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Pedopornografia: 5 anni di carcere per monsignor Carlo Alberto Capella

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 23/06/18

Dura condanna del Tribunale Vaticano che gli commina anche una multa di 10mila euro

L’ex diplomatico vaticano, monsignor Carlo Alberto Capella, è stato condannato a 5 anni di reclusione e 5mila euro di multa, per detenzione, cessione e trasmissione di materiale pedopornografico.

Lo ha deciso il Tribunale Vaticano. Il Promotore di Giustizia aveva chiesto per l’ecclesiastico 5 anni e 9 mesi di reclusione e 10mila euro di multa (Ansa.it, 23 giugno).

La motivazione della condanna

Nel dispositivo della sentenza, letto dal Presiedente del Tribunale vaticano Giuseppe Dalla Torre, dopo circa un’ora di Camera di Consiglio, monsignor Carlo Albero Capella è stato riconosciuto “colpevole” del reato di “divulgazione, trasmissione, offerta e detenzione” di materiale pedopornografico.




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“Continuazione del reato”

Ai 5 anni e 5mila euro di multa si arriva partendo dal fatto che è stata comminata una pena base di 4 anni di reclusione e 4mila euro di multa, aumentata dalla “continuazione del reato e bilanciata dalle circostanze attenuanti generiche” concesse in virtù del “contegno processuale dell’imputato”.

E’ stata anche decisa la confisca del materiale sequestrato e Capella è stato condannato anche al rifacimento delle spese processuali.




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La denuncia del Dipartimento di Stato

Capella lavorava per il servizio diplomatico del Vaticano dal 2004 e fino allo scorso agosto era impiegato all’ambasciata vaticana di Washington come funzionario della Nunziatura Apostolica.

La prima segnalazione su Capella era arrivata dal dipartimento di Stato americano, che aveva chiesto il ritiro dell’immunità diplomatica di Capella per poterlo perseguire negli Stati Uniti. Il Vaticano si era rifiutato e aveva trasferito Capella in Italia, dove il Tribunale del Vaticano aveva emesso un mandato di cattura nei suoi confronti.




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“Attività illecita di ingente quantità”

Durante il processo è emerso che le immagini pedopornografiche scaricate da Capella erano state archiviate in un cloud online e consultate più volte. Il Tribunale ha spiegato che non si è trattato di “una captazione accidentale e fortuita di materiale, ma l’indice di una attività illecita di ingente quantità” (Il Post, 23 giugno).

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