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Nel lago d’Orta, viveva un drago. E a sconfiggerlo fu san Giulio!

ŚWIĘTY JULIAN

Pompeo Batoni/Wikipedia | Domena publiczna

Lucia Graziano - pubblicato il 29/01/23

Da questa antichissima leggenda prende il nome l’Isola di San Giulio, che s’affaccia sul lago d’Orta a circa 400 metri dalla costa. All’interno dell’isola, si trovano oggi una basilica, un monastero di clausura… e persino un gigantesco osso vertebrale, che la tradizione locale attribuisce al drago coraggiosamente ucciso dal santo!

Altro che mostro di Loch Ness! In tempi remoti, anche l’Italia poté vantare il suo personale drago lacustre. Viveva nel lago d’Orta, un delizioso specchio d’acqua incuneato tra le Prealpi piemontesi, e seminava morte e distruzione tra la gente del luogo. E, stando a quanto narra la leggenda, a uccidere il drago fu niente meno che un santo. La storia comincia a farsi interessante: non è vero?

La leggenda del prode san Giulio e del minaccioso drago del lago d’Orta

Stiamo parlando di san Giulio, che (non a caso) ha dato il suo nome a uno dei borghi che s’affacciano sul lago: Orta San Giulio, per l’appunto. Stando a quanto racconta la leggenda, il santo era un religioso greco, originario dell’isola di Egina, che alla metà del IV secolo decise di lasciare la sua terra natia per annunciare il Vangelo nel Nord Italia, in quel territorio alpino fatto di ripide vette e vallate isolate in cui la Parola di Dio non era ancora riuscita a penetrare. Giulio si mise in cammino in compagnia di suo fratello Giuliano, animato dal suo stesso zelo apostolico: col beneplacito dell’imperatore Teodosio, i due missionari sostavano per qualche tempo in un villaggio, ne catechizzavano gli abitanti, ordinavano loro di abbattere gli idoli pagani e avviavano i lavori di costruzione per un luogo di culto che potesse ospitare la neonata comunità cristiana. I due fratelli s’erano prefissi di evangelizzare cento villaggi e costruire cento chiese prima di stabilirsi in un monastero per godersi il meritato riposo: e destino volle che la  loro missione avesse a concludersi sul lago d’Orta, uno specchio d’acqua che oggi separa la provincia di Novara dal Verbano-Cusio-Ossola.

(FOTOGALLERY) Il monastero dell’isola di San Giulio

A quel punto, i due missionari erano arrivati a quota novantotto chiese. Decisero di separarsi per ottimizzare il tempo a loro disposizione: san Giuliano evangelizzò il paesello di Gozzano (dove infatti ancor oggi riposano le sue spoglie) e san Giulio si fece carico di annunciare il Vangelo agli abitanti di Orta. Fra l’altro, aveva individuato un posto che, a suo giudizio, sarebbe stato perfetto per edificare la centesima e ultima chiesa di quel progetto missionario: proprio davanti al borgo di Orta, nel mezzo del lago, a circa 400 metri dalla costa, si ergeva un grazioso isolotto disabitato che avrebbe facilmente potuto accogliere una chiesa, un eremo e qualche casetta per gli ospiti. Il posto perfetto in cui trascorrere la vecchiaia dedicandosi a una vita di contemplazione, pensò san Giulio, cominciando ad approntare nella sua mente un progetto architettonico di tutto rispetto.

Ma il suo entusiasmo si scontrò con lo shock della popolazione autoctona. Quando san Giulio espresse il desiderio di costruire una chiesa sull’isolotto e domandò di poter essere accompagnato per fare un primo sopralluogo, i borghigiani gli rivolsero lo sguardo orripilato che normalmente si riserverebbe a un pazzo: spiegarono che nelle acque del lago viveva un drago aggressivo, che uccideva qualsiasi malcapitato gli capitasse a tiro. I barcaioli avevano dovuto abbandonare le loro attività e nessuno osava andare a pesca in quelle acque: l’idea di costruire una chiesa su quell’isoletta era una semplice follia suicida!

Ma i santi – si sa – non sono gente che si spaventa facilmente. Fissando a occhi socchiusi l’isoletta, san Giulio stese il suo mantello sulle sponde del lago e invocò l’aiuto del Signore. Ed ecco: miracolosamente, il mantello divenne rigido e cominciò a galleggiare a pelo d’acqua, trasformandosi in una piccola barchetta. Fu proprio grazie a quella celeste imbarcazione che san Giulio poté raggiungere l’isolotto: e, una volta raggiunta la sua meta, cominciò a chiamare il drago a gran voce. Non dovette aspettare molto prima di ottenere l’attenzione del mostro: la superficie dell’acqua si increspò, facendo emergere dalle profondità un terribile serpente lacustre che aprì le sue fauci, già pronto a inghiottire quell’imprudente barcaiolo.

Ma il serpente (è storia nota!) non aveva fatto i conti con la potenza del Vangelo. A differenza del suo “collega” san Giorgio, Giulio non ebbe neppure bisogno di impugnare una lancia: si limitò a brandire in direzione del drago il crocifisso che portava al collo, invocando l’intervento divino. Sotto gli occhi attoniti degli abitanti di Orta (che seguivano la scena di lontano, assiepati sulla spiaggia del paese), il drago lacustre lanciò un ruggito straziante e poi fu trascinato verso il basso, inghiottito per sempre dalle viscere della terra. Non lo si vide più, e nessuno ebbe più motivo di temere le acque limpide del lago: il dragonslayer evangelizzatore ebbe modo di costruire la sua chiesa e di stabilirsi sull’isolotto che ancor oggi porta il suo nome. È l’Isola di San Giulio, un lembo di terra di circa 650 mq che oggi ospita una basilica intitolata al santo, nonché un monastero di monache benedettine. 

Ma perché tutti questi santi ammazzadraghi?

Verrebbe da chiedersi per quale ragione gli agiografi medievali avessero una tale simpatia per il topos del santo che uccide un drago. La risposta a questa domanda potrebbe includere due considerazioni: in primo luogo, ovviamente, il drago è il simbolo del male che viene combattuto e sconfitto. Il fatto che i draghi dell’agiografia medievale fossero prevalentemente mostri lacustri è certamente legato a un versetto dell’Apocalisse (20, 10) che recita: «e il diavolo fu gettato in uno stagno di fuoco e di zolfo, dove si trovano anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli». Certo: i laghi nostrani non sono infuocati, ma l’immagine parve comunque suggestiva; e così, nel mito, si cominciò a fantasticare di demoniaci serpenti che vivevano sotto il pelo dell’acqua.

Ma c’è di più. L’immagine del drago lacustre combattuto e sconfitto dall’uomo si sposava molto bene con esperienze di vita vissuta che erano all’ordine del giorno, per gli uomini dell’XI secolo (proprio quello in cui cominciavano a diffondersi queste agiografie di santi dragonslayer!). In quell’epoca, molte zone d’Europa avevano registrato un boom demografico che aveva costretto la popolazione a fondare nuovi centri abitati, sottraendo alla natura territori selvaggi e incolti. In questo processo, furono bonificati molte paludi e molti acquitrini (fra l’altro, allontanando così il pericolo di malaria: che effettivamente mieteva vittime, forse anche più di un drago). Simbolicamente, la sconfitta del drago e la messa in sicurezza della popolazione potrebbe essere un richiamo ai lavori di bonifica e di inurbamento che, in quegli anni, avevano trasformato il volto d’Europa.

L’Isola di San Giulio: un gioiellino da scoprire

In ogni caso: chi volesse visitare l’isoletta di san Giulio avrebbe la non comune chance di ammirare coi suoi occhi una delle vertebre del drago che fu sconfitto dal santo. Il reperto esiste per davvero: è un gigantesco osso vertebrale, lungo quasi un metro, che ancor oggi è in esposizione nella sacrestia della basilica locale. A quanto pare, fu ritrovato nell’anno 1600 in una piccola fenditura sull’isola, a pelo d’acqua; naturalmente, all’epoca tutti pensarono al drago leggendario di cui narravano le cronache e ne fecero omaggio alla chiesa. Oggigiorno, si ipotizza che il reperto possa essere appartenuto a un qualche tetrapode ormai estinto, forse vissuto nel Pleistocene: un fossile di dinosauro, insomma. Che però ancor oggi è custodito tra le mura della chiesa, come sorridente omaggio alla leggenda.

I più curiosi avranno modo di verificare personalmente questa storia: la festa di san Giulio ricorre il 31 gennaio, data in cui il comune di Orta organizza eventi particolari per tutti i fedeli e i pellegrini. I festeggiamenti inizieranno alle ore 16:30 di lunedì 30 gennaio, con la recita dei primi vespri e l’apertura della cripta della basilica, con omaggio al santo. Martedì, alle 10:30, il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, presiederà una concelebrazione eucaristica; alle 14:45, l’intera isoletta sarà attraversata da una processione con le reliquie del santo. In occasione della festa di san Giulio, come da tradizione, verranno eccezionalmente aperte le porte del monastero di clausura in cui vivono le suore benedettine, che distribuiranno ai visitatori il caratteristico “pane di san Giulio”, un lievitato dolce tipico della zona.

Tuttavia, bisognerebbe anche dire che il momento migliore per visitare l’Isola di San Giulio è probabilmente la primavera-estate, quando il tepore della bella stagione permette di godere appieno dell’ambiente lacustre. In omaggio alla leggenda di san Giulio, il comune di Orta organizza ogni anno delle attività per bambini e famiglie durante le quali i piccoletti vengono invitati a pattugliare il lago e l’isolotto alla ricerca di eventuali draghi di ritorno (si sa mai: la prudenza non è mai troppa). A tempo debito, il programma per l’estate 2023 sarà caricato sul sito Lago dei draghi. E, diciamolo: non capita tutti i giorni di poter proporre ai propri figli dei giochi che sembrano usciti da un romanzo fantasy e invece traggono linfa dall’agiografia! 

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san giuliosanti e beati
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