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«Sto per andare in cielo, vi aiuterò da lì»

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Paola Belletti - pubblicato il 16/06/17

Le ultime parole di Gloria Trevisan alla sua mamma, prima di morire nel rogo della Grenfell Tower, sono di speranza: trovarsi pronti a morire anche così giovani è una vera grazia

Quant’è  bella Gloria Trevisan! Una ragazza bellissima e normale, a vedersi e a leggere quello che circola sulla loro storia. Anche Marco, il suo fidanzato, è bello. Sembra contento. Sono lì, con le loro belle facce fresche, postate sui  profili social personali e ora anche sui siti dei grandi giornali.

Compaiono ancora nell’elenco dei dispersi, ma non ci sono motivi, dice l’avvocato della famiglia, per credere che siano ancora vivi.  (I resti di entrambi sono stati identificati, prima quelli di Gloria il 23 giugno 2017 e il 7 luglio anche quelli di Marco, che giaceva vicino a lei. Aggiornato il 10 luglio 2017 )

Sì è toccato anche ai genitori di Marco, al papà in particolare: anche loro si sono salutati così, sapendo che la morte sarebbe arrivata di lì a poco; anche loro dunque hanno avuto questa terribile grazia di potere accompagnare il figlio fino all’orlo estremo della vita. Come i genitori di Gloria sì, che hanno potuto farlo perché lei li ha chiamati, a tarda sera non appena i due giovani si erano accorti che era successo qualcosa ai piani inferiori del condominio alto 27 piani e vecchiotto dove alloggiavano.

Ora che sono mamma da più di 13 anni anche io ho scoperto dove stanno le corde che fremono, vibrano, si tirano senza spezzarsi e nemmeno sfilacciarsi mai che ci legano ai figli e alle loro vite. Per sempre. Gloria, senza mamma, sarebbe diventata orfana; la sua mamma e il suo papà, senza di lei, saranno per sempre la sua mamma e il suo papà. Questa tragica specificazione è diventata la loro sostanza.

Come avranno vissuto le ore, i minuti, tra una telefonata e l’altra?

Sono colpita dal loro coraggio. Dal loro essere rimasti lì, al loro straziante posto, facendosi forza l’uno con l’altra e continuando a sperare. Vicini il più possibile alla figlia. La vicinanza possibile aveva in mezzo metà continente e un lungo, freddo braccio di mare. Parecchi “se”, diversi metri di “mi dispiace” e “ci mancherai però vai e sii felice”. “Ti sosterremo da qui”.

Sono sollevata dal vedere raccontati questi sentimenti, dal sapere di  queste prove affrontate con le forze eroiche e normali a disposizione di questi genitori. Avranno dato fondo a tutte le loro riserve? Dove si attinge in questi casi? Al midollo? Alle viscere? Al cuore, che come organo vitale avrà subito chissà quale shock eppure ha retto?

Ma questo sciocco esperimento di tv verità in differita non ha senso, se non come tentativo di immedesimazione. E anche quella, alle volte, può diventare invadenza. Perdonatemi.

Penso solo alle cose belle che ha detto Gloria a sua madre. Le poche, le uniche cose da dire. Grazie. Vado. Muoio, ma vado a vivere. Vi aiuterò dal cielo.

Chissà quale fede aveva questa ragazza.  Chissà come sarà stato solerte il suo Angelo custode, in quei momenti, e quanto l’avrà consolata. Chissà la sorpresa quando lo avrà visto in volto. Come scrive Eugenio Corti ne Il Cavallo Rosso: Stefano muore e mentre muore, tutto si rovescia e lui lo vede. Vede, magnifico, il suo angelo.

Se Gloria ha detto «vado in Cielo» in un momento così, tragico, definitivo, con quella presenza di spirito che mi pare di avere intuito io personalmente sono portata  a crederle. A credere che sapesse quel che diceva.




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Non è la frase che troviamo nei commenti Facebook alternata all’acronimo R.I.P., al “sorridici da lassù”.  Non è l’augurio a volte infantile e stucchevole che troviamo buttato là, come una moneta nel cappello del mendicante, lasciata cadere in fretta per potersene subito fuggire via. Lontano dal dolore e dalla morte: tornata assurda per noi, popolo stanco reso immemore di Cristo e della sua Redenzione. No. Se lo ha detto in quel momento, sapeva quel che diceva.

E come, bambini, sappiamo nascere: competenti e sicuri ci giriamo per far passare le spalle pieghiamo la testa per uscire dal canale del parto, ci spingiamo anche noi fuori, verso la luce; così, allo stesso misterioso modo, tutti, uomini e donne, una volta nati e vissuti, poco o tanto, sappiamo, o dovremmo saper morire.  Che grazia ha avuto Gloria, se ha potuto rendersi conto e prepararsi al momento più importante della sua vita!

L’ora della sua morte si stava avvicinando e lei ha saputo, voluto rendersene conto; insieme con il suo fidanzato lì vicino che, fino a che ne è stato capace, ha rassicurato lei, sé stesso e i futuri suoceri. Il fumo di un incendio è una cosa spaventosa.

È successo anche a mio marito, me e la nostra primoconcepita (era in corso la mia prima gravidanza). Svegliarsi in piena notte con le urla di un vicino che lancia l’allarme (Dio lo benedica sempre); alzarsi, correre, respirare a fatica, tossire, lacrimare, non vedere i muri, guadagnare le scale annaspando con mani e piedi, pensando solo a tornare all’aria pulita e fresca, col cuore che picchia in testa…. E il nostro era una cosa da nulla, al confronto.

(Per questo è un’usanza ignobile e vigliacca, anche se coerente col carpe diem tristo dei nostri tempi, non dire alla persona malata gravemente che gli resta poco da vivere. Mentire, fingere che stia per guarire. E come potrebbe prepararsi? Come potrebbe raccogliersi e decidere che cosa lasciare detto, che cosa consegnare al ricordo di chi la ama, che cosa dire al Dio del quale forse ha soltanto sospettato l’esistenza e l’amore?)

Ora e allora. Occorre essere pronti, vigili, presenti a sé stessi.

L’Ave Maria li cuce insieme in un punto solo, nunc et in hora mortis nostrae. Perché tanto si assomigliano. Gloria era nel suo ora e di presente in presente, col fumo soffocante che ha riempito il loro appartamento, il suo ora è diventato quell’ora.

Quella della sua personale morte. La famiglia Gottardi afferma che fino a che non sarà dimostrato il contrario continueranno a sperare che il loro ragazzo sia vivo. E anche lei. Certo, occorre sperare. Mi auguro che possano riabbracciarli o che, almeno, possano accoglierne le spoglie. I corpi spogliati della vita. Non avere nemmeno il corpo del figlio morto, se davvero i loro nomi passeranno dalla colonna  dei dispersi a quella di vittime, è una grande pena che si aggiunge alla pena. Alla Madonna, che è l’Addolorata, il corpo è stato dato. Spero possano assomigliarLe in questo.

Intuisco di lontano il dolore, la disperazione, di questi genitori. Il loro vano impeto, il loro voler accusare, ora, un paese intero, che è pieno di colpe, che è vigliacco, che schiaccia e scaccia i giovani, mortifica  famiglie, mamme, padri, bambini.

Lo capisco! La loro meraviglia, la loro ragazza bellissima e intelligente e volenterosa, era là, lontana da loro, dopo una laurea, piena di vita e progetti. Era là per poter lavorare degnamente e guadagnare i soldi che si dovrebbero pretendere anche qua, accidenti! Che rabbia, davvero. Dovranno però arrendersi, e spero presto, al fatto che quella seppure evidente ingiustizia sociale che mortifica i giovani e in essi un paese intero e il suo futuro, non basta a spiegare la fine della vita di Gloria.

Spero che loro stessi siano cresciuti e abbiano educato Gloria nella certezza, non scontata, del Cielo, nella sicurezza che si nasce per vivere, certo, per stare nella gioia, nella serenità, nella soddisfazione di costruire qualcosa di bello e soprattutto per amare ed essere amati; ma si nasce anche per morire e si muore per vivere per sempre.




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Spero che possano ricordarsi, ora che sembrerà tutto inutile e negato, tutto strappato via dagli occhi e dal petto, che la felicità esiste e se con la grazia di Dio entreremo nel Suo Regno là sapremo che nessun incendio la ridurrà in fumo. Nessun fumo ci toglierà il respiro. Nessun paese lanciato come un vecchio treno delle montagne russe su binari morti ci schiaccerà lo stomaco.

Gloria ha detto “grazie mamma”. Di quello che hai fatto. Sto per morire, lo so.

Risale alle 4 l’ultima telefonata. Secondo il virgolettato del Corriere la ragazza dice «Mamma, mi sono resa conto che sto morendo. Grazie per quello che hai fatto per me». Poi, l’addio: «Sto per andare in cielo, vi aiuterò da lì».

Come fanno sempre i figli ha chiesto aiuto ai genitori, pur nella loro evidente impotenza. Che mai avrebbero potuto fare da qui, dall’Italia? Li ha sottoposti ad un dolore e ad uno stress enormi, ai quali mai si sarebbero voluti sottrarre, io credo. Tutto pur di stare con lei. E lei, povera ragazza, a chi altri avrebbe potuto pensare se non a chi l’ha messa al mondo e l’ha amata? Anche i soldati moribondi, anche chi partorisce, tutti noi, di fronte alla morte, al dolore, alla paura, alle cose grandissime e definitive, bruttissime e bellissime, gridiamo “Mamma”!

E alla fine, come fanno sempre i figli messi alle strette, ha detto le cose essenziali: grazie. Vado. Vi aiuterò.

E non è affatto vero che non si possa fare nulla. Fino a che non si avrà la certezza che sia morta preghiamo che sia viva. Quando si avrà una certezza o si esulterà e si renderà lode a Dio o si piangerà e senza disperazione si pregherà tanto per la sua anima giovane. Se le fiamme se la sono presa speriamo abbiano già bruciato la paglia dei peccati che possa avere commesso. Speriamo abbia anche solo pensato «Maria, ho ancora bisogno della mamma. Ci sei?»

E sappiamo che con i Sì che cambiano le sorti di un’umanità intera Maria Santissima, la bella ragazza di Nazaret, ha una certa esperienza.




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Il processo e la proposta di risarcimento di 68mila euro, rifiutata dalla famiglia di Gloria

Di pochi giorni fa la notizia della cifra proposta come risarcimento per la morte di ciascun deceduto nell’incendio di ormai quattro anni fa. Il legale della famiglia di Gloria Trevisan fa sapere che non accetteranno mai una cifra tanto irrisoria quanto offensiva per il dolore della famiglia e per il valore, non monetizzabile, della vita della figlia. Ciò che è quantificabile almeno come stima è il cosiddetto capitale umano che con la sua morte prematura è andato perduto. Così si legge sul sito dell’ANSA:

Un risarcimento di 68mila euro per ognuna delle vittime dell’incendio che il 14 giugno 2017 devastò la Grenfell Tower, a Londra. “Noi, e parlo in nome della famiglia di Gloria che rappresento, non accetteremo mai alcun accordo: noi andiamo in Tribunale”, dice l’avvocato Maria Cristina Sandrin, che tutela la famiglia di Gloria Trevisan, 26 anni, morta nel rogo assieme al fidanzato Marco Gottardi, 27. I due ingegneri veneti furono tra le 72 vittime della tragedia.

La battaglia legale dei familiari delle vittime prosegue su due fronti: quello statunitense che punta ad ottenere risarcimenti dalle industrie costruttrici dei pannelli di rivestimento, rivelatisi fatali per la diffusione rapida e inarginabile delle fiamme, e quelli del frigorifero da cui sarebbe partito l’incendio in seguito ad un cortocircuito. E quello nel Regno Unito che fa leva sul riconoscimento del grave danno psicologico subito dai familiari delle vittime costretti a seguire in diretta alla morte straziante dei propri cari. (Aggiornato il 17 giugno 2020)

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