemi. Cerchiamo di dare il paradiso alla nostra vita e lo riduciamo a qualcosa di grigio ed insapore intrappolato tra codici e regolamenti che la carne e la sua debolezza smentiscono in ogni istante. Fuggiamo la precarietà terrorizzati, e facciamo della nostra vita una caricatura, ed un sepolcro imbiancato. Come i farisei e i dottori della Legge che hanno fatto della Scrittura e della Tradizione una corazza opprimente e umiliante, che, invece di difendere dal peccato, ha finito per sbarrare la strada all’amore e alla misericordia.

Per sfuggire alla debolezza, la Legge ha reso superfluo l’amore paziente di Dio pronto ad aiutare, a perdonare, a ricreare. Così per le nostre vite. Per sfuggire la precarietà spirituale ancor prima di quella economica o fisica, stabiliamo una ragnatela di regole e di principi ideali con i quali crediamo di assicurarci giornate tranquille, famiglie più o meno normali. E non ci rendiamo conto che, rifiutando la debolezza e la precarietà che ci costituiscono, lasciamo fuori dalla nostra vita Colui che, solo, può riscattarci dai fallimenti che, inevitabili, feriscono le nostre storie. “Perché spendete per ciò che non è pane”? Venite a me dice il Signore, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Perché il Suo giogo d’amore, la sua croce che schiude le porte al Paradiso, è per noi sempre, anche e soprattutto quando di nulla siamo meritevoli. Il suo amore colora e dà sapore alle nostre vite, liberandole dal carcere grigio e frustrante di leggi incompiute, di desideri inappagati, di ideali spezzati. Il suo amore compie ogni legge, perché ogni Legge trova compimento nel suo amore. Accettare ogni giorno la precarietà nell’attesa, colma di speranza, del suo aiuto, della sua misericordia, del suo amore capace di fare del fallimento più cocente un successo strepitoso.




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