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L’Elf on the Shelf è moda recente, ma da sempre gli elfi di Natale ispirano buone azioni

ELFI DI NATALE SEDUTI SU TERMOSIFONE

New Africa - Shutterstock

Lucia Graziano - pubblicato il 02/12/22

C’è chi la ama e c’è chi la odia, ma c’è un dato di fatto: la tradizione dell’Elf on the Shelf sta guadagnando crescente popolarità in questi ultimi anni. È un’usanza recente, che ha però origini antiche: gli elfi di Natale abbondano, nelle fiabe; e da secoli ci spronano a compiere buone azioni.

È probabile che, in questi giorni, qualche esemplare abbia fatto capolino anche nelle nostre case: sto parlando dell’Elf on the Shelf, la tradizione natalizia nata nel non lontano 2005 ma già diventata popolare in tutto il mondo.

Come nasce la tradizione dell’Elf on the Shelf?

Per i pochi che non ne avessero mai sentito parlare, l’Elf on the Shelf è un pupazzo a forma di elfo natalizio che compare “come per magia” nelle camerette dei bambini nei primi giorni del mese di dicembre. Resterà lì fino alla Vigilia di Natale, appostato su una mensola, osservando attentamente il comportamento dei piccini e annotando in un taccuino i loro capricci e le loro buone azioni. Nella sera del 24 dicembre, farà ritorno nella fabbrica di giocattoli di Babbo Natale per riferirgli le sue impressioni: i bambini della famiglia sono stati sufficientemente buoni da meritare i balocchi che hanno chiesto? 

Nell’arco di pochi anni, questa tradizione pre-natalizia ha avuto un successo travolgente che ha stupito persino la sua stessa ideatrice, Carol Aebersold. Nel 2005, l’autrice di racconti per l’infanzia aveva dato alle stampe un libretto in rima nel quale raccontava appunto le avventure di questo simpatico elfo “spione”, in missione segreta per conto di Santa Claus. 

Oggigiorno, la tradizione dell’Elf on the Shelf è ormai diffusa a livello globale; e come spesso capita in questi casi, le famiglie hanno già cominciato a personalizzarla per adattarla ai loro specifici bisogni. In molte case cristiane, l’elfo di Natale è sostituito da un pupazzo a forma di angioletto, che andrà a riferire le sue osservazioni a un interlocutore ben più importante di Babbo Natale; ma la palma dell’originalità spetta probabilmente alle famiglie ebraiche, che hanno inventato un Mensch on the Bench sottoforma di un rabbino di pelucheche monitora la situazione nei giorni che precedono la festa Hannukkah.

Dietro alla tradizione dell’Elf on the Shelf, leggende antiche (e con morale)

Stiamo parlando dunque di una tradizione che, in sé, ha origini molto recenti: ma ci sono dei precedenti antichi, dietro a quest’usanza? 

In effetti, sì: la tradizione dell’Elf on the Shelf affonda le sue radici in un corpus di leggende assai datate; prima fra tutte, l’idea che Babbo Natale abbia dei piccoli aiutanti elfici. La più antica testimonianza circa l’esistenza di questa convinzione risale al 1873, quando il Godey’s Lady’s Book, una rivista statunitense per signore, dedicò a Santa Claus la copertina del mese di dicembre dipingendolo nell’atto di ritoccare i suoi balocchi in compagnia di tanti folletti volenterosi. Da quel momento in poi, nacque la consuetudine di immaginare i piccoli elfi come operai che mandano avanti la gigantesca fabbrica in cui Babbo Natale crea i suoi balocchi. 

Ma – e qui viene il bello – esistono tradizioni ben più antiche che legano i folletti al periodo di Natale. Gli elfi domestici (per utilizzare un termine che sarà certamente caro ai fan di Harry Potter) erano personaggi noti al folklore dell’Europa centro-settentrionale fin dai primi secoli dell’età moderna. Ai bambini si diceva, col sorriso sulle labbra, che ogni abitazione possedesse il suo folletto domestico: durante il giorno, se ne stava ben nascosto, ma nottetempo usciva dal suo rifugio badando a non farsi vedere. Scherzosamente, gli venivano attribuiti tutti quei piccoli eventi domestici altrimenti “inspiegabili”: i calzini che spariscono misteriosamente nel lavaggio, il cane che inizia ad abbaiare come un pazzo senza motivo, il pavimento della cucina che è di nuovo pieno di briciole nonostante fosse stato pulito il giorno prima. 

Ma, in queste storielle per bambini, i folletti non si limitavano alle marachelle. Se bendisposti nei confronti dei padroni di casa, potevano trasformarsi in coinquilini laboriosi che, a vario titolo, aiutavano i membri della famiglia; si mormorava anzi che questi esserini diventassero dispettosi solo quando ritenevano che i padroni di casa meritassero una lezione a causa del loro cattivo comportamento. Ecco dunque che era importante tenere ordinata la propria camera, non fare capricci, non alzare la voce: si correva il rischio di entrare in antipatia all’elfo!

Quei benevoli elfi di Natale che incitano a compiere buone azioni

E, nel folklore dell’Europa settentrionale, capitava poi che questi folletti uscissero di tanto in tanto dal dominio della fantasia per fare una capatina nella vita vera di ogni giorno. Nel periodo di Natale, quando cioè gli scambi di regali sono all’ordine del giorno, molte famiglie scandinave provvedevano a confezionare un dono che – come spiegavano sorridendo ai bambini – sarebbe stato destinato all’elfo di casa. 

La cosa buffa è che il regalo esisteva per davvero, e assumeva le sembianze di una caraffa di glögg (la tipica bevanda del Natale in Scandinavia) accompagnata da una ciotola di porridge ancora caldo con una generosa fetta di burro lasciata a sciogliersi sopra. 

Secondo una tradizione che è attestata già partire dal XIX secolo, le famiglie lasciavano generose porzioni di questi cibi sul davanzale esterno della cucina mentre si allontanavano da casa per andare alla Messa di Natale. “Il nostro elfo gradirà di certo!” dicevano i genitori ai loro figli, sorridendo e già pregustando la sorpresa che sarebbe apparsa in quegli occhietti da bambino nel momento in cui, di ritorno dalla Messa, la famiglia avrebbe realizzato che davvero qualcuno aveva approfittato di quei doni.

Certo: i bambini già grandicelli sostenevano che gli elfi c’entrassero ben poco e che anzi fossero anzi i poveri del villaggio a beneficiare di quei regali. E, in effetti, questa dolcissima usanza natalizia permetteva ai bisognosi di procurarsi un pasto caldo senza doverlo chiedere espressamente, dunque risparmiando loro “l’umiliazione” di dover mendicare apertamente, se vogliamo usare questo termine. 

E in effetti, anche io ho il sospetto che non fossero esattamente gli elfi di Natale a beneficiare di quei pasti caldi. Ma mettiamola così: ammettendo per ipotesi che nelle nostre case ci sia un elfo di Natale che monitora il nostro comportamento, credo proprio che la scelta di fare una spesa per i bisognosi rientri in quelle attività che possono suscitare la sua approvazione. 

Certo, non si fanno queste cose per ricevere un regalo in più da Babbo Natale (e ci mancherebbe); ma lo spunto potrebbe forse divertire i piccoli di casa, così come del resto faceva nell’Ottocento. In fin dei conti, anche attraverso il gioco si può educare. 

E allora, se abbiamo in casa un Elf on the Shelf, potremmo prendere in considerazione l’idea di interpellarlo: forse, il nostro piccolo amico ha qualche suggerimento per buone azioni da compiere in questo mese di dicembre?

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