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Non siamo il nero del burqa: la protesta a colori delle donne afghane

AFGHAN WOMEN, FOLK DRESSES

LIDERO | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 15/09/21

Un coro di voci femminili afghane sfida i Talebani e ha lanciato una campagna social per mostrare che i veri abiti tradizionali del paese sono un trionfo di colori e ricami, l'opposto di una cultura che copre e cancella la donna.

L’abito fa il monaco e anche il dittatore. L’abito non fa solo moda e tendenza, talvolta è sostanza più che apparenza.

Siamo ancora tempestati di foto scattate sui red carpet di Venezia e da ieri si sono aggiunti gli scatti del Met Gala. Dive, influencer e attrici sfilano per esibire l’ultimo outfit mozzafiato. Ma la vera sfilata da guardare è un’altra: è in corso una protesta pacifica a suon di colori per ricordare ai Talebani che il velo integrale del burqa non rispetta la vera tradizione afghana. L’hanno lanciata alcune donne che non accettano il nero dell’oppressione che sta calando sul loro paese.

Total black, tra moda e oscurantismo

Ne parlano tutti e non poteva essere altrimenti. Come mi si nota di più? Ecco l’ossessione delle dive prima di un red carpet. E Kim Kardashian è riuscita a sbaragliare la concorrenza presentandosi sul red carpet del Met Gala con un outfit in vero ed estremo total black. Sarà anche firmato Balenciaga, ma è un po’ inquietante.

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La didascalia aggiunge altre perplessità.

Cosa c’è più americano di una T-shirt dalla testa ai piedi?

Una t-shirt dalla testa ai piedi? Cioé una versione a stelle e strisce del burqa? Qualcuno si è dimenticato di suggerire ai consulenti di Kim di aggiornarla sulle tragiche notizie di politica estera che legano a doppia mandata USA e Afghanistan.

Mi si nota di più se faccio una figuraccia, questo sembra essere l’epilogo di un gossip di per sé insignificante se non si accompagnasse a un certo stridore di denti in sottofondo.

Purtroppo è di stretta attualità anche un altro outfit in vero ed estremo total black che ha scosso l’opinione pubblica. A quanto pare il regime dei Talebani prevede che questo sia il dress code per le ragazze che d’ora in poi vogliono frequentare l’università (e c’è da chiedersi: potranno davvero entrarci, all’università?):

Lo stridore di denti è forte. Ci sono parti del mondo in cui l’ultima effimera tendenza femminile dei VIP è la trovata eccentrica di una maglietta nera dalla testa ai piedi e altri paesi in cui una vecchia dittatura usa il velo integrale nero per togliere dalla vista la presenza femminile.

La grande bugia dei Talebani

I talebani non stanno mantenendo le promesse fatte alle donne afghane su diritti e inclusività, ha denunciato l’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet. Bachelet si è detta “costernata dalle lacune del cosiddetto governo provvisorio, che non include donne” e rappresentanti delle minoranze. “In contraddizione con le assicurazioni ricevute nelle scorse settimane in cui i talebani si sono impegnati a sostenere maggiormente i diritti delle donne, nelle ultime tre settimane quest’ultime sono state invece progressivamente escluse dalla sfera pubblica”.

Da Huffington Post

Uno scenario di cancellazione lo lasciò già presagire la fretta con cui furono coperti di vernice i cartelloni pubblicitari raffiguranti le donne poco prima che la presa di Kabul da parte dei Talebani fosse ufficiale. E da allora c’è stata una frattura sempre più netta tra comunicazione e realtà: il regime al potere in Afghanistan predica libertà e rispetto dei diritti, ma razzola male. L’imposizione della sharia sta già relegando le donne ai margini della vita sociale, impedisce loro l’accesso allo studio e – come elemento visivamente chiaro di sottomissione – impone di mostrarsi in pubblico completamente velate.

Il tentativo subdolo della dittatura è quello di far passare l’idea che la cultura del burqa appartenga all’identità dell’Afghanistan. Semplificando, il messaggio attuale dei Talebani vorrebbe far passare questo concetto: sì, negli ultimi 20 anni le donne afghane sono state ammaliate dalla moda occidentale, ma in realtà appartengono a una tradizione di abiti semplici, coprenti e non sgargianti. Le donne avrebbero il burqa nel DNA, insomma. Peccato che sia falso e peccato (per i Talebani) che ci siano voci di donne che non sono più disposte a tacere.

Se digitate ‘abiti tradizionali afghani’ su Google sarete inondati dalla vista di vestiti coloratissimi. Ciascuno è unico, con ricami fatti a mano e grandi disegni, piccoli specchietti adornano la zona del petto, lunghe gonne a pieghe perfette per le ruote durante la danza dell’Attan.

Da BBC

Giù le mani dai vestiti

Il fatto che quasi tutti noi ignorassimo questa tradizione di abiti ricchi di colori e ricami è la conferma di quanto l’estremismo dei Talebani sia riuscito a imporsi nel corso del tempo. Ma c’è qualcosa di molto vero nel detto “Tutto il mondo è paese”, significa che alcune tradizioni sono sacrosante ovunque. Una di queste è avere una chiara identità popolare che si mostra nelle bandiere e nei costumi locali.

Il volto di un popolo ha sempre a che fare con i ricami e disegni. Non è forse vero che i costumi tradizionali ci sembrano sempre eccessivi nelle fogge e nei colori? Sovrabbondano di entusiasmo, sono il grido di gioia di chi appartiene alla ‘stessa banda’ e ne è orgoglioso. Ed è l’opposto dell’uniformità che ci siamo abituati a vedere per le strade, segno che siamo diventati una massa senza vera identità. Lì dove, invece, un velo scuro copre la persona dalla testa ai piedi è in atto un tentativo di cancellazione culturale e umana.

Per ricordare che l’Afghanistan ha una tradizione che è lontana mille miglia dal burqa ci ha pensato una docente afghana che insegna storia negli USA. Bahar Jalali ha lanciato sui social l’ hashtag #DoNotTouchMyClothes (giù le mani dai miei vestiti) invitando le donne afghane a condividere foto in cui indossano veri abiti tradizionali.

La signora Jalali ha cominciato questa campagna d’informazione perché “una delle mie maggiori preoccupazioni riguarda l’identità dell’Afghanistan, che è sotto attacco“. Pubblicando una sua foto con indosso un abito verde, ha sollecitato le altre sue connazionali a fare lo stesso per mostrare “il vero volto dell’Afghanistan”.

Ibid.

In molte hanno aderito alla proposta, generando un movimento di protesta pacifica che esplonde in queste ore sui social. Un fiume di foto a colori. Tra loro c’è anche la giornalista 28enne Kahkashan Koofi che ha perso il posto di lavoro nella TV di Stato dopo l’ascesa al potere dei Talebani.

Per una volta prendiamo atto che qualcosa di virale nel virtuale ha davvero un senso dirompente nella realtà. E’ ben poco probabile che per le strade di Kabul ed Herat si vedano o si vedranno gli abiti colorati che ora riempiono il web. Ma è la strategia comunicativa giusta per fare rumore e minare la cortina di oscurità che sta scendendo sull’Afghanistan.

L’apparenza che conta

C’è da augurarsi che la protesta a colori delle donne afghane dia una svegliata anche alle donne occidentali. Perché non ci sono molte specie di burqa, e ce ne sono alcuni che alle nostre latitudini non si vede l’ora di indossare. Ci sono dittature che ottengono il loro scopo blandendo e non opprimendo. Il risultato è identico: una massa di persone irriconoscibili, coperte dai segni di un potere che gradisce avere greggi mansueti da guidare.

Manichini

Chesterton disse che l’uomo contemporaneo è quella creatura che crede che il blu sia dei jeans perché non ricorda più che il blu è del cielo. Ce l’aveva con la moda, che è l’opposto dell’aver cura del proprio aspetto. Il vestito dovrebbe davvero fare il monaco, cioé essere il grido di gioia esteriore per ciò di cui l’anima si riveste.

Diventata badessa, una delle prime cose che Ildegarda ebbe a cuore fu che le sue consorelle vestissero di verde. Non era il colore di stagione e non voleva essere un’antesignana delle influencer. Il verde era il sigillo del vigore della vita, quello che pulsa nel cuore umano e brilla nella foglia a primavera. L’apparenza conta, se manifesta chi siamo davvero.

L’apparenza che non conta è quella che maschera viso e corpo con accessori che altri scelgono per noi, è quella che, coprendoci e non svelandoci, ci riduce a merce.

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