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Peter Singer lo ridabisce: date ai genitori il diritto di uccidere i figli disabili

PETER SINGER, DISABLED CHILD

Bbsrock, CC BY-SA 3 via Wikimedia Commons - Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 30/04/21

Eppure proprio la posizione radicale del bioeticista Peter Singer lo porta a riconoscere un'evidenza che tra le fila degli abortisti non si osa accettare: non c'è differenza tra aborto e infanticidio.

Per chi lo conosce già non è una novità il suo pensiero ostile alla vita fragile. Per chi non lo conosce, Peter Singer è un professore di bioetica, australiano, che ha nel curriculum una carriera accademica di grande prestigio: docente di Filosofia morale a Princeton e, precedentemente, in altre università americane; ha fondato l’International Association of Bioethics e diretto il “Centre for Human Bioethics” a Melbourne. Lo si additta come uno dei pensatori più influenti nel campo della bioetica, ma le sue posizione più controverse gli hanno meritato l’epiteto novello Erode.

L’avvocato e attivista per i diritti dei disabili, Harriet Mc Bride Johnson (morta nel 2008 e affetta da una malattia neuromuscolare che la costringeva su una sedia a rotelle) lo ha descritto così:

Lui è l’uomo che mi vuole morta. No, anzi non è giusto. Lui vuole legalizzare l’uccisione di certi bambini che potrebbero diventare come me se vivessero.

In una recente intervista al New Yorker Peter Singer ha ribadito le sue convinzioni più estreme in merito alla vita dei disabili.

L’utilitarismo che sciaccia il disabile

Se per una donna l’onere di prendersi cura del bambino disabile comporta l’impossibilità di far fronte a un terzo figlio, e se la morte di un bambino disabile può portare alla nascita di un bambino con migliori prospettive di vita, allora la quantità totale di felicità sarà maggiore se il bambino disabile viene ucciso. La perdita della vita del bambino disabile è più che compensata dal guadagno di una vita più felice del bambino sano.

P. Singer, Etica pratica, Liguori editore 1988

La posizione di Singer in merito alle vite meritevoli o non meritevoli di vivere è nota da tempo. Il suo estremismo gli ha procurato controversie accademiche e in molti si sono mossi per rimuoverlo dal ruolo di docente. Aleteia si è già confrontata in modo critico con le tesi di questo pensatore che ha piantato il dibattito della biotetica sui pilastri dell’utilitarismo e consequenzialismo (nomi altisonanti, a breve vedremo in modo semplice cosa s’intende).

Si poteva supporre che l’irrompere della pandemia e un confronto serrato con la morte su scala mondiale potessero aver scalfito l’intransigenza di Singer, ma dalla lunga intervista rilasciata pochi giorni fa al New Yorker emerge invece una netta conferma delle posizioni precedenti in tema di nascita e disabilità.

Al giornalista che gli chiede se sia cambiato qualcosa nel suo pensiero, risponde:

La mia idea resta che i genitori di figli nati con gravi disabilità dovrebbero avere la possibilità di interrompere la vita dei loro bambini, subito dopo la nascita o appena ci sia una diagnosi accurata. Non è vero che sono a favore dell’eutanasia dei bambini disabili. Non è vero che penso che i bambini disabili devono essere uccisi. Penso che debba essere data ai genitori questa opzione.

da The New Yorker
Peter Singer uccisione bambini

Uccidere per non essere crudeli

Se vi sfugge la logica dell’ultima citazione, siete in buona compagnia. Si tratta di quell’escamotage mentale per cui anziché guardare al danno procurato a una persona si punta sul vantaggio procurato ad altri. E già parlare di danno e vantaggio a proposito di essere umani ci catapulta in un pozzo buio, ma questo è l’utilitarismo, baby.

Nell’intervista si parla di argomenti vastissimi, dall’immigrazione ai diritti LGBT, dal veganesimo all’equa distribuzione dei vaccini. Grande spazio è lasciato anche al ricordo delle radici ebraiche di Singer: la sua famiglia fu salvata dalle persecuzioni antisemitiche dei Nazisti in Germania grazie a un cattolico di origine irlandesi che riuscì a farli espatriare in Australia.

Singer afferma di aver desunto da questa tragica esperienza uno dei capisaldi del suo pensiero etico:

Ciò di cui sono stato reso consapevole è l’avversione per il razzismo e la violenza.

Ibid.

Sembrerebbe l’anticamera di un pensiero accogliente e compassionevole, a corroborarlo anche una famosa citazione tratta dal libro considerato il suo capolavoro, Animal liberation:

Prendetevi la responsabilità delle vostre vite, e togliete da esse quanta più crudeltà possibile.

Ma come? Avversione per il razzismo e per la violenza, assenza di ogni crudeltà. Partendo da queste premesse come si può arrivare alla netta chiarezza con cui Singer ritiene giusto che i genitori abbiano la facoltà di sopprimere i figli disabili?

E’ qui che entra in gioco l’orizzonte stretto, cinico (disumano) dell’utilitarismo e del consequenzialismo. E, a loro volta, queste due categorie discendono – evidentemente – dall’ateismo di Singer. Utilitarismo, in soldoni, significa che l’azione moralmente giusta è quella che massimizza la soddisfazione del maggior numero di esseri senzienti (tra cui ci sono anche gli animali, secondo Singer). Consequenzialismo significa che il metro di giudizio sul bene di un’azione sono le conseguenze che produce.

Potrebbe suonare quasi sensato, ma è proprio l’opposto di una visione umana misericordiosa: quanto di noi si salva se guardiamo solo alle conseguenze di ciò che facciamo? E chi non è più capace di agire (i malati gravi, ad esempio) sono perciò solo un peso?

Sulle fondamenta di un pensiero così strutturato, si arriva al paradosso per cui crudele è impedire a una donna di avere un figlio normale perché si sta occupando di uno disabile. Violento è ciò che impedisce la nascita di un bambino con “migliori prospettive di vita”. Sì, fa venire i brividi. Ma è tragicamente coerente con l’assunto ateo.

Il dolore inutile

Senza l’ipotesi della Creazione, l’alternativa tragicamente onesta è quella di essere “misurati” sugli effetti e sulle conseguenze delle nostre azioni. Se non c’è un Padre che innanzitutto dice che ogni cosa è buona in principio, tutto precipita nella trappola moralistica di valutare una presenza dall’utile o inutile che produce. E senza l’ipotesi di un dolore che sia stato redento, la sofferenza è davvero un’obiezione tragica.

Non c’è da stupirsi che uno dei pilastri della filosofia di Singer sia proprio: “il dolore, inteso come qualsiasi tipo di sofferenza fisica o psicologica, è negativo a prescindere da chi lo provi”. Se non c’è una Redenzione del dolore, allora l’uomo può solo indaffararsi a toglierlo – il che implica anche il togliere la vita a chi soffre (e fa soffrire chi lo accudisce).

L’onestà estremista di Singer: non c’è differenza tra aborto e infanticidio

Uno dei grossi punti deboli del pensiero contemporaneo è proprio quello di non osare l’estremismo. Si azzarda un po’, stando sempre nel recinto della comodità. Va dato atto a Singer di essere invece profondamente coerente nel dare un nome chiaro a ogni elemento del quadro umano che dipinge. Finisce che la sua voce risulti scomoda come quella del bimbo che grida che il re è nudo. Ad esempio, da convinto abortista, riesce a mandare all’aria il piano A della propaganda abortista: evitare che l’aborto sia considerato omicidio.

Voglio dire alcune cose in merito. Primo, nei paesi in cui vige il diritto all’aborto quando una diagnosi prenatale mostra che c’è una disabilità, i genitori hanno il diritto di farlo. Non faccio molta distinzione tra aborto e infanticidio. Quelli che dicono che è giusto che una donna abortisca mi devono dimostrare che gran differenza vedono tra un feto prima della nascita e un neonato. Secondo, è data ai genitori la possibilità di sospendere i supporti vitali ai bambini con gravi disabilità. Credo che entrambi i casi descrivano una medesima attitudine verso la disabilità, ed è quella che io difendo.

Ibidem

Già. Ce lo devono spiegare molto bene che strana “magia” succeda passando dal feto al neonato, dando al secondo una connotazione di umanità che si nega al primo. Se nelle attuali discussioni sulla vita si partisse da qui, giocheremmo finalmente nel campo della realtà. Non c’è peggior abortista di quello che crede che non sta uccidendo un uomo.

Il buon senso di un uomo che cura sua madre

La realtà, gran bella cosa. Sono ad anni luce dall’attitudine mentale del professor Peter Singer, eppure c’è un punto dell’intervista sul New Yorker in cui ho visto una benedetta crepa nel suo solido muro filosofico. C’è un momento in cui osserva la sua condotta da figlio di una madre che soffre di demenza:

Sai, ho detto spesso che non faccio abbastanza. Non vivo all’altezza dello standard che ho espresso in Famine, Affluence, and Morality, in cui suggerisco che ci si deve fermare lì dove, se si fa di più, ci si fa tanto male quanto è il bene che si fa all’altro. E’ una pretesa esigente e non ho mai osato dire che sono capace di metterla in pratica. Ho speso soldi per me e per la mia famiglia. I soldi che io e mia sorella abbiamo speso per mia madre, per farla stare bene, sarebbero potuti essere spesi per cose migliori. Ma questo è vero anche per altre cose in cui investo i miei soldi.

Ibidem

Il filosofo utilitarista che è in lui afferma che spendere soldi per una madre malata è uno spreco e che ci sarebbero cause umane più meritevoli di una singola vita “ormai compromessa”. Ma da figlio quei soldi li ha spesi per curare nel modo migliore possibile la madre.

Singer confessa di non aver vissuto all’altezza del proprio ideale utilitarista. Per fortuna, direi. Sembra che nella realtà – ma tu guarda! – si comporti verso la vita più fragile come fanno tantissimi genitori di figli disabili. Dedizione, sacrificio, amore alla persona perché c’è. E’ questa la realtà più cocciuta di ogni filosofia, e per fortuna trova piccoli pertugi per infrangere anche i muri ideologici più duri.

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