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Kiefer: ho in cura 5 “Vincent Lambert”. La sua morte “scuote le mie convinzioni più profonde”

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Di S_L - Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 22/07/19

Parla la dottoressa Catherine Kiefer, una dei tre consulenti medici dei genitori di Vincent Lambert, morto l'11 luglio scorso a causa della intenzionale sospensione di alimentazione e idratazione, dopo 9 giorni di agonia e una lunga e aspra battaglia legale.

Si chiama Catherine Kiefer ed è medico specializzato in MPR, Medicina fisica e di riadattamento (medicina riabilitativa), orientata al maggior recupero possible delle capacità funzionali ed al miglioramento della qualità della vita dei pazienti portatori di handicap, congenito o acquisito. Vincent Lambert, morto dopo un’agonia di 9 giorni per fame e sete, sarebbe stato un candidato ideale per la struttura dove lavora.


VINCENT LAMBERT

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Catherine è anche consulente medico per i genitori di Vincent: sosteneva da tempo, e con grande cognizione di causa, che l’uomo dovesse essere trasferito in una struttura di riabilitazione in grado di rispondere ai suoi molti bisogni, terapeutici e relazionali.

Ne ha parlato il 12 luglio scorso aFamille Chrétienne.

Doveva essere trasferito in un’unità in grado di farsi veramente carico di un paziente nelle sue condizioni cliniche. Sappiamo bene che non è successo, nonostante i continui appelli dei genitori, la pressione di parte dell’opinione pubblica, l’intervento della Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e altri che forse hanno agito per vie diplomatiche, lontano dai riflettori.

Cosa sarebbe cambiato per lui se così fosse stato? Le chiede la collega francese.

Sarebbe stato decisamente meglio e non soltanto lui.

Dans l’unité dans laquelle je travaille, à Villeneuve-la-Garenne, j’ai cinq « Vincent Lambert » ! Venir dans ce type d’unité aurait grandement amélioré sa qualité de vie. Ce sont des patients avec lesquels on peut faire des choses. Les considérer comme des patients qui sont déjà morts avant d’être morts, ce n’est vraiment pas une bonne chose. Nell’unità nella quale lavoro, a Villeneuve-la-Garenne, ho cinque «Vincent Lambert». Venire in un questo tipo di unità avrebbe grandemente migliorato la sua qualità di vita. Questi sono pazienti con i quali si possono fare delle cose. Considerarli come dei pazienti che sono già morti prima di essere morti, non è affatto una cosa buona (Ibidem).

Ah. E quali cose, quali attività si possono proporre con beneficio a questi pazienti? ci staremo domandando. Ad una certa distanza non corriamo anche noi il rischio di omogeneizzare le persone e “i casi” ritenendoli talmente compromessi da sembrare a noi pure quasi morti? Chi ha avuto modo di trovarsi legato a pazienti gravemente menomati sa che avviene invece una sorta di salto dimensionale; cose che a velocità normale ci sarebbero invisibili nel mondo rallentato ed espanso di una persona gravemente disabile acquisiscono un’altra dimensione, ben maggiore. Più adeguata, di fatto. E’ come iniziare ad osservare le meraviglie di uno scampolo di foglia alla lente del microscopio: si scopre un universo.

Vincent, come altri suoi compagni di sventura o solo di sorte, avrebbe partecipato ad attività di gruppo, ci sarebbero momenti di interazione e stimolazione con i familiari. Invece Vincent è rimasto coricato per anni, a guardare il soffitto, dice la Kiefer.

Secondo la dottoressa sarebbe sensibilmente migliorata la qualità della vita non solo di Vincent, ma anche quella dei suoi familiari. Forse al punto da evitare le dolenti lacerazioni che hanno attraversato e lasciata sfregiata la famiglia Lambert. Ci ricordiamo infatti che il protocollo eutanasico omissivo voluto e alla fine messo in atto dal dall’ospedale di Reims era caldeggiato dalla moglie di Vincent, un nipote e tutti i fratelli tranne uno. Questo conflitto si è riversato nella battaglia legale e questa lo ha a sua volta alimentato.

Anziché contestare un accanimento pro vita da parte degli anziani e troppo cattolici genitori, secondo la versione corrente dei media schierati per la sospensione di tutte le cure compresa quella dell’alimentazione e dell’idratazione (che non sono una terapia!) secondo questa specialista – e anche secondo chi usasse onestamente la ragione- andrebbe denunciato un vero accanimento pro morte da parte di chi ha voluto che Vincent morisse.


VINCENT LAMBERT

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Non ci monta, al pensiero, una rabbia animale?

Può essere; eppure Viviane, la mamma di questo martire francese, così lo chiama lei e ne ha motivo, ha sempre pregato per il medico che ha ottenuto la sua morte. E ora a Vincent affida lui e tutta la Francia, che non merita queste cose. Non le merita, dice ferma e piena di intelligente carità. Lo ha dichiarato a LifeSiteNews, come riporta Il Timone.

Ha avuto un momento, confessa, in cui faticava a farlo, a pregare per i suoi nemici. Al dottor Sanchez che le ha intimato di essere cristiana quando lei gli augurato che Vincent lo visitasse in sogno (o incubo) fino a che non si fosse pentito (ed era un sincero augurio, non una minaccia!) lei ha così replicato

Dottore, prego per lei ogni giorno”. E penso che non dovremmo dimenticare di farlo. Sono esseri umani […]. Cosa accadrà loro dopo la morte? Dobbiamo pregare per loro! […] Ho avuto un momento in cui non riuscivo, ero un po’ ribelle, ma l’ho superato».

Questo sì che è amore come Dio comanda e ce lo comanda perché ce lo ha insegnato dalla croce, che non è l’ultimo atto.

Se quella di Vincent sia stata o meno eutanasia? Catherine non ha dubbi: in etica conta l’intenzione e quella, dichiarata, dei medici di Reims è sempre stata di ottenere la morte attraverso la sospensione di idratazione e alimentazione per il paziente tetraplegico ed in stato di minima coscienza.

Il caso Lambert, proprio per il fatto di essere stato trasformato e usato come “caso”, ha dilaniato non solo una famiglia ma ha inferto una ferita mortale ad una nazione e non ultimo al cuore di tanti medici. Le parole della Kiefer sono emblematiche, così come quelle della dottoressa Matilde Leonardi (neurologa infantile dell’Istituto Besta, Milano) ascoltata su Radio Maria nella tavola rotonda di domenica 14 luglio: lei. come i tanti colleghi che mettono tutta la scienza e la loro personale adesione umana al servizio della vita di chi è colpito proprio dal punto di vista neurologico, si diceva costernata, non trovava altre parole. Dovremmo ricordarcene nei nostri sacrosanti assalti contro la cultura della morte.

La dottoressa francese che avrebbe accolto Vincent nella struttura dove lavora dice che non è riuscita più a dormire tanto per diversi giorni, accompagnando con questa pena quella di Vincent privato del sostentamento. Non pensava che una cosa simile sarebbe accaduta nella nostra società. Questo sconvolge molte cose, aggiunge, “scuote le mie convinzioni più profonde” (Ib).

Bisogna fare come la signora Viviane: turbata, sofferente e salda. Aggrappata alla sola speranza che non tradisce: l’anima di Vincent appartiene a Dio. E della nostra, cosa pensiamo e come ce ne stiamo occupando?

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