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Franco Vignazia papà, nonno, pittore: San Giuseppe ha cambiato il mio modo di vivere la paternità

VIGNAZIA, SAN GIUSEPPE, PAINTINGS

Franco Vignazia

Annalisa Teggi - pubblicato il 02/04/19

Il pittore forlivese ha impiegato più di due anni per compiere quella che qualcuno definisce "la piccola Sistina" della Romagna. Per lui è stato un confronto serrato, profondo e meravigliato con la paternità di Dio.

In una chiesa di provincia riprende vita, forma e colore la proposta con cui Dio chiamò alla vita Adamo: l’uomo collaboratore del Padre dentro il mistero di vita e morte del mondo. E’ una storia avvincente che parla di tradimenti e abbracci ripetuti, diluvi universali e manna che scende dal Cielo. Siamo noi, ogni giorno: sentiamo l’abbraccio di Dio, ma a volte lo schiviamo; Lui tenacemente ce lo offre da capo.


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A Forlì c’era una chiesa moderna con i muri tutti bianchi; il pittore Franco Vignazia ha accolto la proposta del parroco Don Carlo di raccontare una storia a colori su quelle pareti. La chiesa in questione è dedicata a San Giuseppe Artigiano, è nata perciò l’ipotesi di un ciclo pittorico dedicato alla paternità di Dio. Ora a Forlì c’è una chiesa affrescata, che attira i bambini come fosse un cartone animato e che è una scuola permanente di arte e catechesi. Ecco cosa ci ha raccontato di questa impresa ed esperienza Franco Vignazia.

Caro Franco, la tua ultima opera ha incuriosito molto noi redattori di Aleteia For Her. Come è nata l’idea di questo ciclo pittorico nella chiesa di San Giuseppe Artigiano?

La Chiesa di San Giuseppe Artigiano è nuova, ha una decina d’anni. Don Carlo, il parroco attuale, fa nascere l’idea di affrescarla da una frase che gli ha detto un suo parrocchiano: “Noi abbiamo costruito fuori dalla chiesa il campo da calcio, abbiamo fatto un centro per i bambini, ma per il Padrone di casa si può fare qualcosa?”. È una chiesa moderna, completamente bianca all’interno e contiene pochissimi elementi decorativi. Così Don Carlo mi ha chiesto di pensare a qualcosa per decorare la grande fascia murale bianca che riempie lo spazio; l’intuizione che mi è venuta, essendo la chiesa dedicata a San Giuseppe, è stata quella di dipingere il tema del Padre.


FATHER, CHILD, SHOULDERS

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Come hai cominciato a mettere mano a quest’opera?

Innanzitutto ho ripreso in mano la Bibbia e il Vangelo e ho proceduto facendo una lettura parallela, come mi ha insegnato Don Carlo Rusconi, mettendoci dentro anche la mia esperienza quotidiana di papà e nonno.

Quanto tempo hai impiegato a realizzare tutto il ciclo pittorico?

Un po’ più di due anni e mezzo. Tieni conto che io nel frattempo ero ancora insegnante e per poter dipingere un’opera così grande e complessa ho avuto bisogno di ritagliarmi del tempo e dello spazio che mi permettesse di essere lì, fisicamente, mentalmente e spiritualmente. Dovevo continuamente confrontarmi con l’opera che andava avanti.

Cosa vedo entrando in chiesa? Un racconto della paternità che abbraccia il Vecchio e il Nuovo Testamento?

Sì, la parete dipinta è un fascione che avvolge tutta l’aula, che è a forma di carena di nave. Da una parte, la parte a destra di chi entra, c’è questo percorso della paternità nel Vecchio Testamento, in particolare della Genesi; a sinistra, invece c’è il Vangelo secondo Giuseppe. La fascia di sinistra arriva fino alla morte di San Giuseppe, che è un episodio desunto dai Vangeli Apocrifi, però sempre tenuto in grande considerazione dalla chiesa cattolica; infatti c’è l’immagine di San Giuseppe come protettore della buona morte.

VIGNAZIA, FRANCO, SAN GIUSEPPE
Franco Vignazia

Tutto a destra comincia dalla creazione di Adamo, a sinistra tutto comincia con la creazione della donna. Le due creazioni non sono, ovviamente, separate, ma generano due percorsi: dalla parte di Adamo ho rappresentato l’esperienza dell’uomo che continuamente riceve da Dio dei doni, ma non è capace di fedeltà costante. Il peccato originale fa sì che l’uomo per un po’ tende la mano a Dio, poi la molla. Insomma, il tema della parte sinistra è la disponibilità sempre aperta di Dio di ricominciare il rapporto con l’uomo e la libertà dell’uomo di stare e tradire il rapporto: mi ci sono ritrovato completamente in questo ritratto!


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La cosa che più mi ha colpito, e mi rendo conto che è un po’ come scoprire l’acqua calda, è questo ritratto umano che emerge: il nostro entusiasmo verso Dio nei momenti belli o in quelli in cui abbiamo bisogno, e poi la dimenticanza che subentra e poi Dio che interviene di nuovo e dà la possibilità di ripartire insieme a lui. Dio non interviene magicamente, ma attraverso delle possibilità concrete: dopo il peccato originale, dà all’uomo l’ipotesi della famiglia e del lavoro; dopo il diluvio, offre la possibilità di ricostruire, sempre chiamando l’uomo come protagonista.

Nella fascia sinistra che storia c’è?

Tutto comincia con la creazione della donna, a cui seguono le figure femminili dell’Antico Testamento e poi l’Annuncio a Maria. Da lì si innesta tutto il resto della storia, segnata dalla Salvezza di Cristo.


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Ti pensavo mentre lavoravi. Sarai stato lì a meditare su queste cose da nonno e papà quale sei, ma anche da figlio … di Dio.

Ho voluto raccontare la paternità di Giuseppe con questa attenzione particolare alla crescita del figlio. C’è stato un pensiero su cui ho meditato spesso e che ha cambiato il mio modo di pensarmi nonno e padre: cos’è la vera verginità di Giuseppe? In quanto padre putativo di Gesù, io l’avevo sempre pensato nelle vesti di “sostituto” (perché Gesù aveva bisogno di un padre sulla terra). In realtà, lui è stato investito e ha assunto quella che è la vera identità di un padre; non è padre biologico, ma la sua verginità e disponibilità al disegno di Dio permette all’Essere di farsi carne. Ho riflettuto tanto su questa accezione di verginità come «non possesso», che è anche «non prevaricazione». Nei confronti dei miei figli e dei miei nipoti mi accorgo di presumere spesso di essere io il risolutore dei loro problemi; non è cattiveria, è quel pensiero del «se io potessi … »: se potessi toglierti la febbre, il dolore, sarei la persona più felice del mondo. Anche questo atteggiamento è un segno di possesso. Giuseppe ha ribaltato i termini della paternità, di come io la vivevo.

VIGNAZIA, GIUSEPPE, ARTIGIANO
Franco Vignazia

Parliamo allora di ciò che l’arte genera in chi la guarda. Un tempo il popolo entrava nella Cappella degli Scrovegni e attraverso gli affreschi di Giotto faceva un’esperienza di fede piena. Noi oggi siamo bombardati di immagini ma non facciamo nessuna esperienza. Perché?

L’immagine non si ferma mai a sé stessa, sia nelle pubblicità che vediamo in TV sia nella Cappella degli Scrovegni. Anche nella pubblicità c’è sempre un messaggio nascosto. Solo che il concetto di simbolo oggi si ferma alla semplificazione che troviamo nei segnali stradali, il triangolo dello Stop significa che devi fermarti: è una comunicazione solo orizzontale. Nell’arte accade una cosa diversa e qui occorre fare una parentesi: quando ci si riferiva a certi cicli pittorici sacri e li si definiva «Bibbia dei poveri» non si intendeva che erano rivolti solo agli analfabeti ed ignoranti. Il significato cristiano di povero non è chi è indigente, ma chi è povero di sé, cioè: chi è mendicante ed è quindi disposto a ricevere la Misericordia di Dio, anche attraverso l’arte.


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L’arte della Cappella degli Scrovegni obbligava, in senso buono, l’uomo ad alzare lo sguardo; lo richiamava a questa necessità che tutti abbiamo di alzare lo sguardo. È un simbolo non solo orizzontale, ma che rimanda al senso profondo di vivere di ciascuno. Anche i gesti quotidiani più semplici come il cucinare, accudire i bambini, lavorare possono essere riempiti di questo valore simbolico, cioè guardati come occasione per andare al cuore del senso della vita. Quando un uomo vive così le proprie esperienze, ecco il centuplo. Mentre dipingevo io desideravo che la gente potesse fare un’esperienza simile. Ora sono felice di sentire il riscontro di persone che mi dicono, ad esempio: “Un tempo venivo in chiesa per accendere una candela e poi uscivo, da quando ci sono questi dipinti mi fermo a meditare su certi particolari che vedo rappresentati”.




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Infatti mi pare di aver capito che i bambini faranno catechismo in chiesa di fronte ai tuoi dipinti?

Almeno per il prossimo mese io ho tutti i sabati impegnati coi bimbi del catechismo. Sabato scorso c’erano una quarantina di bambini, poi sono venuti anche i ragazzi di un centro che accoglie giovani con bisogni speciali. Questa chiesa sta diventando una scuola permanente di arte e catechesi. C’è stato un bambino che è corso in Chiesa, è uno di quelli più difficili da contenere durante il catechismo, che ha urlato vedendo i dipinti: “Questo è un cartone animato!”. Le reazioni delle persone mi hanno fatto capire, una volta di più, che una cosa fatta da me mi è già sfuggita di mano: una volta finita un’opera, non è più mia. E così anche io guardo da capo quel che credevo di conoscere già.

VIGNAZIA, GIUSEPPE, ARTIGIANO
Franco Vignazia

Delle tue opere mi colpisce sempre l’uso dei colori. Me ne parli? C’è anche la memoria dei pittori che ami?

Sicuramente la memoria dei pittori che amo c’è: Van Gogh, i fiamminghi, addirittura Mirò che è lontano dalla mia cifra stilistica, e che però è un riferimento forte. L’uso del colore è un gesto espressivo istintivo, però pensandoci ho capito che il colore acceso e violento esprime sempre un dramma. Il cuore dell’uomo è veramente colorato: colore non vuole dire solo gioia, ma è proprio la drammaticità, il contrasto fortissimo che viviamo quotidianamente. Abbiamo un desiderio di bene, e poi il male si fa avanti. Abbiamo il desiderio di infinito, e poi le cose ci muoiono davanti al naso. La mano di Dio dall’alto fa sì che questo dramma non sia tragedia. La vita che ho attorno è stata salvata e ne ho dei segni ogni giorno.




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Sei stato un insegnante di arte. Quante volte ti sei sentito dire che la tua materia a scuola non è fondamentale? Cosa rispondi?

I ragazzi devo essere ri-educati. Il bello lo sanno cogliere, ogni giorno me ne accorgevo. Chi glielo propone deve ricordarsi che i ragazzi hanno bisogno di una persona che si giochi totalmente nel rapporto con loro e con ciò che gli propone. Questo poi è vero per tutte le materie. Non bastano delle tecniche educative, per quanto giuste. Nell’ambito della mia materia, il punto è entrare in rapporto con chi ha dipinto qualcosa: Giotto non è solo la linea e l’uso armonico dei colori. Allo stesso modo, per capire un poeta non ha senso scomporre e vivisezionare una poesia. Il pittore che dipinge non parte dal pensiero dell’equilibrio dei colori, parte da ciò che è tutto il suo io. Perciò è importante far capire ai ragazzi che loro si trovano di fronte a delle voci umane, c’è un uomo che si esprime per raccontare qualcosa non solo di biografico ma di universale. Il pittore è un pover’uomo come tanti, ma dalle sue mani nasce qualcosa che è più grande della sua sola umanità. I ragazzi sono prontissimi a cogliere questa proposta di educazione. Le domande spontanee che mi fanno molti di loro sono proprio funzionali: guardano anche la mia arte come uno strumento per capire meglio loro stessi e s’interrogano su come possono essere più veri nella vita di tutti i giorni. Per me queste sono esperienze di una bellezza unica, e di pura gratuità.

VIGNAZIA, GIUSEPPE, ARTIGIANO
Franco Vignazia

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