«Continuiamo ad assistere a discorsi di odio contro le minoranze, promossi in tutto il paese da estremisti religiosi»: ecco l’allarme sottoscritto dai firmatari di una lettera aperta a papa Francesco comparsa il 5 marzo su iniziativa della yazida Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018. Questi difensori delle minoranze formulano alcune raccomandazioni per i responsabili delle nazioni e degli organismi inter- e sovra-nazionali per ottenere più protezioni e per beneficiare di riparazioni dopo le atrocità subite negli ultimi anni in Iraq.
Sotto l’impulso della yazida Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018, una cinquantina di ONG internazionali e membri della società civile irachena hanno pubblicato una lettera aperta al pontefice argentino, in visita in Iraq dal 5 all’8 marzo. «Ci rallegriamo della visita apostolica di Sua Santità Papa Francesco», scrivono volendo significare che considerano questo viaggio come una
occasione importante per promuovere la pace e la tolleranza raccogliendo le comunità etnico-religiose e ispirando un’azione collettiva per prevenire nuove atrocità.
- «Offrire indennizzi ai sopravvissuti del genocidio dell’Isis e adottare una legislazione che renda giustizia alle vittime»;
- «Mettere in atto misure di sicurezza e dispositivi politici che proteggano per l’avvenire le comunità etnico-religiose»;
- «Modificare le leggi che affettano la religione e la dignità delle minoranze religiose», o ancora
- «Integrare l’educazione sulle minoranze religiose nei programmi scolastici iracheni»: queste sono le raccomandazioni rivolte al governo iracheno, al governo regionale curdo, ai capi religiosi e alla comunità internazionale nella conclusione di questa lettera aperta.
Il timore di nuove atrocità contro le minoranze
Malgrado la disfatta militare dell’organizzazione Stato Islamico in Iraq, i firmatari sono preoccupati per la «minaccia di atrocità future da parte dell’Isis» nella regione:
Noi continuiamo ad assistere a discorsi di odio contro le minoranze, promossi in tutto l’Iraq da estremisti religiosi.
Gli autori della lettera deplorano del resto la progressiva scomparsa del ricco mosaico di comunità etnico-religiose che pure in Iraq esisteva da secoli:
I genocidi permanenti hanno costretto le comunità a fuggire le loro terre ancestrali, distruggendo i legami che uniscono i popoli in questa culla della civiltà.
Fustigando «l’utilizzo abusivo della sharia» che conduce «alla marginalizzazione istituzionalizzata delle minoranze non musulmane in Iraq», i firmatari condannano nondimeno la politica condotta un tempo da Saddam Hussein, come pure l’intervento americano del 2003. Quest’ultimo ha «gravemente destabilizzato le relazioni internazionali» e causato «il collasso dello Stato, una guerra settaria e la proliferazione delle ideologie estremiste e dei gruppi armati».
L’importanza di rendere conto delle atrocità commesse
La lettera sottolinea che la popolazione cristiana è stata ridotta a sole 300mila persone, e che le altre comunità in Iraq hanno terribilmente sofferto, nell’ultimo decennio. Yazidi, Sabei-Mandei, Turkmeni, Kakai e Shabak… tutte queste comunità «si sono trovate a fronteggiare minacce esistenziali, in questi ultimi anni».
Salutando gli sforzi fatti per salvaguardare la libertà religiosa in Iraq, i redattori esclamano di volersi spingere ben più in là, domandando che giustizia sia fatta quanto alle estorsioni già perpetrate:
Senza l’obbligo di rendere conto delle atrocità commesse nel passato, le comunità religiose continueranno ad essere perseguitate e minacciate da reiterate violenze.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]