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Volete essere santi? Cominciate a lavorare sulla felicità

SISTER CLARE CROCKETT

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Catholic Link - pubblicato il 19/09/19

di Sandra Estrada

A volte crediamo che essere santi sia solo il risultato di sacrifici e penitenze. Ci sentiamo colpevoli per il fatto di riposare, di ridere e piangere con i film romantici. A volte sentiamo che Dio ci giudica quando non stiamo facendo niente o mangiamo quel dolce delizioso anziché salvare qualche anima…

Perché ci costa tanto accettare la felicità?

È un peccato essere felici? Ci sorprende leggere che San Tommaso d’Aquino ha una lista di cinque rimedi contro la tristezza. I Padri della Chiesa ci dicono di non essere tristi perché è la porta del peccato, e “un santo triste è un triste santo”.

Bisogna essere allegri anche per attirare altri alla fede. “Si cacciano più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto”, diceva San Francesco di Sales. Ci sono anche studi che dicono che alcune parabole di Gesù erano piene di frasi come “Guardi la pagliuzza nell’occhio altrui e non la trave che è nel tuo!”

Perché essere felice mi conduce più rapidamente alla santità? Perché è una responsabilità nei confronti di Dio e anche dei fratelli? Meditiamo su questi sei punti.

1. Gesù stesso ha portato felicità

A volte mi chiedo perché Gesù veniva seguito tanto. In quell’epoca di guerre interne, dispute familiari, insicurezza e ingiustizie, Gesù doveva aver portato pace, speranza, allegria e motivazione per andare avanti, e per andare avanti facendo il bene anche ai nemici!

Gsù si è dedicato a guarire i malati, risuscitare i morti e nutrire gli affamati. Perché tra noi si è affermata l’idea per quale più siamo rovinati, migliori cristiani siamo? A volte ci manca di vederci più con gli occhi di un Dio che vuole il meglio per i suoi fratelli e le sue sorelle, di un Dio venuto a soddisfare le nostre necessità.

2. Dio vuole che siamo felici


Un Padre amorevole ama vedere i suoi figli felici. Vuole che mangino bene, che si dedichino a quello che li appassiona, con buoni maestri, buoni amici e tempo libero per riposare e sognare. Dio cerca la nostra felicità fin dall’inizio della Creazione, quando ci ha donato il giardino dell’Eden. Non ci ha creati per la sofferenza, ma per la vita, e la vita in abbondanza.

È ovvio che c’è una felicità che genera più felicità e ce n’è una che genera tristezza – la seconda è falsa. Forse credo che sarò felice mangiando dolci tutti i giorni, ma questo mi porterà solo a malattia e vita sedentaria. Di questa felicità bisognerà misurare la data di scadenza. Molte volte, però, rinunciamo a quello che ci può donare una felicità reale semplicemente perché crediamo che come cristiani dobbiamo soffrire.

Ricordo che stavo facendo un digiuno molto forte nella Settimana Santa e sono andato a un ritiro in un monastero. Quando sono passata per la camera delle monache anziane, mi sono visto come una di loro che era in fase terminale: “Starò vivendo come una morta nella vita? Non vorrebbe quella monaca fare tutto ciò che posso fare io che sono ben nutrita?” Questo episodio mi ha aiutato ad aprire gli occhi e a capire che Dio ci chiama al benessere.

3. Le mie abitudini mi rendono più o meno amorevole?

“Allora si avvicinarono a lui i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo, e i tuoi discepoli non digiunano?»” A volte valorizziamo più le pratiche che le persone. Giudichiamo quello che facciamo dai frutti e non dall’atto in sé.

Se i miei digiuni stanno generando il mio indebolimento, il mio scontento sul lavoro, sono amareggiata in casa, odio tutti nel traffico e voglio uccidere qualcuno alla fine della giornata…

“Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente”. Se quello che sto facendo non mi aiuta ad amare meglio non mi serve a nulla.

4. Quando sono felice, invito gli altri ad essere felici

La mia routine si è riempita di cose che mi davano grande felicità e arrivavo a casa con un altro atteggiamento. Buoni amici, buon riposo, un lavoro che mi piace, non rimanere senza cibo, avere tempo per fare esercizio, un po’ di preghiera senza interruzioni, un buon rapporto con i miei capi e momenti di ozio.

Tutto questo ha delineato sul mio volto un sorriso che nulla sembrava riuscire a togliere – né i malintesi, né le preoccupazioni. Questo mi aiutava a far sì che quando altri mi raccontavano le loro angosce non potevo farli ridere per qualcosa che raccontavo o rilassarsi per la speranza che ispiravo loro.

La felicità, più che un atto egoistico, ci aiuta a stare meglio per le persone e i progetti a cui Dio ci avvicina. Se trascuriamo la nostra felicità, trascuriamo anche chi ci circonda.

6. La felicità si contagia a tutte le missioni della giornata

Ammiro i bravi leader. Sono persone che trovano l’aspetto positivo dei problemi, che notano più i talenti che i difetti, non si arrabbiano quando vengono offese e piuttosto ne ridono. Hanno l’energia per affrontare le sfide con creatività e perfino con rassegnazione se qualcosa non riesce in modo “perfetto”.

Queste persone danno i frutti dello Spirito di Dio: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo; contro queste cose non c’è legge” (Galati 5, 22-23).

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link 

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