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Nella testa di Kirill, il patriarca di Mosca 

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Ramil Sitdikov / Sputnik / Sputnik via AFP

Kirill, patriarca di Mosca

Sylvain Dorient - pubblicato il 17/03/22

Ieri ha visto il Papa in videoconferenza, ma nelle scorse settimane il patriarca Kirill di Mosca, primate della Chiesa ortodossa russa, ha fatto dichiarazioni stupefacenti riguardo alla guerra in Ucraina. Senza pretendere di sondare il cuore e le reni, come comprendere ciò che lo ha spinto a dichiarazioni tanto radicali?

«Quel che accade oggi… non è soltanto politico… Si tratta della Salvezza dell’uomo, del posto che egli occuperà alla destra o alla sinistra di Dio Salvatore, che viene nel mondo come Giudice e Creatore della creazione. 

Domenica 6 marzo, il patriarca Kirill di Mosca pronunciava un sermone in cui descriveva un Occidente moralmente decrepito, che ha abbandonato le sue radici cristiane e contro il quale la Russia conduce una guerra esistenziale. Secondo questo prisma, la guerra in Ucraina sarebbe un’azione difensiva per proteggere la Russia dall’aggressione atlantista. 

L’integrale del sermone del patriarca Kirill è consultabile qui. Il Patriarca vi dispiega una cosmologia che atterrisce per la sua radicalità. Essa si accorderebbe con le tesi di Aleksandr Gel’evič Dugin, lo scrittore russo che vede nella Russia il bastione della civiltà continentale. In opposizione a questo blocco, ortodosso e musulmano, l’Occidente – lì dove il sole tramonta – rappresenta il declino. 

Eppure, il patriarca Kirill di Mosca non ha incontrato Francesco il 12 febbraio 2016? Si trattava di un incontro storico, posto sotto il segno della concordia e della buona volontà reciproche, una prima assoluta nella storia del Grande Scisma d’Oriente, formalizzato nel 1054 (mezzo millennio prima che il patriarcato moscovita fosse eretto). Prima di questo, il 16 agosto 2012, l’uomo aveva avviato una storica visita di tre giorni in Polonia, e firmato con l’episcopato polacco un appello alla riconciliazione. Ancora prima, nel 1984, si era coraggiosamente opposto all’intervento sovietico in Afghanistan. 

Un insieme di posizioni che non collimano con quella tenuta fin dal principio dell’attuale conflitto: non sembrano quelle di chi divide il mondo in due – da una parte il bastione della cristianità e dall’altra l’impero del male. Eppure, già prima della crisi del 2022, il Patriarca di Mosca affermava che l’Ucraina è una parte della Russia, e si è fermamente opposto all’autocefalia del Patriarcato di Kiev. Come d’altro canto Vladimir Putin – che quando fu eletto per la prima volta presidente del governo, nel 1999, sembrava un moderato –, Kirill sembra aver progressivamente abbandonato ogni sguardo benevolo nei confronti dell’Occidente. 

Il Marchio della Bestia 

Nel seguito del suo sermone egli offre un indizio che permette di distinguere i Paesi segnati col marchio dell’infamia, i quali hanno ceduto alle sirene del mondialismo occidentale corrotto: 

Esiste oggi un tale test per la legalità del governo, una sorta di lasciapassare verso il mondo “felice”, il mondo dell’iperconsumismo, il mondo della “libertà” apparente. Sapete qual è? Il test è semplicissimo e al contempo terribile: è il gay pride. Le richieste inoltrate a molti per organizzare un gay pride sono un test di lealtà verso questo mondo assai potente; e sappiamo che se delle persone o dei Paesi respingono queste richieste allora non entrano in questo mondo, gli diventano estranei. 

Da fuori, ci si può interrogare sulla ragione per la quale il Patriarca abbia evocato il gay pride, che non ha evidenti connessioni con la guerra in Ucraina. Alcuni detrattori vi avrebbero visto soltanto una faciloneria: conoscendo il conservatorismo del suo uditorio, si sarebbe guadagnato il suo plauso con poca spesa denunciando una pratica detestata. È però più probabile che il Patriarca sia sinceramente scioccato da quelle manifestazioni. Lo si spiega col seguito: 

Il Signore, condannando il peccato, non condanna il peccatore. Egli invita soltanto al pentimento, ma non al fatto che attraverso una persona peccatrice e il suo comportamento il peccato diventi una norma di vita, una variazione del comportamento umano, rispettata e permessa. 

Malgrado i suoi accenti apocalittici, questo sermone merita attenzione, perché testimonia una visione del mondo largamente diffusa nel suo Paese. Il sermone di un Kirill e le azioni di un Putin riflettono piuttosto largamente la volontà di un popolo russo che ha la sensazione di vivere in stato di assedio. 

Secondo Statista, portale online tedesco di statistica, il 70% dei Russi approverebbe le azioni di Vladimir Putin nel febbraio 2022, vale a dire subito prima dell’invasione dell’Ucraina. 

La catastrofe degli anni 1990 

I Russi hanno largamente la sensazione di essere stati buggerati dagli Occidentali, dopo la caduta dell’URSS, nel 1991. Agli occhi di molti fra loro il decennio che ne è seguito rappresenterebbe la più grande catastrofe della Storia. Con l’era Eltsin il Paese è stato in preda al liberalismo selvaggio, dato in pasto a criminali e annientato sul piano internazionale. Il popolo russo ha le spalle larghe, ha sopportato una serie di crisi, di dittature e di inauditi terrori durante il XX secolo: non può però sopportare che il proprio Paese venga umiliato. 

Non si sbaglia dunque a qualificare di “revanscista” l’attuale nazionalismo russo, ma questo sentimento pericoloso non sorge dal nulla. Gli Stati Uniti, come l’Europa, offrono degli appigli ai teorici dello scontro di civiltà.

Per riprendere l’esempio della NATO, l’adesione a questa organizzazioni dipende dalla sovranità degli Stati che la domandano: è normale che essa sia proposta e, in caso, accettata dai Paesi del vecchio Patto di Varsavia. Ma come non comprendere che questa organizzazione, che fu all’origine pensata per ergere una diga all’URSS, venga percepita come ostile per l’attuale Russia? 

Allo stesso modo, l’attitudine europea che sistematicamente si allinea alle posizioni americane incoraggia i Russi a vedere l’Occidente come un blocco omogeneo nell’ostilità. 

La sindrome della cittadella assediata 

In fin dei conti, l’aspetto più spaventoso del sermone di Kirill di Mosca è forse l’uditorio a cui si rivolge: egli non parla che ai cristiani ortodossi russi. Come se con gli altri non si potesse più ragionare, come se la forza fosse diventata l’unico possibile ricorso contro di loro. 

Questo preconcetto può essere compreso, in un Paese che vive nella sindrome della cittadella assediata, persuaso di essere minacciato nella sua esistenza. Quanti tra noi non partecipano al presente conflitto non hanno simili scuse: senza cercare di giustificare alcunché, non si può cercare di comprendere il punto di vista dei nostri fratelli russi ortodossi?

Non sarebbe il modo migliore di identificare l’autentico avversario, colui che a tutti i costi vuole dividere l’umanità? Dallo stato di relativa sicurezza dei nostri Paesi occidentali non si potrebbe, almeno, evitare di versare benzina sul fuoco che arde in Ucraina? 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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