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Cara Emma, “te stessa” non è la persona migliore con cui passare la vita

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JStone|Shutterstock

Martha, Mary and Me - pubblicato il 14/11/19

L'attrice Emma Watson omaggia "l'orgoglio single" coniando una nuova parola: "self partenered". Ma se è vero che si può essere single e felici, non è certo perché ci siamo illusi di bastarci da soli.

È da un po’ che non gioco a Scarabeo. Da quando sono mamma le parole le trovo così, sul momento: tredici lettere, imprecazione da non pronunciare a un under-two in fase ripeto-tutto-soprattutto-quello-che-non-devo-ripetere, inizia con “che ca…hai combinato” finisce con “qui?”, diventa “che ca…spiterina è successo qui, tesoro?”.

Tre milioni, seicentoventottomila duecentoottantasei lettere, un triplica la parola, un milione di punti per me. E caspiterina anche volendo, non riesce a ripeterlo senza avere più chance di supercalifragilistichespiralidoso.

Comunque io sono brava, ma Emma Watson questo giro ha vinto: per celebrare il single day ha coniato una nuova parola che finalmente potrebbe salvarvi la partita di Scarabeo e nessuno potrà dirvi che non esiste. Self partenered.
Perché single non andava più bene per descrivere i single: da oggi ci sono “quelli che hanno una relazione con sé stessi”, i self partenered, gli “auto associati”, appunto, che lungi dall’essere “solo” da soli, da oggi sono ufficialmente in compagnia di loro stessi e quindi è tutta un’altra musica. Forse solo io vedo l’ironia e forse sono l’unica a cui questa definizione proprio non evoca nulla, tanto meno autostima, perché invece pare che su Google abbia raggiunto qualcosa come otto miliardi e trecentotrenta milioni di click.




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Per fortuna che ci ha pensato Emma a questa battaglia per l’emancipazione degli scapoli e delle zitelle, anche se, fossi io, preferirei di gran lunga questo appellativo invece di essere definita una che ha una relazione con sé stessa. Chi non ce l’ha? Ho almeno quattromilacinquecentoventisette personalità diverse. E non contiamo i giorni pre ciclo. Mi pare una definizione talmente ovvia “stare con sé stessi” che potrebbe sfociare nel ridicolo, ma soprattutto, capisco il buon intento di dire “sto bene anche da solo perché non sono solo (Oddio mi è partito il Jovanotti interiore!), per lo meno non solo e triste come potresti pensarmi o come ci vedono le nostre nonne se non portiamo a casa qualcuno dopo i diciotto anni”, ma se siamo persone davvero emancipate, nonna a parte, ma a lei lo concediamo, credo siamo superiori a certe classificazioni da quinta elementare. Oggi, nel mondo senza etichette, ancora abbiamo paura che alla parola single corrisponda uno stereotipo triste? Oggi, che diventiamo single per stare bene con noi stessi anche a settant’anni?

L’attrice ha dichiarato di essere caduta preda dell’ansia alla soglia dei trenta: niente casa, niente marito, né figli. Niente di quello che il mondo si aspetta.
Intanto mi chiedo se viviamo sullo stesso pianeta, lo stesso dove mi risulta che neanche Barbie faccia più figli, ma sia sempre di più e prima di tutto un donna “in carriera”, tanto per dirne una.
Quella della mamma, tutta figli e marito non mi pare la categoria più agognata al momento e tanto meno la più pubblicizzata. Quindi, Emma, ti lancio un appello, la prossima volta che inventi una parola cool, falla davvero per noi madri, che abbiamo bisogno di una svolta glam dell’immagine.

E poi, è vero, Emma, non è che tutti dobbiamo per forza sposarci, trovare un compagno, fare famiglia eccetera eccetera. Concordo con te che non è l’unica via alla felicità. Anche io ci credo, solo che questa cosa la conosco sotto il nome di “vocazione”.
Va bene essere single, ne conosco di single felici, ma non perché hanno deciso che “sé stessi” era la persona migliore con cui potessero passare la vita, ma perché sanno che stanno camminando con fiducia su un sentiero che Qualcuno ha pensato per loro. Forse li porterà a una famiglia, forse no, ma non sono soli, quel Qualcuno cammina sempre al loro fianco. Qualcuno che li ama molto più di quanto potrebbero amarsi da soli.

Perché la vera felicità non è trovare un uomo con cui sistemarsi o stare bene con quello che siamo, dato che nessuna relazione umana è tutta rose e fiori, neanche quella per accettare noi stessi: siamo tutti a fare i conti con le nostre debolezze e con quelle degli altri e la vera felicità non è dire “sono arrivato”, “mi vado bene” o “tu mi vai bene”.
La vera felicità è donarsi e non intendo solo a un marito o a una moglie. Farsi dono, di te stesso, anche se sei single: ci sono gruppi di ragazzi che aspettano qualcuno che trovi tempo per loro, vecchiette che sarebbero felici di fare due parole dopo la messa con qualcuno che non debba scappare tirato da un duenne affamato, ma anche semplicemente amici, familiari da aiutare e sostenere.




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Non ci si sposa o non ci si sceglie un compagno per non essere più soli. Noi cattolici tipo (quando hai un attimo se svecchi anche questa di parola te ne sarei grata, eh) non abbiamo paura della solitudine perché c’è Qualcuno che non ci abbandona mai e vuole per noi solo la felicità.
È un cammino per tutti, un cammino da fare insieme, dove “stare con te stesso” non ti basta. Non ti può bastare.
È importante trovare un equilibrio interiore, fare i conti con quello che siamo, gioie e dolori, con l’autostima come la chiami tu. È importante per un single, ma anche per chi vive in coppia, ma credo che la vera felicità arrivi quando riusciamo a farci dono per chi ha bisogno di noi, non quando ci illudiamo di bastare a noi stessi.
Altrimenti mi viene da pensare che tutta questa ansia di trovare nuove parole per sottolineare quanto stiamo bene nasconda invece una solitudine reale. Forse non ci servono nuove parole, ma cuori nuovi!

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG MARTHA, MARY AND ME

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