Abbiamo ricevuto in Redazione la mail di un lettore che ci chiedeva riscontro circa un articolo recentemente pubblicato su Avvenire, a doppia firma Capuzzi-Moia, sulla “conferma della via cristiana” relativamente a “Chiesa e persone omosessuali”.
Le perplessità di un lettore
Il lettore segnala in particolare due passaggi che hanno sollevato in lui alcune perplessità:
- Il più noto dei racconti è la distruzione di Sodoma (Gn 19,1-29) su cui però l’ultimo lavoro della Pontificia Commissione Biblica rovescia completamente l’interpretazione tradizionale. Il peccato di Sodoma non sarebbe l’omosessualità ma la mancanza di ospitalità verso lo straniero bisognoso ed indifeso.
- Non mancano però studiosi biblici che hanno colto in alcuni racconti biblici (l’amicizia tra Gionata e Davide, quella di Saul e Davide) un’implicita approvazione dei rapporti omosessuali.
Egli conclude esprimendo nel dettaglio i termini del proprio sconcerto:
Queste citazioni e le conseguenti risposte […] mi fanno venire i brividi… Come mai proprio ora vengono messe in discussione evidenze antiche 2000 e più anni? Mi aiutate per favore (non solo me ma anche tantissimi amici e fedeli che come me sono in confusione) attraverso il contributo di uno studioso che faccia assoluta chiarezza?
Poche risposte telegrafiche
Al candido lettore (come si usava scrivere una volta) vorremmo anzitutto offrire, come possiamo, alcune risposte telegrafiche:
- “Come mai proprio ora?” Perché l’omosessualismo è un movimento (sub)culturale tipico del nostro evo, e «la cosiddetta “cultura gay”» (così se ne parla nei documenti magisteriali) è la materializzazione recentissima (risalente a non più di cinquant’anni fa) di una presenza costante ma marginale, nella storia (e soprattutto negli ambienti clericali), che vive in questi decenni una fase revanscista non priva di risvolti violenti (si pensi alle sfacciate pretese sull’utero in affitto).
- “Evidenze antiche”? Su questo punto il discorso va esteso non agli ultimi decenni, ma agli ultimi secoli: dalla distinzione tra morali autonome e morali religiose, di stampo kantiano, alla dissoluzione stessa dell’idea di morale operata da quelli che Ricœur chiamò “i maestri del sospetto”. La questione omosessualista sorge recentemente, dunque, perché fino a pochissimo tempo fa la cultura occidentale non avrebbe neppure saputo porre le sue domande – e molto meno si sarebbe data le risposte che oggi si pretende fossero già in testi di tremila anni fa. Quella dell’antica Grecia – che tanto a Sparta quanto ad Atene incoraggiava la pratica omoerotica tra adulti e giovanissimi – è una questione che
- si pone al crocevia tra rito iniziatico ed efebofilia (dunque una fattispecie diversa da quella del moderno “amore gay”, pure non estraneo a derive pedofile);
- già in epoca tardo-antica fu considerata una parentesi chiusa e di cui tenere viva la memoria solo per non riaprirne mai la prassi.
- “Il contributo di uno studioso”? Ecco, questo è più difficile: per le ragioni che abbiamo appena accennato e che tenteremo di esporre più nel dettaglio proseguendo nell’articolo, la materia non costituisce (e non può costituire) campo d’indagine di specialisti. Gli stessi giornalisti i cui articoli hanno turbato il nostro lettore (e non solo lui, a quanto ci è dato vedere) parlano fumosamente di “studiosi biblici” e di “alcuni racconti” (perfino Davide e Saul, questa sì che è una notizia!)… e non esibiscono nei rispettivi CV alcun serio studio in campo esegetico. Cercheremo di mostrare come e perché la cosa non possa che stare in questi termini.
Sodoma, l’ospitalità e il vivere “come stranieri”
Ciò detto, e dopo aver sorriso dell’ingenuo refrain “ma dal Vaticano II in poi”, bisogna pure ribadire con nettezza una cosa: il fatto che fin da subito (già da 2Pt 2 e Gd 7) il nome della biblica città di Sodoma abbia offerto il conio allo stigma “sodomia/sodomita/sodomitico” non toglie che fin dall’antichità i cristiani abbiano ravvisato nella “colpa dei sodomiti” il duplice peccato di impurità sessuale contro natura e di sottomissione violenta dello straniero. Il dettaglio (Gen 19,7) di Lot che tenta di placare i concittadini appellandosi al valore dell’ospitalità (che egli era l’unico a tutelare, in città – e difatti la città sarebbe stata distrutta) e offrendo loro (Gen 19,8) le sue “due figlie vergini” come diversivo (non gradite non in quanto donne – obiezione che Lot avrebbe potuto prevedere – ma precisamente in quanto non-forestiere) è sempre bastato ad avvertire gli esegeti. Addirittura nella replica i Sodomiti ricordano allo stesso Lot che egli stesso era “בָּֽא־לָגוּר֙” [ba-lagûr], un venuto-a-vivere, un immigrato non nativo di Sodoma e dunque a rischio di ricevere il medesimo trattamento degli altri stranieri (Gen 19,9). I LXX traducono con l’espressione “εἷς ἦλθες παροικεῖν” [eisèlthes paroikein], cioè usano lo stesso verbo che qualche secolo più tardi Pietro avrebbe adoperato nel secondo capitolo della sua prima Lettera:
Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all’anima. La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio.
1Pt 2,11-12
Certo che il peccato di Sodoma è sia contro la natura dell’uomo sia contro la società umana: difatti Pietro avrebbe esortato i cristiani a non assecondare la carnalità nemica dell’anima bensì a “vivere come stranieri e pellegrini”. Che poi all’epoca di Pier Damiani si parlasse più di omoerotismo che di accoglienza dello straniero si deve al semplice contesto prossimo di quegli autori medievali, i quali avevano a che fare molto più con disordini collegati all’omofilia nei monasteri e nelle curie che non con forti flussi migratori da gestire.