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Ci vuole un “piano Marshall” per far tornare i cristiani in Iraq

Destruction made by ISIS of the Christian villages in the Nineveh Plains

Trip to Iraq 2016 December 18 destroyed by ISIS religious items put on the altar at the Saint George Church (Syriac-Catholic) visit to Bartella together with Abp Yohanna Petros Mouche (Syriac-Catholic Archbishop opf Mossul) and fr. Majeed Hazem M.

Lucandrea Massaro - Aleteia Italia - pubblicato il 28/09/17

Una conferenza organizzata da Aiuto alla Chiesa che Soffre tenta di stimolare la comunità internazionale ad aiutare la rinascita

Che la situazione dei cristiani in Medio Oriente non sia facile lo sanno tutti ormai, anche i sassi. Il luogo forse peggiore dove essere cristiano, forse dove vivere in assoluto ora, è la Siria, stritolata in una morsa di sangue e odio e potenze internazionali. Ma era così – e forse tornerà ad esserlo – anche l’Iraq post guerra, quello in cui nel 2014, irrompeva l’Isis conquistando Mosul. Oggi le truppe irachene e curde hanno fatto il miracolo, si può parlare di ricostruzione. Perché di questo oggi si è parlato in una conferenza internazionale voluta fortemente dalla Fondazione Aid Church in Need (ACN), nella sua versione italiana Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ha convocato patriarchi e ambasciatori presso la Santa Sede per spiegare che ora è il momento dell’investimento, di ricostruire, di dare stabilità alla Piana di Ninive e di farlo adesso.

ninive old map
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A parlare – in pratica la benedizione del Papa all’operazione – il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. L’obbiettivo è ambizioso: 250 milioni di dollari per ricostruire case, strade, servizi e un tessuto produttivo minimo per ridare ad una delle più antiche comunità cristiane del mondo una casa nuova, perché ora lì sono tutte macerie. In questi anni ACN, dal 2011 al 20 settembre di quest’anno, ha raccolto per l’Iraq più di 34 milioni di euro, poco meno di 40 milioni di dollari. Uno sforzo enorme che fino a qui è servito per l’emergenza, per i bisogni essenziali, per una popolazione che quando è fuggita ha dovuto lasciare tutto: casa, lavoro, vestiti. Durante la conferenza sono chiari: il privato solidale può arrivare fino ad un certo punto, poi o interviene la comunità internazionale oppure nulla può cambiare e quando nulla cambia, tutto peggiora.




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Un tempo nella Piana di Ninive c’erano quasi 20 mila famiglie cristiane presenti, quelli che sono tornati ora sono una piccola minoranza, il 17% del totale. Tanti vorrebbero tornare, ben il 41% ha questo desiderio, di sconfiggere la paura e ricostruire. Per ridare una possibilità alla regione – di nuovo sul filo dopo il referendum nel Kurdistan iracheno che ha provocato l’ira di Baghdad – è necessario l’intervento della comunità internazionale, i primi ad essere interessati al successo della vicenda dovremmo essere noi europei: “La realizzazione del progetto avrà un impatto positivo su tre fronti”, commentano Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente Presidente e Direttore di ACS-Italia. “Anzitutto maggiore libertà religiosa, perché non si possono alimentare dibattiti su libertà di rango inferiore quando viene calpestato questo diritto fondamentale; poi contrasto al terrorismo, perché alla prevenzione e alla repressione deve accompagnarsi anche il prosciugamento del brodo di coltura del radicalismo islamico, obiettivo favorito dall’auspicato ritorno della pacifica comunità cristiana nella Piana di Ninive; infine riduzione della pressione migratoria, perché i cristiani iracheni desiderano vivere in patria, non diventare coattivamente migranti”.




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Finora il paese che ha materialmente più aiutato le comunità cristiane della regione è l’Ungheria che ha donato 4 milioni di euro equamente divisi tra la comunità siro-cattolica e quella caldea. A ricordarlo è il Patriarca caldeo Louis Sako che ha ribadito come gli aiuti non dovrebbero neppure essere per “gruppi” in quanto “ogni uomo che ha bisogno è mio fratello”, ma comunque ha lodato e ringraziato il governo di Budapest. Il tema è quello di trovare “un modus vivendi per stare insieme”, il referendum è un macigno che complica tutto anche perché una parte della Piana è sotto il controllo dei militari fedeli a Baghdad, l’altra sotto l’amministrazione curdo-irachena. Se la situazione precipitasse cosa accadrebbe?

Gregory Turpin Zakho
Dr / Fraternité en Irak
Dans les rues de Zakho, avec une famille qui a fui la plaine de Ninive pour se réfugier ici

E’ ora che USA ed Unione Europea facciano la loro parte adesso, ai cittadini il compito di premere verso i parlamenti, ai credenti quello di pregare per la pace in tutto il Medio Oriente.

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