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16 ottobre 1978: la voce della speranza sulla cattedra di Pietro

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16 octobre 1978: Jean Paul II apparaît au balcon de la bas. Saint Pierre le jour de son élection en présence du card. Angelo FELICI (à d.), Rome, Vatican. Octobre 16, 1978: John Paul II appears to the balcony of Saint Peter bas., Rome, Vatican.

Mons. Eric de Moulins-Beaufort - pubblicato il 16/10/18

Il novello arcivescovo di Reims, presidente della commissione dottrinale della Conferenza Episcopale Francese, rende omaggio a san Giovanni Paolo II, il Grande, in occasione del quarantesimo anniversario dell’elezione del cardinal Karol Wojtyła alla sede petrina. «È stato qualificato di “magno” perché in lui l’umanità si è trovata grande».

Giovanni Paolo II fu una voce. Una voce bella, profonda e il cui accento polacco dava ad alcune parole in italiano o in francese – e senza dubbio in altre lingue, ma non posso giudicarlo – delle sonorità particolari che attiravano l’attenzione: «Uomo», «Gesù Cristo», «Non abbiate paura». Una voce sicura, posata, che ha fatto rialzare la testa a molti cattolici, anche tra i più sonnolenti, e a molti che cattolici non erano, a uomini e donne che vi hanno inteso una speranza rinnovata.

Una statura e una parola

Egli fu pure una figura statuaria, che i fotografi e i tecnici video hanno amato mostrare in ogni sorta di situazione e in tutti i contesti umani o naturali in tutto il mondo. Una statura solida, armoniosa, compiuta, che la talare bianca contribuiva ad esaltare. Egli fu poi una parola, fino alla fine, ricca, piena di senso, sovente complessa, che s’indirizzava al cuore attraverso l’intelligenza; una parola nutrita di letture, di meditazioni, di preghiera, di silenzio e anche di uno sforzo di scrittura versato in diversi generi: accademico, omiletico, dottrinale, poetico o teatrale. All’improvviso, il mondo ha inteso parlare di Gesù Cristo ed ha percepito che non si trattava di una parola del passato, destinata a spegnersi poco a poco. Esso ha per questa parola lo riguardava, che comportava alcune delle sue sfide più pressanti, che meritava ascolto anche se era difficile e talvolta rude nella sua esigenza.


SAINT JOHN PAUL THE GREAT

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Giovani Paolo II fu anche un corpo piegato – ferito, malato. Il suo coraggio muto impressionava. È stato criticato anch’esso come ogni cosa di questo mondo, ma si è pure imposto. Il suo frutto più mirabile fu senza dubbio raccolto durante il viaggio in Terra Santa, durante il grande giubileo dell’anno 2000, dove l’estrema fragilità del Romano Pontefice ha toccato nel profondo la fibra del popolo d’Israele, confermando e suggellando un vincolo che nel corso degli anni si era cercato a tastoni. Quel coraggio ha sostenuto tante e tante persone anziane, malate, doloranti, dipendenti, che vedevano nel Papa di Roma un incoraggiamento fraterno nei loro sforzi per vivere malgrado tutto, e conservando in sé il gusto della vita.

Segnato dalle prove

In questo Papa giovane, lungamente giovane, abbiamo inteso una voce che aveva attraversato secoli, tanto egli portava in sé la storia della sua nazione e il dramma di molte altre; tanto pure egli era stato toccato, come i suoi compatrioti coetanei, sul limitare di gioventù dalle grandi tragedie del XX secolo, apprendendo così ad attraversarle attingendo alla millenaria eredità della tradizione cattolica e della tradizione europea. Quelli che l’avevano incontrato in occasione del Concilio Vaticano II l’avevano constatato: egli proveniva da quelle prove, accentuate in lui dalla morte della madre, del fratello, del padre, con un’unità interiore sbalorditiva e un senso della profondità dell’uomo – di ogni uomo – altrettanto sconvolgente.

Un uomo libero

In lui abbiamo contemplato un uomo libero. Non uno di quegli orgogliosi che si affrancano dalle leggi e dalle regole del vivere sociale; che rovesciano le convenzioni e si reinventano come se non provenissero da parte alcuna. Egli si sapeva liberato da un altro, si sapeva amato da un altro, si sapeva in debito riguardo a molto, si sapeva fratello di tutti, anche dei più lontani, anche di quelli che avrebbero potuto – o che hanno potuto – fargli del male, e a questo acconsentiva con tutto il suo essere. In lui, quelli che l’hanno guardato hanno visto che l’essere umano non è prigioniero delle scelte politiche, che pure pesano fortemente sulla sua vita concreta; che l’essere umano è fatto per scegliere e che egli può esercitarsi a scegliere il bene e anche il meglio, pazientemente, coraggiosamente, con determinazione.




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Mediante lui, tanti si sono saputi accolti, malgrado tutto quello che si sarebbe potuto interporre tra loro e lui. La sua parola è stata esigente, il suo insegnamento non ha menato il can per l’aia quando si trattava del bene e del male. Egli seguiva un solo maestro, quello che dà la vita perché i peccatori, al di là del loro peccato, possano ricevere il perdono e la vita.

Egli ha riaperto le ricchezze della fede

Ai cattolici, forse ai cristiani in generale, egli ha donato il gusto di guardare Cristo, di portare luce su di lui per comprendere il loro destino e viverlo nella sua densità. Per loro egli ha riaperto, in un linguaggio nuovo, le ricchezze della fede: le sue grandi encicliche sul Redentore dell’uomo, sul Padre Ricco in misericordia, sullo Spirito che È il Signore e dà la vita, hanno reso il dogma trinitario e quelli della salvezza saporosi, illuminanti; egli ha saputo mostrare come quei grandi misteri possono ampliare le prospettive delle nostre vite limitate e dare loro un’intensità inattesa. Le sue catechesi sulla coniugalità hanno messo tra le mani di chi voglia ben intenderle e lavorarci su materiale con cui amare la propria condizione sessuata e impegnarsi nell’avventura della castità compresa come l’eccellenza delle relazioni che passano attraverso il corpo – sia nel matrimonio sia nel celibato.




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Mano a mano che passa il tempo, ci si accorge che egli non riformò la Curia tanto quanto essa ne avrebbe avuto bisogno, e che alcuni comportamenti miserabili, dovuti più alle debolezze della società italiana che alle luci della fede e della carità, avevano potuto prosperare senza che egli li notasse. Peggio ancora, si è dovuto constatare che egli aveva accordato grande fiducia a uomini che conducevano una doppia vita senza percepire le loro menzogne. Ma è difficile sospettare le insidie del male, quando si ha cuore semplice e unificato. Non tutti i suoi collaboratori sono stati all’altezza a colui che si riteneva dovessero aiutare; è il triste destino di chi ha grandi responsabilità.

Grande per il suo essere interiore

L’anniversario della sua elezione dovrebbe raddoppiare la voglia di rileggere o di leggere i suoi grandi testi. Egli è stato qualificato di “grande” perché in lui l’umanità si è trovata grande. Egli non fu grande per delle conquiste né per lo sfruttamento di altri né per i disordini che avrebbe suscitato, ma per le belle fattezze della sua anima, del suo essere interiore, lungo i suoi anni di adolescente e di giovane adulto, pure segnati da tragedie, e per la sua fedeltà quotidiana ai doni che aveva ricevuto e di cui non dimenticava il prezzo.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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