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«Se mi menti non vale»: nullo il matrimonio di due trentenni veneziani

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Photo by Ishan @seefromthesky on Unsplash

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 14/07/21

Mons. Claudio Cipolla, vescovo di Padova, ha dichiarato nullo il matrimonio invalidamente contratto da due fedeli: lui aveva nascosto a lei una grave malattia, ma insieme avevano escluso di avere figli.

Sta facendo discutere la notizia del matrimonio che mons. Claudio Cipolla, vescovo di Padova, ha dichiarato nullo: era stato (invalidamente) contratto da Micol (una 35enne di Stra) e un suo coetaneo (di Fiesso D’Artico) del quale non è trapelato il nome. 

Una storia rapidissima (forse un po’ troppo?): 

  • i due si sono conosciuti nel 2018; 
  • due mesi dopo sono convolati a nozze civili; 
  • nel giugno 2019 hanno celebrato quello religioso (nella chiesa di Vigonovo); 
  • poche settimane dopo le nozze, lo choc (è la donna a parlarne in questi termini). 

«Non puoi sposare un uomo che hai appena conosciuto»

Era difatti accaduto che l’uomo aveva dovuto sospendere l’assunzione di un farmaco che segretamente prendeva per arginare la sua severa artrite reumatoide. Di punto in bianco, lo sposo (che sposo non era) non riusciva più ad alzarsi dal letto. 

Per me fu uno choc – ha raccontato Micol al Corriere del Veneto – mi sono sentita tradita e finalmente ho capito perché aveva avuto tutta quella fretta di sposarmi. Ho sempre pensato che sarei rimasta con lui di fronte a qualunque avversità la vita ci avrebbe messo davanti, ma il fatto che mi abbia ingannata è inaccettabile. Sono sempre stata molto devota e quindi, dopo avergli detto addio di fronte allo Stato italiano, ho voluto l’annullamento delle nozze anche agli occhi di Dio. 

Certo, quell’“ho sempre pensato che…”, riferito a un uomo conosciuto sì e no un anno prima dell’(at)tentato matrimonio, attira l’attenzione, ed è un primo elemento del fatto. È un elemento, poi, consentaneo al secondo: pare che fosse lui ad avere tanta fretta, e durante il processo (svoltosi in forma breve data la disponibilità di entrambe le parti) il giovane ha ammesso: «Ho taciuto temendo che non mi avrebbe più sposato». 

E chi è che arriva all’età adulta senza avere se non qualche scheletro nell’armadio… almeno qualche ombra? Lo stupore grande che si ha quando ci si accorda per un matrimonio sta proprio nel fatto che si è trovata una persona che ci sembra (e in un certo senso lo è) meravigliosa ma che è pure una povera creatura come chiunque altro; questa persona meravigliosa ci vede a sua volta come persone meravigliose, pur sapendo che anche noi siamo povere creature come chiunque altro. «Mi ama!», ci diciamo allora storditi di gioia mezza incredula: «Mi conosce eppure mi ama!». 

Ed è una gioia che ha il profumo dell’Evangelo: Dio ti prende come sei, e così anche il tuo coniuge. 

A patto, naturalmente, che il coniuge (per Dio non c’è questo problema, evidentemente) lo sappia veramente, come sei

Non vi conoscete ancora… o vi state nascondendo qualcosa?

Questo pensiero, però, potrebbe dare la stura a una interminabile ridda di scrupoli: chi è che ha detto tutto (ma proprio tutto tutto tutto) al coniuge? E davvero bisogna dire tutto (ma proprio tutto tutto tutto) a chicchessia? Non c’è quella intimissima regione della coscienza in cui ogni anima deve restare sola con sé stessa e con Dio? Certo che c’è, ma questo non deve diventare un alibi per dire mezze verità (e mezze bugie) al futuro coniuge: come se ne viene fuori, allora, senza crivellarsi di dubbi circa la validità del proprio matrimonio e senza costringersi a esporsi in modo forzato e innaturale con un’altra persona? Il discrimine è precisamente il dolo: se cioè io taccio alla mia fidanzata una mia problematica (non necessariamente fisica) perché temo che la sua conoscenza potrà ostacolare la via alle auspicate nozze, allora è proprio questo tacere – non la problematica funzionale – a diventare un ostacolo insormontabile. 

Sul punto occorre fare chiarezza, perché anche sul Corriere del Veneto è stato scritto che 

fin da subito i coniugi si erano negati la possibilità di avere dei figli (considerando anche che la malattia comporta una ridotta fertilità). 

Non essendo un virgolettato della sentenza vescovile (e sarebbe stato stupefacente il contrario) è difficile ripercorrere le vie che hanno generato la sintesi dell’articolista, ma poiché 

la sterilità né proibisce né dirime il matrimonio […], 

Can. 1084 § 3 

allora verosimilmente nella sentenza vescovile il predicato tra parentesi – cioè il fatto che l’artrite reumatoide comporti una ridotta fertilità – non è connesso con quello riportato nel corpo, e ciò significa – a quanto si capisce dall’articolo – che i due avevano concordemente escluso di avere figli. Il che, a prescindere da quanta devozione si professi di nutrire, rende invalido il matrimonio: 

[…] se una o entrambe le parti escludono con un positivo atti di volontà il matrimonio stesso, oppure un suo elemento essenziale o una sua proprietà essenziale, contraggono invalidamente. 

Can. 1101 § 2 

La prole è il primo degli elementi che la giurisprudenza (con molte opportune precisazioni) annovera in merito alle esclusioni; seguono l’indissolubilità, l’unità e la fedeltà. Normalmente, la prima volta che si studiano queste cose si resta sgomenti al pensiero di quanti possano essere i matrimoni effettivamente validi: è un pensiero che, se non istiga alla sfiducia bensì invita a prudenza, non sarebbe male coltivare. Probabilmente è anche per questo che la sentenza di mons. Cipolla 

ha anche vietato ai due veneziani di risposarsi in Chiesa senza prima avere avuto il via libera della Diocesi, che potrà arrivare solo se «accoglieranno il matrimonio con tutti i fini (…) e manifestando apertamente al futuro coniuge il proprio stato di salute».

Ai due giovani, dunque, e non solo a quello fraudolento: anche lei doveva aver palesato durante il processo un’attitudine insufficiente alla valida celebrazione del matrimonio («…con tutti i fini…»). 

Persona e personalità 

Ad ogni modo il motivo principale (se non altro sulle pagine dei giornali) è l’inganno ordito dall’uomo ai danni della donna. Il che ci permette di indugiare alquanto sul tema, pregno com’è anch’esso di sfumature e di problematiche. Il canone del CIC invocato su questo capo di nullità è il seguente: 

Chi celebra il matrimonio raggirato con dolo, ordito per ottenerne il consenso, circa una qualità dell’altra parte, che per sua natura può perturbare gravemente la comunità di vita coniugale, contrae invalidamente. 

Can. 1098 

Per capire il dispositivo si deve leggere il canone insieme con quello che lo precede, perché insieme i due rielaborano e disegnano – con sostanziali progressi rispetto al CIC 1917 – la disciplina relativa all’errore di fatto

L’errore di persona rende invalido il matrimonio. 

L’errore circa una qualità della persona, quantunque sia causa del contratto, non rende nullo il matrimonio, eccetto che tale qualità sia intesa direttamente e principalmente. 

Can. 1097 §§ 1-2 

La prima cosa è chiara: se sposi una persona diversa da quella che intendi sposare (metti che ti portino la sposa col chador e tu te ne accorga solo in camera nuziale), il matrimonio non è valido. 

La seconda è più scivolosa: cioè uno scopre dopo il matrimonio che la moglie sa a memoria tutta la discografia (?) di Fedez e dice: «Ma cara… come hai potuto tacermi questo lato oscuro della tua personalità? Il nostro matrimonio è invalido!». E invece no: 

La qualità (non frivola né banale, come ha precisato il Romano Pontefice nell’allocuzione [alla Rota romana del 29 gennaio 1993] deve […] essere voluta in modo diretto […] e principale. […] 

Redazione di Quaderni di Diritto Ecclesiale, Codice di Diritto Canonico Commentato, p. 889 

È stata in voga, nell’ultimo cinquantennio, la tendenza ad estendere il concetto canonico di “persona” a quello psicologico di “personalità”: così si 

prendono infatti in considerazione, per l’identificazione oggettiva della persona, le qualità più rilevanti sul piano sociale, religioso, morale, professionale ecc… 

Ivi, p. 888 

La giurisprudenza canonica ha sempre evitato di abbracciare questa proposta, e ciò per diverse ragioni delle quali l’ultima – «le notevoli incertezze applicative» – è per i profani la più evidente di tutte: le qualità che costituiscono una personalità sono innumerevoli, dunque non tutte attualmente conoscibili, e suscettibili di mutazioni nel tempo… la frase “non sei l’uomo che ho sposato” farebbe il paio, in modo inquietante, con quella “non eri l’uomo che intendevo sposare”. 

La bottega dell’Orefice

Il fidanzamento e il matrimonio sono invece tratti distinti (e distinti dovrebbero restare nella prassi come nella teoria) di un unico cammino di crescita e di santificazione, nel quale le personalità dovrebbero vedere attutirsi i difetti ed esaltarsi i pregi. O secondo quelle ispirate parole a braccio che il 14 febbraio 2014 papa Francesco ha esposto richiamandosi alla celebre pièce wojtyłana: 

Il matrimonio è anche un lavoro di tutti i giorni, potrei dire un lavoro artigianale, un lavoro di oreficeria, perché il marito ha il compito di fare più donna la moglie e la moglie ha il compito di fare più uomo il marito. Crescere anche in umanità, come uomo e come donna. E questo si fa tra voi. Questo si chiama crescere insieme. Questo non viene dall’aria! Il Signore lo benedice, ma viene dalla vostre mani, dai vostri atteggiamenti, dal modo di vivere, dal modo di amarvi. Farci crescere! Sempre fare in modo che l’altro cresca. Lavorare per questo. E così, non so, penso a te che un giorno andrai per la strada del tuo paese e la gente dirà: “Ma guarda quella che bella donna, che forte!…”. “Col marito che ha, si capisce!”. E anche a te: “Guarda quello, com’è!…”. “Con la moglie che ha, si capisce!”. È questo, arrivare a questo: farci crescere insieme, l’uno l’altro. E i figli avranno questa eredità di aver avuto un papà e una mamma che sono cresciuti insieme, facendosi – l’un l’altro – più uomo e più donna! 

Un augurio che di cuore estendiamo a tutti gli sposi e i fidanzati, nonché – per l’avvenire – ai due trentenni veneziani. 

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