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La legge 40 tiene: aiuto a concepire solo a coppie di sesso diverso

FECONDAZIONE IN VITRO

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Paola Belletti - pubblicato il 24/10/19

Un'altra sentenza della Corte Costituzionale nel giro di pochi giorni che sembra andare a favore della famiglia naturale e del diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà. Ma non tutti i pericoli sono scongiurati, in altri casi i limiti della legge sono stati aggirati, scavalcati o dichiarati illegittimi. Attendiamo le motivazioni della sentenza.

“A colpi di sentenza”, si diceva temendolo, “modificheranno il diritto in tema di famiglia, procreazione, adozione”. Vero ma non su tutto e anzi, in questo caso, la Corte Costituzionale ha invece mantenuto ben fissato al suolo, del buon senso e della carta costituzionale, il muro che delimita almeno nei tratti essenziali il modello di famiglia e di filiazione. Conviene però non farsi prendere da eccessi di entusiasmo.

E comunque restiamo pur sempre nel campo, aberrante e violento della procreazione medicalmente assistita, ma che questa avvenga solo per le coppie di sesso diverso rimane un desiderabile male minore.

Tutto è nato per il ricorso presentato da una coppia lesbica al Tribunale di Pordenone; le due donne dopo essersi viste rifiutate dall’Ass n°5 Friuli Occidentale l’accesso alla PMA che in quella sede ha un polo altamente qualificato si sono fatte avanti sul fronte legale. In questione c’era la legittimità costituzionale dei superstiti limiti della legge 40 la quale impone l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita solo a coppie di sesso diverso.

In ogni caso, poi, l’eccezione risulterebbe infondata, in quanto oggetto del giudizio a quo non è l’erogazione di una prestazione sanitaria a tutela del diritto del cittadino a una specifica cura, ma l’esatta individuazione dei limiti al diritto alla genitorialità: «diritto che, solo incidentalmente, verrebbe veicolato attraverso il ricorso ad un determinato percorso terapeutico». (sentenza 221, Corte costituzionale)

Le coppie che hanno ingaggiato questa battaglia giudiziaria alla quale ha risposto la Corte sono in realtà due, e i tribunali coinvolti sono quello di Pordenone e quello di Bolzano ed entrambi erano giunti a confermare che secondo la legge 40 non c’era possibilità di accesso per le coppie di donne alla PMA e che quindi, forse, andava messa in discussione la legge. Per questo si sono rivolti alla Corte Costituzionale, sperando in una dichiarazione di incostituzionalità.

(…) il giudice a quo rileva che, in base all’art. 5 della legge n. 40 del 2004, «[f]ermo restando quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». Nella specie, le ricorrenti sono maggiorenni, coniugate o conviventi (avendo costituito un’unione civile), in età potenzialmente fertile ed entrambe viventi. Esse rimarrebbero, tuttavia, escluse dall’accesso alla procedura, trattandosi di una coppia di persone non di sesso diverso, ma dello stesso sesso. (Corte costituzionale, sentenza 221)

La Consulta ha accorpato i casi in un solo procedimento e ha deliberato che i limiti della nostra legislazione in materia sono legittimi e sono da confermare.

Nelle premesse viene ricordato che la faccenda è delicata poiché tocca questioni etiche sostanziali ma anche che agli Stati europei è dato ampio margine per regolare la materia. E siccome da noi una legge che regoli la materia esiste dal 2004 i giudici a quella si sono riferiti. E inoltre si muove entro limiti consentiti e non sanzionabili dalla Corte europea (CEDU).

Ovvero ogni singolo stato è libero di regolare come meglio ritiene la materia (ampi margini di apprezzamento, si dice) e l’Italia lo sta già facendo con la legge del 2004, la famosa e già su certi fronti aggirata legge 40. Al suo varo infatti non consentiva affatto fecondazione con gameti esterni alla coppia e alcune sentenze lo hanno poi reso possibile. I limiti imposti dall’età fertile della donna, anche quelli sono stati considerati illegittimi secondo una sentenza del TAR della Lombadia che li ritiene irrazionali ( si sa la natura non si fa riguardo della nostra suscettibilità e anche se una cosa non ci piace continua ad essere vera: concepire dopo i 43 anni rimane parecchio difficile e con evidenti maggiori rischi per la salute di mamma e figlio).


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Comunque sia la legge 40 esiste e in qualche modo resiste se è in nome di quella che i giudici della corte costituzionale hanno ribadito che le coppie dello stesso sesso restano escluse dall’accesso alla PMA. Ovvero le aziende sanitarie hanno rifiutato loro i trattamenti in rispetto alla legge. Per ora.

Così commenta sulle pagine di Avvenire l’avvocato Marcello Palmieri che ricorda i già avvenuti parziali smantellamenti della legge 40 ma sottolinea la tenuta e la valorizzazione della ratio del testo contenuta nella sentenza in oggetto:

È vero: in passato, modificando questa norma, la Corte ha rimosso il divieto di fecondazione eterologa, e pure quello che teneva lontana la provetta dalle coppie portatrici di malattie genetiche, rendendo così possibile la selezione preimpianto degli embrioni da utilizzare per la gravidanza. Ma entrambe le pronunce, sottolinea la nuova sentenza, non solo hanno valorizzato il carattere terapeutico della fecondazione artificiale ma hanno confermato «nella sua globalità l’altra scelta legislativa di fondo: quella, cioè, di riprodurre il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una figura materna e di una paterna». Non a caso, anche la sentenza 162/2014 che ha sdoganato l’eterologa si è premurata di «puntualizzare e sottolineare – si legge sempre nella pronuncia di ieri – che alla fecondazione eterologa restano, comunque sia, abilitate ad accedere solo le coppie che posseggano i requisiti indicati dall’art. 5, comma 1, della legge», vale a dire quelle formate da persone di sesso diverso, maggiorenni, in età potenzialmente fertile. «Di certo – si legge sempre in sentenza – non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato ». (Avvenire)

Il limite dell’età potenzialmente fertile, come abbiamo ricordato ahinoi è già sotto attacco sebbene in ambito regionale; ma è pur vero che in questo pronunciamento viene ribadito e tenuto fermo. Come è rimesso al centro, almeno come coprotagonista, l’interesse del bambino. Questo fatto è importante, a mio avviso, che pure resto una del tutto non addetta ai lavori: si considera il nascituro futuro soggetto cui va riconosciuto il diritto alla migliore condizione di crescita possibile. E tale condizione assomiglia in modo sospetto e rassicurante alla cara vecchia bistrattata ingiustamente detta tradizionale, famiglia naturale.

Sommata all’altra sentenza di soli tre giorni fa circa l’impossibilità di iscrivere all’anagrafe italiana un bambino come figlio di due madri ha perlomeno l’effetto (speriamo non placebo) di calmare e confortare gli animi dei tanti che difendono la famiglia, il matrimonio, il diritto dei figli ad avere una mamma e un papà e quello delle foglie di essere verdi in estate.


LESBIAN, MOTHERS, CHILD

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