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Bebe Vio e gli altri, la grande squadra italiana alle Paralimpiadi

BEBE VIO, PARALIMPIADI

orso bianco - kholywood | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 24/08/21

Oggi l'inaugurazione a Tokyo, fino al 5 settembre saremo in compagnia degli atleti paralimpici: tra loro anche Monica Contraffatto che perse una gamba durante la missione italiana in Afghanistan

Oggi alle 13 s’inagurano a Tokyo i Giochi Paralimpici e li potremo seguire fino al 5 settembre. Ci saranno più di 4 mila atleti provenienti da 135 nazioni. Durante la cerimonia d’apertura sfilerà anche la bandiera dell’Afghanistan, per sostenere gli sportivi che non possono essere presenti a causa della grave situazione interna del paese.

Un’Italia paralimpica da record

Per l’Italia i record cominciano ancora prima delle gare. Ci presentiamo a Tokyo con la delegazione più numerosa di sempre: 113 atleti, 61 donne e 52 uomini. Dunque, per la cronaca, la presenza femminile supera quella maschile. I nostri sportivi saranno impegnati in impegnati in 16 discipline: Atletica, Badminton, Canoa, Canottaggio, Ciclismo, Equitazione, Judo, Nuoto, Scherma, Sitting Volley, Sollevamento Pesi, Taekwondo, Tiro a Segno, Tiro con l’Arco, Triathlon.

I nostri portabandiera saranno Bebe Vio, campionessa della scherma, e Federico Morlacchi, campione di nuoto. E proprio Bebe Vio è da anni il volto forte e sorridente della sfida umana, non solo sportiva, di chi nella vita ha un «prima e dopo».

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Una malattia, un incidente mettono ko, ribaltano ogni prospettiva e sogno. Gli atleti paralimpici sono tutti campioni di corsa a ostacoli, a prescindere dalla propria disciplina. Li seguiamo non solo per vivere l’emozione della competizione, ma per vedere che – proprio nel corpo e non solo nell’anima – la ferita è occasione di uno slancio. Gli ostacoli ci sono, non illudiamoci del contrario; le nostre forze sono zoppe, non illudiamoci del contrario. Eppure la nostra presenza è capace di trovare grandi risorse quando si appoggia sui propri limiti.

Gare diversificate per ogni tipo di disabilità = più medaglie

Siamo ancora galvanizzati dalle imprese degli atleti azzurri alle Olimpiadi. Questa scia di entusiasmo accompagnerà anche i nostri atleti paralimpici. Ma come funzionano le loro gare?

Un esempio. Abbiamo visto sfrecciare Marcell Jacobs nei 100 metri piani, la disciplina atletica per eccellenza. Ecco, alle Paralimpiadi non c’è una sola gara di 100 metri, ma 16.

Per indicare disabilità e sottocategorie, è in uso un complesso sistema di categorizzazione per assicurare un adeguato ed equo livello di competitività. Nell’atletica leggera, per esempio, la classificazione degli eventi inizia con l’ambito in cui vengono organizzati: “T” indica gli eventi su pista e strada, “F” indica le gare di lancio.

Il prefisso è seguito da numeri che indicano il tipo di impedimento e la differenza tra le vari classi. La sigla T che va dall’11 al 13 (T11-13), per esempio, indica eventi per atleti con disturbi visivi a partire dalle gare in cui è prevista la presenza di guide. T20 indica invece le gare per atleti con disfunzioni cerebrali, mentre T33-34 sono le gare di handbike, i cui modelli possono variare a seconda degli impedimenti. Ai Giochi di Tokyo ci saranno sedici categorie diverse soltanto nei 100 metri maschili e quattordici in quelli femminili, per un totale di trenta medaglie d’oro da assegnare.

Da Il Post

Più medaglie, molte più medaglie. Questo è un gran bel segno, sembra suggerire che la disabilità fa fiorire – anziché appassire – occasioni di crescita personale. E vale anche per chi resta a casa. Si può essere amputati nel fisico o nelle facoltà mentali, ed è una prova durissima. L’ipotesi che vediamo in campo alle Paralimpiadi è che una sottrazione diventa moltiplicazione. Come accade in giardino: nel punto in cui poti una rosa, tanti nuovi getti spuntano. Non è il ramo di prima, le traiettorie cambiano, ma proprio lì dove non c’è più un bocciolo ne possono nascere altri.

Volti e storie

Chi sono dunque i nostri atleti paralimpici? Che storie portano alla nostra attenzione? Conosciamone alcuni, augurando a tutti di godersi la fatica e il sudore della contesa, il momento in cui sono alla prova, tesi al traguardo portandosi addosso pesi e speranze.

1 Veronica Yoko Plebani

Le cicatrici non può nasconderle. Oggi a 25 anni e andrà a Tokyo per conquistare una medaglia nel Triathlon. Il suo sogno di bambina era quello di diventare ballerina, a 15 anni una meningite batterica fulminante le ha tolto le falangi delle mani e dei piedi. Le ha tolto molto altro e possiamo solo vagamente intuire cosa significhi per una ragazza giovanissima vedere il proprio corpo amputato e coperto di segni che non si possono nascondere.

Lo sport mi ha aiutata tantissimo a prendere confidenza con il mio ”nuovo” corpo e con le mie cicatrici, mi ha fatto capire quante cose straordinarie un corpo così trasformato poteva ancora fare, quindi, come posso non amarlo?

Corsa, nuoto e bici. Ha scelto una disciplina che ne contiene tre. Perché? Perché – racconta – quando non sentiva di avere più una ragione di vita, il suo corpo gliene ha offerte mille.

2 Monica Contraffatto

C’è da credere che Monica Contraffatto correrà con una spinta in più a Tokyo. La vedremo in pista nei 100 metri piani, ma l’atletica è stato l’approdo dopo un incidente che le ha cambiato la vita. Monica era Caporal Maggiore dell’esercito italiano ed è stata in missione in Afghanistan. Il 24 marzo 2012 durante un attacco alla base italiana nel distretto del Gulistan, nella provincia di Farah in Afghanistan, ha subito gravi lesioni alla gamba destra che le è stata amputata.

Che ne è ora di quell’ipotesi di pace e ricostruzione per cui molti italiani hanno dato la vita sul campo in Afghanistan? Monica è il volto di questo drammatico paradosso. Correrà forte, quale medaglia c’è in gioco nella sua gara? Forse il grido che non può essere taciuto: nessun essere umano merita di essere amputato della sua libertà e dignità.

3 Ambra Sabatini

Toscana e primatista mondiale in carica, sono premesse che lasciano presagire una gran voglia di vincere. Anche Ambra Sabatini gareggerà nei 100 metri piani come Monica Contraffatto, nella categoria T63.  L’amputazione monolaterale transfemorale è stata causata da un incidente. Ambra è giovanissima, ha 19 anni, ed è rimasta schiacciata sotto un auto che ha investito lei e suo padre mentre lui l’accompagnava in scooter agli allenementi di atletica.

Era il giugno 2019, dunque una ferita ancora fresca. Come si fa i conti con un’obiezione grande che, senza alcuna colpa, frantuma le ipotesi di una adolescente entusiasta? Lei ne parla con quest’immagine: ridisegnare gli obiettivi. Il disegno prevede sia una gomma che cancella sia un progetto complessivo di composizione. Anche cancellando non viene meno l’ipotesi che il nostro ritratto non sparisca, ma si arricchisca cambiando.

4 Simone Barlaam

Avere vent’anni e buttarsi in acqua. L’elemento di Simone Barlaam non è la terra, ma la piscina fin da bambino. Arriva a Tokyo, sua prima olimpiade, con un curriculum notevole: sette volte campione del mondo, tre record del mondo.

Forse la sua grande tenacia e simpatia nasce per reazione a un destino segnato quando ancora era nella pancia della mamma. Una frattura al femore mentre era nell’utero e una successiva infezione hanno compromesso lo sviluppo dell’arto destro. Lui paragona la sua gambina alla pinna trofica di Nemo, ma ha un cuore da squalo … come quelli che la mamma gli disegnava da piccolo in ospedale.

Vuole sapere cosa dice il mio allenatore? Non è che, se sei disabile, io ti prendo a prescindere. Se sei scarso, sei scarso. Il primo è forte, l’ultimo è comunque l’ultimo. Fine.

5 Matteo Parenzan

Diremo la nostra anche nel ping pong, portando a Tokyo l’atleta più giovane della squadra italiana: Matteo Parenzan, 17enne triestino. Affetto da una miopatia nemalinica dalla nascita che comporta immunodepressione, poteva essere davvero molto penalizzato dalla situazione Covid.

Si è allenato a casa sua, in garage con un robot. E per lui è vero quello che caratterizza tanti atletici paralimpici: una famiglia entusiasta che lo allena alla fiducia e al coraggio. Lo aspettiamo al tavolo da gioco a fare acrobazie con quella pallina che schizza ovunque.

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