Perché l’anima non è un’isola ma una sposa, in grado di portare in sè tutto il mondo, tutti i fratelli. Come ha fatto S. Teresa di Lisieux, vera patrona delle Missioni e come ci insegna Papa Francesco
Queste affermazioni ci hanno piacevolmente colpito in quanto è originale ed audace il loro accostamento a un’operetta ascetica che era cominciata, ricordandolo come primo punto al religioso che deve raggiungere la perfezione, che “anche se il mondo sprofondasse, non vi faccia caso e non ci pensi, se vuole mantenere la quiete dell’anima; ricordi la moglie di Lot, che diventò duro sasso per essersi voltata alle grida disperate di coloro che stavano morendo” (n° 2). Parole che, se intese in maniera letteralistica e decontestualizzata, non renderebbero conto della profondità e dei fecondi risvolti del pensiero di S. Giovanni della Croce. Ne cogliamo invece appieno il valore soltanto se le commisuriamo con il resto della sua opera, e specialmente con quello stupendo inno cosmico che è l’Orazione dell’anima innamorata:
Miei sono i cieli e mia la terra, miei sono gli uomini, i giusti sono miei e miei i peccatori. Gli angeli sono miei e la Madre di Dio, tutte le cose sono mie. Lo stesso Dio è mio e per me, poiché Cristo è mio e tutto per me [2].
Solo allora comprendiamo come Francesco colga il cuore pulsante dei consigli dati da S. Giovanni della Croce: l’innamoramento di Cristo e di tutto quanto è Suo. Solo allora il mondo non sarà più visto come oggetto da conquistare o da fuggire (il che è lo stesso), ma come soggetto da servire; solo allora l’anima non sarà più vista come isola, ma come sposa che deve portare in sè tutta l’umanità a Lui.
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…che riposa solo in Dio
Ed è quest’innamoramento verace che irrimediabilmente si perde, argomenta Francesco, se si dissociano i due gemiti dell’anima e del mondo, se si separa la propria ricerca di Dio dalla ricerca altrui, la propria salvezza dalla salvezza della propria comunità, la propria spiritualità dalla propria fecondità apostolica: il risultato è l’inevitabile ripiegamento su se stessi, è che
troviamo sacerdoti, consacrati e consacrate, tristi. La tristezza spirituale è una malattia. Tristi perché non sanno… Tristi perché non trovano l’amore, perché non sono innamorati: innamorati del Signore. Hanno lasciato da parte una vita di matrimonio, di famiglia, e hanno voluto seguire il Signore. Ma adesso sembra che si siano stancati… E scende la tristezza.
E alle suore:
Per favore, siate madri! Siate madri, perché voi siete icona della Chiesa e della Madonna. E ogni persona che vi vede, possa vedere la mamma Chiesa e la mamma Maria. Non dimenticate questo. E la mamma Chiesa non è “zitellona”. La mamma Chiesa non chiacchiera: ama, serve, fa crescere. La vostra vicinanza è essere madre: icona della Chiesa e icona della Madonna.

Come antidoto a questa isterilente tristezza, non troviamo allora niente di meglio che riportare un altro recente discorso del Papa, in cui stavolta è ricorso non a S. Giovanni della Croce ma a quella che è riconosciuta essere come la sua più eminente discepola e attualizzatrice [3], S. Teresa di Gesù Bambino, colei che fu monaca di clausura e che ora è patrona universale delle missioni. Si tratta dell’Udienza Generale dello scorso 5 settembre, incentrata su come intendere rettamente la custodia del santo riposo richiesta dal terzo comandamento:
Quando diventa bella la vita? Quando si inizia a pensare bene di essa, qualunque sia la nostra storia. Quando si fa strada il dono di un dubbio: quello che tutto sia grazia[4], e quel santo pensiero sgretola il muro interiore dell’insoddisfazione inaugurando il riposo autentico. La vita diventa bella quando si apre il cuore alla Provvidenza e si scopre vero quello che dice il Salmo: «Solo in Dio riposa l’anima mia» (62,2). È bella, questa frase del Salmo: «Solo in Dio riposa l’anima mia».
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Così, ci insegnano i maestri citati dal Santo Padre, scopriamo che fra l”anima che anela a Dio del Salmo 63 e l’anima che riposa in Dio del Salmo 62, fra la santa inquietudine e l’autentico riposo, fra il desiderio per Dio e gemito per il prossimo, fra la mistica e il servizio, fra il “tutto” e la “grazia”, non c’è opposizione, ma compenetrazione.
Ed è questo uno dei segreti più cari al Carmelo.
(…)
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