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«Ho il cancro, la morte mi si schianta addosso ma preferisco pensare alla vita!»

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Silvia Lucchetti - pubblicato il 18/04/19

"E mi prenderete per matta, ma la vita da malata mi regala dei lussi che da sana avevo smesso di concedermi"

Sei anni fa E. scopre di avere un cancro all’ovaio, è una giovane donna che non pensa minimamente alla morte e invece si ritrova a combattere un tumore aggressivo. Lo racconta sulle colonne del blog Malattia come opportunità del Corriere della Sera:

4 giugno 2013. Ore 19. «Ho il cancro». Me lo ripeto sottovoce, quasi senza respirare mentre il mondo mi sta cadendo addosso. Divento, senza volerlo, ospite di un carcinoma maligno del diametro di un bottone, proprio come quello del camice del dottore che mi guarda con due isole di dolore al posto degli occhi. All’uscita mi aspettano mia madre e mio cugino. Iniziamo così il nostro giro di giostra (…) che mi porta da un ospedale di una piccola provincia a quello di una grande città che ha i finestroni aperti su una bella campagna (Corriere).

Bisogna fare in fretta, il tumore mi divora un ovaio

E. pronuncia quella frase più volte fra sé e sé, mentre trattiene il respiro, tre parole che la lasciano atterrita. È estate quando le viene diagnosticata la malattia, lei si sente bene, in forma, come è possibile che il suo corpo si stia lasciando sconvolgere da un piccolo nido di cellule impazzite?

È estate e il mio corpo è nel pieno delle sue forze. Come è strano pensare che 168 centimetri di una struttura robusta e felice stiano ora tremando per 1 solo centimetro impazzito. Non riesco a comprendere tutte le parole con cui i medici mi imboccano la testa. Quello che mando giù con la stessa bramosia di un sorso d’acqua fresca è che bisogna fare in fretta perché i vetrini dicono che il tumore è aggressivo e io sono troppo giovane. «Mi divora un ovaio, quello destro, poi si prenderà la tuba, l’appendice e l’omento» (Ibidem).



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Anche adesso che la morte mi si schianta addosso, preferisco pensare alla vita

C’è poco tempo, bisogna agire il prima possibile, è l’unica certezza che E. conserva nel cuore, e nonostante la paura e il dolore, parlando con Claudia riesce anche a ridere di gusto perché è ancora viva, c’è ancora vita da ridere e da vivere.

Lo dico a Claudia che sta vicina a me in una sala d’attesa luminosa sulla sterminata pianura padana e lei ride, perché dice che il cancro è l’unica malattia che non te la manda a dire. «Tu-MORE», mi dice, che dalle parti sue, in Umbria, si dice con la O aperta. Mi fa sorridere, anzi, mi fa ridere proprio e ridiamo senza curarci del tramonto che si porta via un altro giorno e una manciata di vita. Ma siamo impegnate a vivere e a ridere e del resto non ce ne importa nulla. Io alla morte non ci ho mai pensato, perché sono giovane. E devo dire che anche adesso che la morte mi si schianta addosso, preferisco pensare alla vita, a quella che ho, a quella che resta (Corriere).
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La vita da malata mi regala dei lussi che da sana avevo smesso di concedermi

Ma la prova della malattia non è soltanto un tempo di dolore e disperazione! Per E. è un percorso ricco di doni preziosi, “lussi” che la fanno sentire fortunata, amata, libera. Perché da un lato c’è la fretta di sconfiggere il cancro ma dall’altra c’è il tempo calmo degli affetti, non più fatto di attimi ritagliati nel caos del tran tran quotidiano, ma incontri profondi, ore da trascorrere insieme parlando, tacendo, piangendo, sperando.

E mi prenderete per matta, ma la vita da malata mi regala dei lussi che da sana avevo smesso di concedermi. Prendete gli amici o gli affetti più vicini! Quando si sta bene e si ha da fare, li si confina alla fine dei nostri pensieri appena prima di addormentarci con un messaggino che spesso lasciamo a metà perché siamo già nell’altrove dei sogni. Da che sono malata ogni sera qualcuno viene a casa e porta un dolce, una volta lo zuccotto, una volta il gelato, una volta la crostata. Ci mettiamo fuori sul terrazzo e torniamo a raccontarci di quel che è stato e di quel che è e sarà e quando cala il silenzio lasciamo che ci parli il cielo con le sue stelle e alla notte lasciamo il nostro pianto (Ibidem).



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Accolgo la malattia come si fa con il deserto, attraversandolo

Il momento della malattia non è un tempo sprecato e vuoto, apparentemente può sembrare insensato, sterile, un deserto arido, e invece E. scopre giorno dopo giorno che è un tempo prezioso per amare e lasciarsi amare, per abbracciare gli altri e la vita. Così con coraggio e fatica affronta il tumore, vive il suo calvario, accetta il dolore senza abbandonarsi alla disperazione. Perché dopo il deserto c’è la terra promessa. 

Per una cellula impazzita sono nei guai. Per una cellula impazzita però scopro quotidianamente la meraviglia di ritrovare persone oramai andate via, di incontrarne profondamente di nuove, di abbracciare con più forza chi c’è sempre stato. Provo il piacere di vivere in profondità, di succhiare la vita fin nel suo midollo. Così sospiro la fatica di vivere la malattia e la ferma volontà del non abbandonarmi a lei per accoglierla invece come si fa con il deserto, attraversandolo solamente (Corriere).
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