Quando le nostre colpe pesano come macigni, l'unica speranza viene dalla voce che ci ricorda: tu sei amato da Chi ti dona la vita ora.
di Giampiero Caruso, cappellano degli Italiani in Russia, a Mosca
La scorsa settimana sono andato a Pot’ma a trovare i carcerati. Mi aspettavano, erano ormai diversi mesi che non andavo. Ho conosciuto un nuovo detenuto di 32 anni, Columbino, arrivato da pochi giorni dopo la sentenza definitiva: 20 anni di reclusione per contrabbando di stupefacenti. Che pena vederlo piangere mentre mi racconta quello che ha fatto! “Sa, padre” mi dice “credevo di essere un uomo forte, un superuomo capace di combattere e vincere in qualsiasi situazione. Ora ho capito che non è così. Ho scoperto di essere fragile come tutti. In questi due anni e mezzo nel carcere preventivo, in attesa della sentenza, ho riflettuto molto e ho rivisto la mia vita, come in un film. Quanto male ho fatto e quanti peccati ho compiuto! Tutto questo mi pesa sul cuore come una montagna e voglio liberarmene”. Poi mi ha chiesto di confessarsi.
A scuola, qualche settimana fa, al termine delle lezioni, mentre mi stavo preparando per tornare a casa, ho visto un uomo in fondo al corridoio. Non lo conoscevo, ho pensato che fosse il padre di uno dei miei alunni, così mi sono avvicinato per salutarlo. Invece era lì – mi ha detto poi – perché aspettava il figlio di un amico. Mi racconta che vive a Mosca da 25 anni. Aveva aperto una ditta di mobili insieme alla moglie, avevano realizzato un imponente giro d’affari e guadagnato molti soldi. Poi era arrivata la crisi e l’impero era crollato. Con la ditta, era crollato anche lui: era diventato reattivo, impaziente e cattivo con la moglie e i figli, causando la separazione. In pochi minuti, mi racconta il male che ha compiuto, il peso che lo opprime.