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Sai tacere per non indurre l’altro in disperazione?

PADRE, MAURIZIO, BOTTA

Oratorium | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 30/03/22

Il silenzio è stato al centro dell'ultima catechesi dei Cinque Passi di padre Maurizio Botta: "Immaginate di non parlare mai più per dire il male".

L’inverno del nostro silenzio

L’ultimo dei Cinque Passi – per quest’anno – di padre Maurizio Botta si è svolto sabato 26 marzo e ha messo a tema il silenzio. Era il giorno prima del mio compleanno, ascoltare per intero questa catechesi è stato il miglior regalo che potessi farmi.

Mi sono chiesta perché come locandina fosse stata scelta l’immagine di un albero in inverno coperto di neve. Non mi pareva immediato il legame con l’argomento. Vero è che mai come in un paesaggio coperto di neve si sente il silenzio.

ALBERO, NEVE, CIELO

Alla fine della chiacchierata di padre Maurizio, quella stessa immagine mi è parsa eloquente: l’inverno non è un tempo di morte, ma di attesa. Il freddo è una pausa che custodisce il seme che fiorirà a primavera. Qualcosa di noi fiorisce attraverso il freddo di certi silenzi.

Immaginate quanto sarebbe feconda una scelta positiva di amore che porta al silenzio. Amare vuol dire impare a gestire la lingua, a tacere. Immaginate se questo piccolo organo [la lingua – Ndr] fosse usato solo per lodare Dio, per pregare, per ringraziare Dio, per incoraggiare, per sostenere, per parlar bene degli altri. E basta. […] Immaginate di non parlare mai più per dire il male, che non uscisse più il male da questa bocca.

Padre Maurizio Botta

Entrare nel regno dell’inverno, del silenzio, è un passo che svela la nostra capacità di relazione, con gli altri con noi e con Dio.

Il silenzio tra amici

Non si può tradire il senso delle catechesi di padre Maurizio con una sintesi, o peggio, una riduzione. Godetevi quella sul silenzio e le altre in pienezza, ascoltandole per intero.

Mi ritaglio lo spazio di questi appunti, per individuare un filo rosso che spero continui a farmi compagnia nella memoria quotidiana. Esistono tantissimi silenzi, padre Maurizio ne ha tratteggiati numerosi – buoni e cattivi, fecondi e velenosi. Tutti dicono qualcosa dei nostri rapporti. Niente come il silenzio ci mostra come stiamo davanti all’altro (che è l’amico, che è il mistero di noi stessi, che è Dio).

Nelle relazioni affettive e amicali c’è un tacere che è sinomino di legame profondo. Siamo spaventati dalle pause, dallo stare insieme senza dire nulla. Eppure credo di essere tra i molti che provano nostalgia per quel genere di rapporto così intimo che non ha bisogno di trilli e chat. Avrebbe solo bisogno di presenza:

C’è un tipo di silenzio impossibile, per me è impossibile. È il silenzio impossibile nelle relazioni moderne: flusso ininterrotto di parole, nessuna pausa. E commuove per contrasto un silenzio carico di vita e di relazione descritto dalle parole della canzone di Battiato Prospettiva Nevski: “E quando si trattava di parlare, aspettavamo sempre con piacere“. Quel gusto di stare bene insieme e di non avere fretta a dire una parola in più. Sembra una cosa impossibile, eppure ancora intuiamo che possa ancora accadere quando ci sono delle vere e grandi amicizie. Se no, il disagio del silenzio, o la tua insicurezza o il bisogno di conferme e di rassicurazioni continue, con i mezzi che hai a disposizione fanno sì che una relazione d’affetto nasca come un flusso ininterrotto di parole incapace di pause.

UOMO, DONNA, TRAMONTO

Penso, da madre, a quanto vorrei che i miei figli mi parlassero, mi dicessero tutto e subito. Cado nella trappola di pensare che ‘pausa’ sia per forza sinonimo di incomprensione e distanza. Li stuzzico, li presso, ma dovrei forse farmi compagna di silenzio. Loro sono sempre sovraccarichi di parole (tra scuola, cellulare, video), forse c’è una vera accoglienza che passa da quel genere di tacere eloquente che dice: “Mi godo la meraviglia che è la tua presenza. Sono qui con te”.

Il silenzio per proteggere la fragilità altrui

E poi c’è un altro silenzio – che manca – e rivela molto di come sfruttiamo i rapporti, anziché custodirli. Condividere le nostre esperienze con gli altri non di rado assume la forma dello sfogo. Ci sono casi in cui indubbiamente è una terapia non cattiva, tra amiche lo si fa scherzando. C’è il momento del flusso liberatorio, e non occorre neppure che qualcuno ascolti per filo e per segno. Accade però che, quando si vivono situazioni particolarmente dolorose, lo sfogo assuma la forma di una vera tentazione, che chiama in causa l’ipotesi della disperazione in chi parla e in chi ascolta.

Ho ascoltato più volte questo passaggio della catechesi perché è un nervo scoperto, scotta.

Alcuni se ne approfittano. Visto che alcuni sono in grado di reggere la loro disperazione, si sfogano, come fosse una sorta di latrina. E non va bene. Invece, il più delle volte, quando ti rendi conto che l’altro davanti a te non ha speranza sufficiente per reggere il tuo dolore, stai zitto.

Padre Maurizio Botta

Quante volte ci fermiamo per chiederci se quello che affligge noi può provocare un danno nella persona a cui ci rivolgiamo? Raramente mi pongo questa domanda, lo ammetto. Il pilota automatico della sofferenza mette l’io al centro del discorso, invece anche la fragilità di chi ci ascolta deve essere protetta. Benedetto e rarissimo è il silenzio di chi trattiene le proprie parole per non indurre l’altro in disperazione.

A un certo punto stai zitto perché capisci che non c’è nessuno che ti può consolare. Questo è un tipo di esperienza che nella vita spirituale, quando cammini, capita spessissimo. Arrivi a capire che umanamente nessuno ti può consolare e allora entri in un profondo silenzio, non disperato. È un grido che sai che devi rivolgere all’unico che è in grado di ascoltarlo.

Ibid.

È un inverno buono questo, il congelamento di un’istintività che sarebbe solo e soltanto nociva. E insieme è l’attesa che Qualcuno prenda parola per sbrogliare la nostra matassa.

TELEFON ZAUFANIA

Silenziare il nostro rumore mentale

Il vero dialogo rumoroso non lo abbiamo con gli altri, ma con noi stessi. C’è un silenzio di cui tutti sentiamo la mancanza: non a caso, molte domande poste a padre Maurizio dopo la sua catechesi hanno battuto sul ferro caldo che riguarda gli incessanti e ininterrotti pensieri che ci borbottano dentro.

C’è il silenzio desiderato nella propria testa: silenziare il nostro rumore mentale, quel flusso ininterrotto di pensieri, immaginazioni, parole. Vedo alcune persone che annuiscono abbondantemente, con un fumetto gigante: “Magari!”. Come si fa? Come si fa a bloccare la banda in testa? Qualcuno dice che è impossibile. Io dico: non è vero. Si può.

Padre Maurizio Botta

Su questo panorama intimo così perennemente rumoroso deve scendere l’inverno. C’è da congelare quella voce interiore che ha la presunzione di essere autoreferenziale come un cane che si morde la coda. Il nostro io copre Dio. E la solitudine può essere quel luogo in cui non solo non c’è silenzio, ma si splancano ancora di più le porte del nostro discorso interiore. Come una diga che si rompe.

“Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo che è nel segreto. E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Matteo 6,1-6; 16-18). Quante porte sono ancora da chiudere, una volta chiusa la porta della stanza? Perché una volta chiusa la porta della stanza, è solo il momento in cui di porte tu ne apri mille. Sei più tranquillo per aprire tutte le porte che vuoi. Non basta chiudere una porta, bisogna chiudere anche tutte le altre che si aprono e lasciare aperta solo quella che è relazione con il Dio vivente. Cioé: spegnere tutto. Tutto. […] E la verità è che questi momenti di silenzio sono temuti. Ci fanno orrore. Ci fa paura stare soli con il Signore.

RAGAZZA, VENTO, CIELO

Quando Dio parla tutto fiorisce

Abbiamo bisogno di una Parola che risolva i nostri rumori, lamenti, gridi. Il paradosso fecondo del silenzio passa dal verbo chiudere: c’è un modo di tacere che ci mette in comunicazione più vera con gli altri, c’è un modo di tacere che argina il nostro egoismo. Entrambe queste “chiusure” somigliano al vero tacere, quello della terra coperta di neve sotto cui è piantato un seme o quello di un incontro che può avvenire solo in un piccolo spazio protetto da molte porte chiuse.

Come si fa vivere un silenzio d’amore? Il silenzio, il deserto sono una condizione necessaria per la relazione con Dio. Salmo 39: “Sto in silenzio, non apro la bocca perché sei Tu che agisci“. Questa è l’esperienza dei santi. Sto zitto, perché sei Tu che agisci, Signore.

In tanti hanno chiesto a padre Maurizio come si fa ad arrivare a vivere questo silenzio. E lui ha ripetuto che non si tratta di una strategia, non c’è tutorial. Non è un problema di come.

Da dove si inzia? Il primo inizio è quello di riconoscere che tutto ciò che esiste, tutto ciò che esiste, non è un episodio che passa ma ha valore. Quest’istante ha valore, quello che vivi ha già valore. Non devi pensare a questo momento di silenzio come qualcosa che cancella la tua quotidianità, no. È la salvezza della tua quotidianità. […] Tu nella preghiera scopri che forse da molto lontano – in Dio, solo in Dio – ogni attimo è eterno. È il silenzio in cui la presenza di Dio ti porta a godere di ogni singolo gesto e istante.

Ed è qui che quell’albero coperto di neve mi è parso un simbolo perfetto. Senza la Parola di Dio siamo freddi e bloccati. Ogni nostra vitalità apparente – chiacchiere, commenti, sfoghi – c’illude di avere il potere di tenerci i vita. Invece la nostra unica linfa di vita, capace di metterci la primavera dell’eterno nell’anima, viene dalla relazione con il Padre.

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