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Testimone di Geova morta per aver rifiutato trasfusione: qualche annotazione

BLOOD,TRANSFUSION,DONATION

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 01/10/19

Non è la prima volta che un simile caso assurge agli ambigui onori delle cronache, né sarà l'ultima. Al netto del silenzioso rispetto che si deve garantire alla famiglia della donna, sono comunque diverse le osservazioni fattibili quanto al dibattito accesosi.

Perdura l’eco del caso della signora morta all’ospedale di Piedimonte Matese per aver rifiutato un’emotrasfusione per motivi religiosi. La donna era una testimone di Geova e, come è noto, gli appartenenti a questa setta fondamentalista – decaduta dall’insieme ecumenico dei cristiani per via del loro rifiuto dei due misteri principali del cristianesimo – negano la liceità delle trasfusioni di sangue, spiegando così la loro posizione:

[…] i Testimoni sono persone profondamente religiose e convinte del fatto che le trasfusioni di sangue sono loro vietate da passi biblici come: “Solo non dovete mangiare la carne con la sua anima, col suo sangue” (Genesi 9:3-4); ‘Ne devi versare il sangue e lo devi coprire di polvere’ (Levitico 17:13-14); e: ‘Astenetevi dalla fornicazione e da ciò che è stato strangolato e dal sangue’ (Atti 15:19-21).

Il paradosso dei trapianti d’organi

Si troverà singolare che non si trovi il medesimo rigore quanto ai trapianti in genere, di altri tessuti o di interi organi:

I Testimoni non pensano che la Bibbia contenga commenti diretti sui trapianti di organi; per cui spetta al singolo Testimone decidere in merito a trapianti di cornea, di rene o di altri tessuti.

In realtà ciò è molto conseguente: il loro rifiuto non deriva da argomentazioni sociali (il mercato degli organi…) o mediche (la questione dei rigetti), bensì unicamente da un’esegesi piatta e letteralista, che degli stessi precetti biblici misconosce e tradisce il senso. L’idea è che il sangue contenga “la vita” dell’animale – e “נפש” si traduce “ψυχή” in greco e “anima” in latino, ma significa piuttosto “vita” in senso olistico – e che dunque esso sia assolutamente indisponibile al trattamento medico. Per questa ragione non ha senso obiettare che il sangue è un tessuto e che se accettano il trapianto di cornea devono accettare anche quello di sangue. Addirittura resta privo di presa l’argomento shakespeariano che salvò il Mercante di Venezia dal suo cruento creditore: come infatti la parola “cruento” contiene in sé il significato di “sangue” anche se non lo rivela a chi conosca poco la filologia, così Shylock dovette riconoscere che gli sarebbe stato impossibile prelevare dal corpo di Antonio una libbra di carne senza versare neppure una goccia di sangue. Che si pensi di poter trapiantare un rene, insomma – dal quale non si potranno mai previamente eliminare tutte le cellule ematiche del donatore –, ma non una sacca di sangue, è cosa evidentemente contraddittoria. Ma con i testimoni di Geova non attacca: la Bibbia proibisce di manipolare il sangue, ma non di fare lo stesso con i reni – e tanto basta.

Il fondamentalismo religioso

Facilmente si potrà pensare – specialmente se non si è credenti – che il problema risieda nel “fanatismo”, e così anche un ormai famoso sceneggiatore di Topolino ha twittato:

Perfino sul versante laico, come si vede scorrendo il (molto istruttivo) thread, quello dell’autodeterminazione è un assunto che genera almeno tanti problemi quanti ne risolve – e resta ancora tutta da vedere la media ponderata della loro qualità (se cioè i problemi creati siano almeno più lievi, quando non meno numerosi, di quelli risolti).

Ho trovato tanto interessante (e rivelativa) la discussione che mi sono sentito di intervenire rilanciando il contributo della mia amica Lucia sul mio blog.

La quale scriveva, fra l’altro:

La vita per chi non ha fede è un bene grande, non sacrificabile per dogmi astratti e dichiarazioni di fede, ma non è comunque un bene supremo, come lo è invece per chi è disposto a rinunciarci: resta tutto una questione di rapporto costi/benefici. Se costa poco vivere, è un vero peccato non farlo. Se costa molto, insomma, ne riparliamo: quegli stessi utenti che ora inveiscono contro la signora testimone di Geova forse hanno esultato l’altro ieri per la sentenza della consulta sul suicidio assistito, inneggiando alla libertà di autodeterminazione (che esiste già, come il caso odierno ci dimostra).

La morale dell’analisi di tutte queste reazioni web è che l’autodeterminazione pura non è ritenuta un valore da nessuno: la gente non deve poter fare di sé ciò che vuole, bensì ciò che il sentire comune ritiene opportuno. Questo sentire comune, poi, si sta spostando compatto verso una divisione delle vite degne da quelle indegne, secondo fumosi criteri di autosufficienza, possibilità di realizzazione nella società, sofferenza fisica e psicologica.

Al di fuori di questi minacciosi binari, si deve vivere con entusiasmo e sfrenata libertà, ogni altra manifestazione di libero arbitrio, che si esprima tramite dei no e dei rifiuti alle offerte mondane, è ritenuta impropria, anacronistica, da vietare addirittura.

Insomma, va bene l’autodeterminazione se si tratta di “suicidare” un malato grave ma non va assolutamente bene se si parla di sacrificarsi per un ideale trascendente.

Scherzando le dicevo: «In effetti, più che di “autodeterminazione” potremmo parlare di “egodeterminazione”», o come diceva lei: «Mi devi lasciare fare quello che voglio e devi fare quello che voglio io». La trappola di un personalismo senza alterità o, se si preferisce, il dramma di un umanesimo orbato di orizzonti trascendenti.




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Gagnor, tuttavia, non ha tutti i torti a pensare che il fanatismo generi sempre mostri: me ne sono reso conto leggendo i commenti di alcuni cattolici che invece hanno plaudito alla scelta della signora. «Una donna credente e coerente, brava!», «Finalmente una che pratica fino alla fine!», e così via. Mi ha stupito, insomma, l’incapacità di distinguere tra la signora che va a morire per non farsi trasfondere, il kamikaze che si fa esplodere in metropolitana (uccidendo anche altri) e il martire cristiano. Tutte e tre queste figure, è vero, pospongono la propria vita – che pure ritengono un bene fondamentale – all’Assoluto – individuato come bene supremo, ma si devono qui osservare almeno tre cose:

  1. Anzitutto che il posporre il bene fondamentale all’Assoluto è cosa ragionevolmente ammessa da tutti (anzi, noi giudichiamo eroi i pompieri che rischiano la propria vita per salvare quella di altri, per di più ignoti, laddove nessuno dei beni in questione è assoluto): la distanza è semmai quella che passa tra il visibile e l’invisibile, e la differenza di giudizio oscilla a seconda che il sacrificio sia fatto per un bene inframondano o no.
  2. Il secondo dei tre casi elencati, poi, è quello che più facilmente estromettiamo dal confronto, visto il coinvolgimento doloso e criminoso di innocenti inermi.
  3. Nessun martire cristiano si fa uccidere “perché nella Bibbia c’è scritto” questo o quello: egli rifiuta di piegare la propria coscienza a chi vorrebbe autocraticamente negare in lui l’esperienza dell’incontro col Redentore, il quale (scrisse Ignazio di Antiochia, uno dei primi grandi martiri cristiani) «non si conosce negli archivi». Ciò potrà essere difficile da comprendere, per chi viva senza speranza, eppure per questi come per gli altri il martirio costituisce “il caso serio” (sempre da rileggere il libretto di Von Balthasar “Cordula”).

La relatività delle scritture e della medicina

Ciò significa che ci si può dannare sulla base della Bibbia? Senza dubbio, non a caso i racconti delle tentazioni di Gesù nel deserto mostrano il diavolo che correda i suoi lacci di passi delle Scritture. Ciò significa anche che ci si può rovinare la vita a forza di leggere la Bibbia? Evidentemente! Lo stesso Gesù ammonisce quelli che stavano sciupando la propria occasione col non riconoscere in lui il dono di Dio:

Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me.

Gv 5,39

Ai Sadducei, poi, i quali a mezzo di esegesi letteralistiche e piatte si erano costruiti una religiosità fatta di precetti non troppo gravosi e di un Cielo così vuoto da risultare sostenibile, Cristo dedicò una delle sue più memorabili rampogne:

Vi sbagliate di grosso, perché non conoscete né le Scritture né la potenza di Dio.

Mt 22,29

Si fa presto, insomma, a dire “Bibbia”, e se la permanenza nell’alveo ecclesiale basta a tutelare da sconfinamenti dogmatici, neppure così uno può ritenersi al sicuro dal rischio di star vivendo da Sadduceo, cioè affermando a parole di credere in Dio ma vivendo come se Egli neppure esistesse.




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Tale frustrante condizione, poi, non riguarda meno la medicina che l’esegesi: l’una e l’altra – poiché concernono la salute dei corpi e delle anime – vengono considerati baluardi di certezze, mentre tutte e due sono discipline umanistiche, eminentemente incerte, nelle quali non si brancola a tentoni per la presenza di principî consolidati… ma da cui sempre possono emergere novità destabilizzanti.


POPE FRANCIS AUDIENCE

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Nella fattispecie, sarebbe ingenuo assolutizzare la pratica medica delle trasfusioni (lo dice uno che dona ininterrottamente il sangue ormai da diciassette anni): essa risulta indiscutibilmente efficace e relativamente economica, ma dipende dalla disponibilità di donatori (a mio avviso un valore aggiunto) e non è esente da dolorose fatalità. Sono valide le terapie alternative, che con ratto anglismo chiamiamo “bloodless”? Dovrei essere un medico per dirlo autorevolmente, ma anche senza esserlo ricordo che prima delle trasfusioni – quando la “teoria della circolazione” non si era ancora affermata su quella degli umori – molti medici praticavano salassi, con incisioni e sanguisughe, e non pochi pazienti dicevano di trarne giovamento. Altri morivano. Del resto morì rapidamente anche il primo uomo sottoposto a trasfusione (di sangue ovino). Insomma, è per statuto epistemologico che l’esegesi e la medicina non possono ritenersi imperfettibili – e male fanno quanti ritengono l’una o l’altra la casa della verità.

Assoluti scientifici

Che diremo allora dei medici che (fedeli al giuramento di Ippocrate) non praticano aborti, non somministrano farmaci mortali e non fanno ricerche che compromettano la vita umana? L’argomento è discontinuo a quello che stiamo trattando, ma poiché ho visto che viene tirato in ballo (totalmente a sproposito) diciamo una parola anche su questo.




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Anzitutto l’argomento è discontinuo perché il c.d. “medico obiettore” (“medico fedele” basterebbe) non stabilisce la propria condotta sulla base di dettami esterni, ma per i dati che ricava dalla propria attività: a lui non serve che un testo sacro dica che in un aborto muore un bambino (e viene tramortita una donna) – lo sa scientificamente. Allo stesso modo egli sa che tutti dobbiamo morire ma che nessuno è titolare di un particolare “diritto a morire”, poiché a nessuno (tanto meno a lui) incombe un “dovere di uccidere”. Analogamente, infine, egli si concentra sulle staminali adulte rinunciando a fare esperimenti su quelle embrionali non perché abbia in odio la scienza o perché un testo sacro proibisca di studiare le staminali (non ne conosco di siffatti), bensì perché risulta incompatibile con la sua professione lo sfruttamento dell’essere umano come cavia a prezzo della sua vita. Questo è tanto poco “religioso” che molti medici sono obiettori senza essere credenti o religiosi (a cominciare dal primario di Piedimonte Matese).

Pregiudizio a doppio senso

Ciò che – in definitiva – mi sembra compromettere la qualità del giudizio operato su casi controversi come quello della signora è che da un lato la nostra cultura ha i propri “dogmi laici” (assai meno sostanziati di quelli religiosi!); dall’altro il pregiudizio anti-religioso opera sia nelle persone irreligiose (come è facile che sia) sia in quelle più o meno religiose (e ciò desta una qualche sorpresa).




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Il c.d. “diritto all’autodeterminazione” è qualcosa che vale in astratto e in linea generale, ma che diventa sempre più difficile specificare mano a mano che si scende nel concreto: ho diritto a vivere? Sì, ma fino a che non nasci sei “allodeterminato” dalla volontà dei tuoi genitori, per cui potresti finire a pezzi nel cestino dei rifiuti biologici senza che nessuno venga indagato. Ho diritto all’istruzione e alla salute? Sì, ma se vivi in contesti disagiati e non ci sono missionari nei paraggi lavorerai la terra da quando stai in piedi a quando alla terra tornerai. Ho diritto a scegliere una persona da sposare? Sì (e anzi anche due, tre o quelle che vuoi, e non solo persone!), ma nessuno è obbligato a stare con te quindi potresti benissimo ritrovarti da solo. E così via.




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In ultimo il pregiudizio anti-religioso, che si vede operante tanto in chi attacca la signora di Piedimonte Matese (che direbbe Gagnor se la signora avesse chiesto l’eutanasia, anche in assenza di dolori fisici incoercibili?) quanto in chi vive la propria religiosità con qualche complesso d’inferiorità circa il contesto secolarizzato (e saluta perciò con euforia ogni sia pur dissennato attestato di “ribellione al sistema”).


KOLACJA PAPIEŻA FRANCISZKA Z MŁODYMI

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Niente confusioni, se vogliamo fare analisi adeguate: Gianna Beretta Molla e Chiara Corbella non hanno alcunché in comune con questa signora, le cui scelte devono essere rispettate ma non per questo dichiarate condivisibili (e neppure ragionevoli). Il fanatismo è un pericolo ma non è coessenziale ad ogni religione, né si può definire fanatico ogni uomo che posponga la propria vita all’Assoluto – anzi, di per sé questa è operazione eminentemente razionale e profondamente umana. I cattolici facciano pace con il loro senso di inadeguatezza al contesto secolarizzato (“come pecore in mezzo ai lupi” è lo stile da tenere, non “come leoni da tastiera”) e i laicisti affrontino una buona volta i paralogismi del superdogma dell’“autodeterminazione”: nessuno appartiene (solo) a sé stesso.

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