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È così, la Croce di Cristo ci attrae. E fa nuove tutte le cose

Basilica of Sant’Eustorgio – Praying Night – Cross

© Antoine Mekary / ALETEIA

Basilica di Sant'Eustorgio - "Luce nella notte"

Fraternità San Carlo Borromeo - pubblicato il 25/06/19

Spesso, quando il male ci ferisce, la domanda spontanea è: perché Dio lo permette? Ma la speranza comincia solo fissando Cristo sofferente che ha vinto la morte.

di Gianluca Carlin

Parlare del dolore non è facile. È una dimensione intima e personale che tocca il cuore del nostro rapporto con Dio. Parlare del dolore altrui mi sembra irrispettoso e sento anche un certo pudore a parlare del mio. Eppure, la domanda sul significato del dolore è sempre stata presente nella mia vita, come lo è nella vita di ogni uomo. Il lavoro negli ospedali di Emmendingen, dove fino a dieci anni fa ero parroco, me l’aveva resa quotidiana. Ora vivo una fase della vita in cui questo interrogativo mi sta accompagnando in modo molto intenso. La malattia di alcune persone care in famiglia, acuita dalla mia lontananza da loro a motivo della missione, si è accompagnata ad alcuni fatti accaduti nella mia scuola che mi hanno costretto ad andare sempre più a fondo di questa domanda.


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Il 14 ottobre scorso il pullman con cui viaggiavo verso Assisi con un gruppo di ragazzi ha avuto un grave incidente in cui è morta una giovane donna che accompagnava, assieme a me, gli studenti; ed io mi sono fratturato diverse ossa. Mentre ero ricoverato in ospedale, è venuto a trovarmi un amico della comunità che mi ha detto a bruciapelo: “La vostra scuola è veramente speciale”. Stupito gli ho chiesto il perché. “Così tanto dolore…”. Si ricordava del terribile incidente in cui, qualche anno fa, un ragazzo si era gravemente ustionato rimanendo per settimane tra la vita e la morte, così come sapeva della morte di un altro studente travolto da un treno sotto gli occhi dei suoi amici e compagni di scuola. E, infine, l’incidente di ottobre.
Ma perché Dio lo permette?”. Quante volte i miei ragazzi e i miei colleghi mi hanno posto questo interrogativo! È una domanda che non mi piace, è fin troppo facile porsela. Certo, essa esprime il grido della nostra impotenza davanti al mistero della vita. Ma io non riesco a pensare a un Dio che decide se permettere o no un incidente o un’ingiustizia. Preferisco guardare a quello che mi appare come una grazia: ai miei ragazzi non è successo quasi nulla. Sono grato che a rompermi le ossa sia stato io, e non uno di loro.

L’IPLH, une pépinière d’acteurs de la vie publique
Matej Kastelic - Shutterstock

Il vero miracolo di questi mesi e di quest’ultimo anno, però, è un altro. Questi fatti tragici ci hanno fatto piangere ma non disperare. Abbiamo sperimentato cosa significhi la speranza. Non è qualcosa di vago che un giorno arriverà ma una presenza che riempie il vuoto lasciato dal dolore e dalla morte. Cristo non è solo Dio divenuto uomo che, attraverso la croce, conosce il dolore umano. Cristo è il Signore che ha distrutto la morte, è il Risorto che dal dolore e nel dolore fa le cose nuove, ci dona una nuova umanità, qualcosa che non c’era ed ora c’è.


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Ad un collega amico raccontavo come in questi mesi i colloqui siano stati belli e profondi, arrivando a toccare la fede e il senso della vita; come sia stato facile saltare i consueti giri di parole e andare direttamente al punto. Lui ha commentato citandomi la profezia di Gesù: la Croce di Cristo attrae. Ma perché? Perché l’esperienza della nostra redenzione, della resurrezione di Cristo, passa dalla Croce.
Nel battesimo, abbiamo ricevuto tutti una vocazione particolare. Ma la vocazione di ognuno consiste nell’aderire a Cristo, nel seguirlo e servirlo per imparare da Lui e diventare sempre di più una cosa sola con Lui. Questo vale per tutti ma per noi sacerdoti in maniera particolare. Tutta la missione di Cristo è indirizzata alla Croce, a preparare gli apostoli a quel momento. Quante volte invece noi censuriamo questa parola dalla nostra vita e dalla nostra missione! Accogliere Cristo sofferente è più che servirlo nel suo corpo, nei malati, in chi è piegato dal male. Accogliere la nostra vocazione vuole dire accogliere Lui, il suo dolore e la sua Croce. Così possiamo contribuire a costruire il mondo nuovo.

QUI IL LINK ORIGINALE PUBBLICATO DA FRATERNITÀ SAN CARLO

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