Se noi genitori smettessimo di essere così impegnati, cosa potremmo imparare sui nostri figli e su noi stessi?
La notte scorsa mi sono seduta per terra nel mio guardaroba e mi sono messa a piangere. Mio marito non ha avuto bisogno di chiedermi il motivo – lo sapeva. Sono sopraffatta. Ci sono troppe cose da fare, troppe cose a cui pensare, siamo troppo impegnati. La vita ci sta schiacciando.
Lui ha cercato dei modi per illuminare la strada, ma alla fine è stato qualcun altro a togliermi un peso che non avrei mai dovuto assumermi. L’ho assunto solo perché i miei figli potessero avere più cose da fare quest’estate – più attività, più posti da visitare. Di modo che sarebbero stati impegnati e non si sarebbero annoiati.
Ho pensato molto a un post di Omid Safi, The Disease of Being Busy (La malattia di essere impegnati), in cui lamenta la natura troppo schematizzata e iperstimolata della nostra vita, scrivendo con nostalgia di un’epoca in cui avevamo conversazioni lente e piacevoli.
La malattia di essere impegnati (e chiamiamolo con il suo nome, il disagio di essere impegnati, perché non ci sentiamo mai a nostro agio) è spiritualmente distruttiva per la nostra salute e il nostro benessere. Fiacca la nostra capacità di essere pienamente presenti con le persone che amiamo di più nella nostra famiglia e ci impedisce di formare il tipo di comunità che a cui aneliamo disperatamente”, sostiene Safi.

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Concordo al 100%. Tutte queste cose da fare, tutti i compiti, le attività e i dispositivi sono distruttivi. Sì, stanno distruggendo le mie amicizie e minando la mia vita familiare. Ma perché mi sento tanto in colpa all’idea di liberarmi di tutto questo? Perché sento che un’estate senza alcuna attività, senza lezioni o campi, sia un disservizio nei confronti dei miei figli?
In parte è una questione di puro senso di colpa. Tutti i loro amici partecipano a questo o a quel campo, prendono lezioni di questo o quello, vanno in questo o in quell’altro posto per le vacanze, e allora loro vogliono le stesse cose.
È naturale che i bambini vogliano quello che hanno i loro amici, ed è naturale che i genitori si sentano in colpa se non possono fornirglielo.
Ma l’altra faccia è la pressione della nostra società ad essere sempre impegnati. Pensiamo che programmi pieni significhino produttività, e una vita impegnata viene considerata felice e di successo. Assegniamo momenti specifici e sempre più ridotti al riposo e al relax, e perfino allora consultiamo sempre il cellulare, controllando Facebook e e-mail.

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