Effetti collaterali gravi e pericolosi: è questa la categoria più frequente di fake news sui vaccini anti Covid, che gli italiani consultano on line.
Lo sostiene un accurato studio realizzato dalla Fondazione Mesit - Fondazione per la Medicina Sociale e l’Innovazione Tecnologica, in collaborazione con Reputation Manager ed Eehta - Ceis dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Tra novembre 2020 e maggio 2021 sono stati analizzati oltre 147mila contenuti online relativi ai vaccini Covid-19, pari a circa mille contenuti al giorno.
Il report evidenzia come, nel nostro Paese, oltre 909mila persone seguono pagine, canali o gruppi Facebook e Telegram nei quali si dialoga sul tema vaccini.
Oltre la metà di questi (457mila) segue pagine, canali o gruppi No Vax. Tra marzo e maggio 2021, sottolinea lo studio, gli utenti No Vax Covid-19 sono più che raddoppiati (+136%).
La categoria tematica in cui nel rapporto ricorrono più frequentemente fake news è quella legata alla pericolosità degli effetti dei vaccini contro il Covid-19, all’interno della quale è confluita la metà (49,3%) dei contenuti potenzialmente fake (www.reputationmanager.it).
Un recente dossier di National Geographic ha "smontato" con lucidità e scientificità la tesi degli effetti collaterali gravi e pericolosi causati dai vaccini, e che, purtroppo, condizionano almeno 500mila italiani esposti a potenziali “bufale web".
Recenti studi, si legge sull’autorevole rivista americana, mostrano che alcuni effetti collaterali, compresi quelli causati dai vaccini anti Covid-19, non sono dati dalle sostanze iniettate ma dalle nostre paure. «Questo fenomeno è stato osservato tra i militari, quando le giovani reclute, che pensano di poter sopportare qualsiasi cosa, svengono quando ricevono l’iniezione perché il loro organismo innesca una reazione eccessiva», spiega Jacobson.
È una prova che può essere utile al personale medico che può rassicurare i pazienti dicendo che la maggior parte degli effetti collaterali sono normali e prevedibili e potrebbero anche non essere causati dall’iniezione. Nella fattispecie, negli studi sul vaccino Pfizer/BioNTech, il 23% dei soggetti di età compresa tra i 16 e i 55 anni che hanno ricevuto il placebo ha lamentato affaticamento dopo la seconda dose e il 24% ha riportato casi di cefalea.
Gli studi, scrive National Geographic, indicano, invece, che sette persone su dieci sopratutto dopo la seconda dose manifestano qualche tipo di reazione. Alcuni avvertono dolore nel sito di iniezione. A volte possono verificarsi prurito o formicolio e una serie di sintomi simil-influenzali quali brividi e febbre, mal di testa e intensa stanchezza che possono costringere il paziente a un paio di giorni a letto. Tuttavia è importante considerare tali effetti collaterali in prospettiva, afferma Jacobson, «si tratta di manifestazioni lievi, temporanee e passeggere che scompaiono nell’arco di qualche giorno».
La reazione fisica immediata al vaccino è provocata dal sistema immunitario innato. Quando una persona riceve l’iniezione, una raffica di globuli bianchi chiamati macrofagi e neutrofili arrivano sul sito di iniezione e iniziano a produrre sostanze chimiche chiamate citochine. Questa risposta innesca un’ampia gamma di sintomi. Che vanno dall’infiammazione al gonfiore nel sito di iniezione, a febbre, affaticamento e brividi. Gli effetti collaterali sono dunque una reazione naturale alla vaccinazione.
Questa risposta — chiamata “reattogenicità” — indica che il vaccino attiva una forte risposta immunitaria iniziale provocando una vasta gamma di sintomi. Dei circa 3.600.000 soggetti vaccinati che hanno partecipato a un sondaggio a febbraio, approssimativamente il 70% ha riportato dolore nel sito di iniezione. Il 33% ha avvertito affaticamento, il 29% ha manifestato mal di testa, il 22% ha avuto dolore muscolare e l’11% brividi e febbre dopo la prima dose di vaccino anti COVID-19. I sintomi manifestati dopo la seconda dose sono stati ancora più pronunciati. Ciononostante, la risposta immunitaria ha breve durata e si esaurisce nell’arco di pochi giorni.
«Ognuno ha un sistema immunitario particolare e unico», afferma John Wherry, direttore dell’Istituto di immunologia presso l’Università della Pennsylvania a Philadelphia. «È come la nostra impronta immunitaria che è data dal nostro materiale genetico, dal sesso, dall’alimentazione e dall’ambiente in cui viviamo. Nonché dalla nostra storia di vita ovvero le situazioni a cui il nostro sistema immunitario è stato esposto in passato e a cui è stato allenato a rispondere negli anni».
Anche in chi non manifesta alcun tipo di reazione il vaccino svolge comunque il proprio compito. Perché il vero lavoro del sistema immunitario — e dei vaccini — avviene durante la seconda fase, o fase adattiva, della risposta immunitaria. Durante questa fase la proteina spike generata attraverso il vaccino istruisce le cellule B a produrre anticorpi contro il virus e le cellule T a cercare e distruggere le cellule infette. Ma sono necessari giorni, a volte settimane per realizzare una protezione durevole contro il virus.
Questa è anche la ragione per cui spesso si verificano reazioni più forti alla seconda dose del vaccino. Tre settimane dopo la prima dose il sistema immunitario è già stato attivato e le cellule B e T sono pronte a combattere. Quando si inietta la seconda dose, risponde sia il sistema innato che quello adattivo.
Ancora non sappiamo però se una forte risposta al vaccino corrisponda a un forte sistema immunitario. Non sappiamo quindi nemmeno se chi non manifesta una forte risposta innata sia maggiormente vulnerabile al Covid o più resistente. «Non abbiamo dati a questo riguardo. Quindi non possiamo sapere se una persona che accusa forti effetti collaterali subirebbe un’infezione da Covid più grave o viceversa», afferma Wherry.
«Gli effetti collaterali e gli eventi avversi, che spesso vengono confusi, sono però due tipi diversi di reazione», aggiunge Wherry. «Gli effetti collaterali sono piuttosto comuni. Si verificano più o meno nel 50-70% dei casi; gli eventi avversi invece sono rari e inattesi come i casi di coagulo».
Immediatamente dopo l’iniezione, da due a cinque persone su un milione manifestano anafilassi, una grave reazione allergica che causa un forte calo nella pressione sanguigna e difficoltà respiratoria. Ma anche questa condizione è facilmente trattabile con epinefrina e antistaminici. Ecco perché i pazienti devono rimanere sotto osservazione per 15 minuti circa dopo aver ricevuto il vaccino anti Covid-19.
Invece i casi di coaguli associati al vaccino Johnson & Johnson che si sono verificati entro 6-13 giorni dalla somministrazione del vaccino possono essere pericolosi e anche mortali, ma l’incidenza è piuttosto bassa. Si sono registrati solo 23 casi confermati su 8,4 milioni di dosi di vaccino.
«Sono casi molto rari», afferma Ofer Levy, direttore del programma di vaccini di precisione del Boston Children’s Hospital e professore di pediatria presso la Harvard Medical School. «Il rischio di contrarre il COVID e potenzialmente morire è molto più elevato rispetto a quello dello sviluppo di coaguli a causa del vaccino».
Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Nature Medicine, fa luce sul presunto “difetto” del vaccino AstraZeneca. Cioè quello relativo alla formazione di coaguli di sangue dopo la somministrazione. Secondo i ricercatori canadesi, alla base del fenomeno ci sarebbero alcuni amminoacidi presi di mira dagli anticorpi chiave nel sangue di alcuni vaccinati.
Gli scienziati canadesi hanno analizzato campioni di sangue dei soggetti vaccinati con AstraZeneca, e i problemi causati alla coagulazione del sangue, che alcuni scienziati hanno chiamato trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino, o VITT.
Il VITT si è verificato in 1 o 2 persone ogni 100.000 prime dosi di AstraZeneca nel Regno Unito, con casi più comuni nelle persone sotto i 50 anni. Il numero totale di casi dopo la prima o la seconda dose nel Regno Unito è stato di 395 fino al 23 giugno, su circa 45,2 milioni di dosi somministrate. In 70 casi le persone sono morte (Unione Sarda, 9 giugno).
I dati, scrivono gli scienziati su Nature, però non sono sufficienti per dimostrare e confermare l'associazione con le trombosi cerebrali. Dunque, riporta Wired (9 giugno) il legame resta possibile ma non certo.
C’è la preoccupazione che ci possano essere altri eventi avversi che non sono stati osservati o correlati ai vaccini? I tre vaccini anti Covid-19, che sono stati autorizzati negli Stati Uniti, riprende National Geographic, sono stati testati su decine di migliaia di persone negli studi clinici. I produttori hanno seguito almeno la metà dei vaccinati per due mesi o più dopo la somministrazione della seconda dose.
Ma ora che oltre 116 milioni di americani sono stati completamente vaccinati, emergono i rari effetti che non compaiono nei piccoli gruppi delle sperimentazioni. Per questo i sistemi di monitoraggio sono molto importanti.