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La strage in canonica, il miracolo di Ennio: storie dell’eccidio di Sant’Anna

strage nazisti seconda guerra mondiale

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 13/08/19

Quattro racconti inediti dei sopravvissuti della strage, compiuta settantacinque anni (12 agosto del 1944) dai nazisti nel paesino in provincia di Massa Carrara

Sant’Anna di Stazzema, poco più di 600 metri di altezza nelle Alpi Apuane, in provincia di Massa Carrara. C’è un’unica strada per arrivarci: tante curve e nuvole di polvere. La chiesa, pochi casali sparsi, il bosco. Gli abitanti sono 340, ma nell’estate del 1944 il numero arrivava a duemila con i tanti sfollati di guerra che cercarono riparo in questo piccolo borgo.

Il 12 agosto di quell’anno, i nazisti tedeschi ne uccisero almeno 560. Autori della strage gli uomini del Battaglione “Galler”, ovvero il II Battaglione del 35° reggimento della 16° Panzer-Grenadier-Division, Reichsfurer-SS. Dopo aver programmato l’operazione, i nazisti arrivano a Sant’Anna verso le 7 di mattina, divisi in tre squadre: la strage termina intorno alle 11 quando, devastato il paese, prendono la strada di Valdicastello, continuando a mietere vittime.

La Repubblica (11 agosto) ha pubblicato alcune delle storie più drammatiche, con finali positivi e negativi: ne abbiamo selezionato quattro.

1) L’inferno in canonica

La sera dell’11 agosto le mamme di Sant’Anna cantano la ninna nanna ai figli più piccoli. Quella precedente è stata la Notte di San Lorenzo, ma c’è poca voglia di cercare stelle cadenti. E’ come un presentimento: nessun desiderio potrà mai essere esaudito. Al mattino si spalanca un baratro senza fine. Si diffonde la notizia che i nazifascisti stanno salendo verso il paese.

La moglie di Antonio lo convince a fuggire nei boschi. Bianca e gli otto bambini invece restano nella canonica pensando che donne e bambini non possano mai essere vittime deliberate della guerra. Invece si scatena l’inferno. I tedeschi urlano l’ordine di ammassarsi nella chiesa. Accatastati arredi e paglia danno fuoco a tutti e a tutto. Mostri ripugnanti a mille teste, che non risparmiano neanche i neonati.




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2) La fuga di Cesira

Cesira Pardini, 18 anni, abita in località Coletti con il papà Federico, mamma Bruna e otto tra fratelli e sorelle. E’ la maggiore. Energica, combattiva e allo stesso tempo timida e dolce. Ha le mani segnate dalla fatica dei campi, cammina agile tra i sentieri ripidi e sconnessi della sua terra. Raccoglie ogni cosa commestibile: dalle foglie di cavolo alle erbe dei campi e alle castagne. Sua sorella Anna è appena nata, la mamma Bruna non si è concessa che poche ore per riprendersi dal parto. In casa non ci si ferma mai. Il 12 agosto, la mattina presto, Cesira si accorge dell’arrivo di soldati. Suo papà è già al lavoro nei campi con quattro figli.

I militari sono furie: alcuni a viso scoperto, altri, forse gli italiani arruolati nelle SS, con una retina calata sul viso: “Ci hanno spinto contro il muro, con botte tremende – ricorda Cesira – Con me c’era mamma con la mia sorellina Anna di 20 giorni, Adele di 4, Maria di 16 e Lilia di 10. Spararono alla mamma che mi cadde addosso e morì. Avevano colpito anche me e il dolore era tremendo. Nel cadere sono andata a sbattere contro una porta che non era stata chiusa a chiave. Era la cantina e riuscii ad afferrare Adele, Lilia e Maria. Restammo là come paralizzate, non so per quanto tempo, ma sentivo che il fuoco divorava la casa e rischiavamo di morire bruciate. Scappammo. I tedeschi ci videro e spararono ancora. Poi silenzio. La mia sorellina Anna di nemmeno un mese, era in fin di vita. Morì dopo una settimana di agonia. La vittima più piccola della strage. Morì anche Maria”. A Cesira Pardini nel 2012 sarà conferita la Medaglia d’Oro al Valor Civile.




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3) Il miracolo del giovane soldato

Ennio Mancini ha 6 anni, vive in località Sennari con i genitori, un fratello e la nonna. Il papà lavora nelle vicine miniere di ferro e pirite. All’alba del 12 agosto il signor Mancini è già alzato e vede i soldati tedeschi che si avvicinano. Fa in tempo a far uscire tutti dalla casa, ma sotto la minaccia dei fucili e percossi da calci e spintoni, i nazisti li trascinano verso la piazza della chiesa.

Il plotone marcia speditamente, i Mancini stentano a mettere un passo dopo l’altro, a sorvegliarli rimane un solo, giovane tedesco. Spariti dalla vista i commilitoni, questo soldato indica alla famiglia di tornare indietro. Li salva tutti, un inspiegabile miracolo in quell’inferno infinito. Ennio saprà presto cos’è successo a Sant’Anna, lo sterminio dei suoi amici, di intere famiglie. Il terrore. Davanti agli occhi, indelebile, la scena di corpi irriconoscibili, consumati dal fuoco, deformati. Ennio cresce e va a studiare prima a Pisa poi a Massa. Presto trova lavoro da impiegato nelle miniere di Valdicastello e ne diventa direttore amministrativo e del personale. Nel 1971 fonda insieme ad altri sopravvissuti l’Associazione Martiri.


POPE STEFAN WYSWYNSKI

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4) La pentola di rame

Leopolda Bartolucci, 12 anni, nella strage perde il padre Adolfo. Lei e la mamma Vittoria si salvano perché sono a Pietrasanta. Della loro casa a Sant’Anna, divorata dalle fiamme, rimane intatta solo una pentola di rame.

“Poldina”, morta nel 2009, ha lo straordinario merito di aver raccolto un patrimonio di testimonianze, album di foto con nomi e gradi di parentela. Nei suoi appunti troviamo notizie di ignobili sciacalli che si aggiravano tra i morti per rubare le fedi. E’ grazie a lei se oggi possiamo dare un volto ai tanti bambini uccisi: il grande pannello che si trova al museo di Sant’Anna è opera sua. Ci parla anche di un cappello bruciato, in mostra al museo. Era di suo papà.

La sentenza

Il processo sull’eccidio di Sant’Anna, portato avanti dal procuratore Marco De Paolis e da una gruppo di colleghi, carabinieri, interpreti, storici, consulenti, arriva a sentenza il 22 giugno 2005 con la condanna all’ergastolo di 10 ex appartenenti alle SS.




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