I suoi detrattori ironizzarono sul suo nome storpiandolo in “Paolo Mesto” e “Paolo Sesso”, e cercarono con ciò di stigmatizzare la figura di un uomo schivo e malinconico, decisamente fuori dal proprio tempo. Francesco ha disposto che Papa Montini fosse uno dei sette beati canonizzati nel corso della XV assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che sta parlando proprio di “giovani, fede e discernimento vocazionale”. Abbiamo scelto per voi qualche pagina del grande Papa di Concesio.
Dopodomani Paolo VI verrà canonizzato da Francesco, suo successore sul soglio petrino. Sono naturalmente molte le ragioni che hanno concorso alla fissazione della data del 14 ottobre 2018 per questa canonizzazione, ma poiché nella vita della Chiesa si tende ad osservare con attenzione ogni coincidenza alla ricerca di un καιρός – di una scintilla di rivelazione che trapeli dagli eventi ecclesiali – non potrà sfuggire come Papa Montini verrà canonizzato nel bel mezzo della XV assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi, il cui tema è “i giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.
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Chiaramente su due piedi può sembrare difficile spiegare che cosa Paolo VI possa dire ai giovani, e lo stesso potrebbe dirsi per mons. Romero, l’altro grande prelato che verrà canonizzato domenica: come si fa ad additare a modello ai giovani del nostro tempo un Vescovo che si fece sparare addosso e un Papa schivo che portava il silicio in espiazione dei peccati suoi e di tutta la sua epoca confusa? Nunzio Sulprizio è il più giovane dei beati che verranno elevati alla gloria degli altari domenica… e nessuno si dà gran pena di divulgare la sua vicenda, pure molto significativa per i giovani, per i malati, per i lavoratori…
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Eppure anche Paolo VI, che per stile di vita e temperamento può sembrare lontano assai dai giovani del nostro tempo, ha molto da dire ai giovani, coi quali fu personalmente impegnato per i lunghi anni in cui l’ufficio di assistente ecclesiastico della Fuci era il suo ristoro pastorale dalle aride incombenze curiali. Sono così andato a risfogliare il magistero pontificio montiniano, limitandomi per motivi di spazio a pochi documenti salienti (le encicliche e qualche discorso la cui grande fama impediva di trascurare). Vedrete che i passaggi sui giovani saranno tanto interessanti quanto istruttivi. Andremo a vederli tutti in ordine diacronico, ma un’eccezione era d’obbligo: poiché nella chiusura del Magno Sinodo, il Concilio Ecumenico Vaticano II, il Vescovo dell’antica Roma compiva un atto di magistero straordinario, cominceremo con il Messaggio del Concilio ai giovani, che essendo pronunciato il 7 dicembre 1965 seguirebbe, cronologicamente, alcune delle pericopi che leggeremo a seguire.
È a voi, giovani e fanciulle del mondo intero, che il Concilio vuole rivolgere il suo ultimo messaggio. Perché siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio dell’esempio e dell’insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete o perirete con essa.
La Chiesa, durante quattro anni, ha lavorato per ringiovanire il proprio volto, per meglio corrispondere al disegno del proprio Fondatore, il grande Vivente, il Cristo eternamente giovane. E al termine di questa imponente «revisione di vita»; essa si volge a voi: è per voi giovani, per voi soprattutto, che essa con il suo Concilio ha acceso una luce, quella che rischiara l’avvenire, il vostro avvenire.
La Chiesa è desiderosa che la società che voi vi accingete a costruire rispetti la dignità, la libertà, il diritto delle persone: e queste persone siete voi.
Essa è ansiosa di poter espandere anche in questa nuova società i suoi tesori sempre antichi e sempre nuovi: la fede, che le vostre anime possano attingere liberamente nella sua benefica chiarezza. Essa ha fiducia che voi troverete una tale forza ed una tale gioia che voi non sarete tentati, come taluni i dei vostri predecessori, di cedere alla seduzione di filosofie dell’egoismo e del piacere, o a quelle della disperazione e del nichilismo; e che di fronte all’ateismo, fenomeno di stanchezza e di vecchiaia, voi saprete affermare la vostra fede nella vita e in quanto dà un senso alla vita: la certezza della esistenza di un Dio giusto e buono.
È a nome di questo Dio e del suo Figlio Gesù che noi vi esortiamo ad ampliare i vostri cuori secondo le dimensioni del mondo, ad intendere l’appello dei vostri fratelli, ed a mettere arditamente le vostre giovani energie al loro servizio. Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate, di dar libero corso agli istinti della violenza e dell’odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate: generosi, puri, rispettosi, sinceri. E costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!
La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore. Ricca di un lungo passato sempre in essa vivente, e camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, essa è la vera giovinezza del mondo. Essa possiede ciò che fa la forza o la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste. Guardatela, e voi ritroverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell’amore, il compagno e l’amico dei giovani. Ed è appunto in nome di Cristo che noi vi salutiamo, che noi vi esortiamo, che noi vi benediciamo.
Ultimi nell’ordine, primi nell’intenzione, e non perché la giovinezza sia un valore in sé – così la si riteneva nella vague futurista del nascente fascismo, mentre il Papa disse “voi vi salverete o perirete con essa” – ma perché dei frutti del Concilio avrebbero beneficiato soprattutto le generazioni a venire. A quelle stesse sarebbe stato affidato anche il delicatissimo compito di discernere tra gli effetti buoni e quelli perversi, fisiologicamente inevitabili entrambi, dell’assise sinodale.
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Bello che Paolo VI riesca a definire l’ateismo “fenomeno di stanchezza e di vecchiaia”: senza irrisioni, senza disprezzo e al contempo senza ingiustificati sensi d’inferiorità. Generosi, puri, rispettosi, sinceri: quattro aggettivi che descrivono un programma di vita improntato alla freschezza e all’autenticità.
Se Paolo VI contribuì a quella espansione della portata e della frequenza del magistero pontificio che progressivamente cresceva almeno da Leone XIII in poi, fu certamente lui il riformatore del genere letterario della “prima enciclica”, intesa come documento programmatico. Tutti ricordano la Redemptor hominis di Giovanni Paolo II, la Deus est caritas di Benedetto XVI e la Lumen fidei di Francesco, mentre a malapena gli storici serbano memoria della Ad Petri cathedram di Giovanni XXIII: fu proprio la celeberrima Ecclesiam suam di Papa Montini a cambiare le cose, essendo scritta dichiaratamente allo scopo di «manifestarvi alcuni nostri pensieri, che sovrastano agli altri dell’animo Nostro e che ci sembrano utili a guidare praticamente gli inizi del Nostro pontificale ministero».
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E così, mentre il Vaticano II era ancora in cantiere, Paolo VI si faceva conoscere ai Padri conciliari e ai cattolici di tutto il mondo: il passaggio in cui vengono ricordati i giovani mi sembra molto interessante per via della contestuale condanna del naturalismo – il colmo per un Papa che taluni accusano di modernismo.
Il naturalismo minaccia di vanificare la concezione originale del cristianesimo; il relativismo, che tutto giustifica e tutto qualifica di pari valore, attenta al carattere assoluto dei principi cristiani; l’abitudine di togliere ogni sforzo, ogni incomodo dalla pratica consueta della vita accusa d’inutilità fastidiosa la disciplina e l’ascesi cristiana; anzi talvolta il desiderio apostolico d’avvicinare ambienti profani o di farsi accogliere dagli animi moderni, da quelli giovani specialmente, si traduce in una rinuncia alle forme proprie della vita cristiana e a quello stile stesso di contegno, che deve dare a tale premura di accostamento e di influsso educativo il suo senso ed il suo vigore. Non è forse vero che spesso il giovane Clero, ovvero anche qualche zelante Religioso guidato dalla buona intenzione di penetrare nelle masse popolari o in ceti particolari cerca di confondersi con essi invece di distinguersi, rinunciando con inutile mimetismo all’efficacia genuina del suo apostolato?
E così è si preannuncia l’autore della Sacerdotalis cœlibatus, il cui prisco monito a guardarsi dall’“inutile mimetismo” dovrebbero rammentare quanti ancora oggi sono tentati di riparare ai propri fallimenti pastorali con banali scorciatoie…
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Il 4 ottobre del 1965 Paolo VI prese la parola nell’aula delle Nazioni Unite. Fu il primo Papa a farlo, a pochi giorni dal ventesimo anniversario dell’istituzione: Papa Montini ricordò i giovani proprio nel celebre passaggio in cui si qualificava come “esperto in umanità”.
Il Nostro messaggio vuol essere, in primo luogo, una ratifica morale e solenne di questa altissima Istituzione. Questo messaggio viene dalla Nostra esperienza storica; Noi, quali “esperti in umanità”, rechiamo a questa Organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi Predecessori, quello di tutto l’Episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale.
Dicendo questo, Noi sentiamo di fare Nostra la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle; e di altri vivi ancora, che avanzano nuovi e fidenti, i giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità. E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso. I popoli considerano le Nazioni Unite come il palladio della concordia e della pace; Noi osiamo, col Nostro, portare qua il loro tributo di onore e di speranza. Ecco perché questo momento è grande anche per voi.
Paolo VI fu l’ultimo pontefice della storia recente a fare un uso quasi esclusivo del plurale maiestatis, nei pronunciamenti pubblici, ma tocca corde particolarmente intimi l’evidenza che quel “noi” si adoperava per diventare la voce di tutti gli uomini, «dei poveri soprattutto e di tutti gli afflitti» (cf. Gaudium et spes 1).
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Il 26 marzo 1967 fu pubblicata una delle più celebri encicliche montiniane, quella summa del suo magistero sociale che è la Populorum progressio: a rileggere oggi i numeri in cui si trovano menzionati i giovani veniamo scossi da quel torpore in cui ci confinano i corti tempi della cronaca e tocchiamo con mano che l’ormai inarrestabile ondata migratoria lanciava allora le prime avvisaglie, e Papa Montini tracciava con sicurezza la via della Chiesa, che sempre da Cristo porta all’uomo e dall’uomo a Cristo, poiché «i popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza», e «la Chiesa trasale davanti a questo grido di angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello» (Populorum Progressio 3).
Noi non insisteremo mai abbastanza sul dovere della accoglienza – dovere di solidarietà umana e di carità cristiana – che incombe sia alle famiglie, sia alle organizzazioni culturali dei paesi ospitanti. Occorre, soprattutto per i giovani, moltiplicare le famiglie e i luoghi atti ad accoglierli. Ciò innanzitutto allo scopo di proteggerli contro la solitudine, il sentimento d’abbandono, la disperazione, che minano ogni capacità di risorsa morale, ma anche per difenderli contro la situazione malsana in cui si trovano, che li forza a paragonare l’estrema povertà della loro patria col lusso e lo spreco donde sono circondati. E ancora: per salvaguardarli dal contagio delle dottrine eversive e dalle tentazioni aggressive cui li espone il ricordo di tanta “miseria immeritata”. Infine soprattutto per dare a loro, insieme con il calore d’una accoglienza fraterna, l’esempio d’una vita sana, il gusto della carità cristiana autentica e fattiva, lo stimolo ad apprezzare i valori spirituali.
È doloroso il pensarlo: numerosi giovani, venuti in paesi più progrediti per apprendervi la scienza, la competenza e la cultura che li renderanno più atti a servire la loro patria, vi acquistano certo una formazione di alta qualità, ma finiscono in non rari casi col perdervi il senso dei valori spirituali che spesso erano presenti, come un prezioso patrimonio, nelle civiltà che li avevano visti crescere
[…]
Molti giovani hanno già risposto con ardore e sollecitudine all’appello di Pio XII per un laicato missionario. Numerosi sono anche quelli che si sono spontaneamente messi a disposizione di organismi, ufficiali o privati, di collaborazione con i popoli in via di sviluppo. Ci rallegriamo nell’apprendere che in talune nazioni il “servizio militare” può essere scambiato in parte con un “servizio civile”, un “servizio puro e semplice”, e benediciamo tali iniziative e le buone volontà che vi rispondono. Possano tutti quelli che si richiamano a Cristo intendere il suo appello: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi”. Nessuno può rimanere indifferente alla sorte dei suoi fratelli tuttora immersi nella miseria, in preda all’ignoranza, vittime della insicurezza. Come il Cuore di Cristo, il cuore del cristiano deve muoversi a compassione di questa miseria: “Ho compassione di questa folla”.
Populorum progressio 67-68.74
E dire che qualcuno trovava sorprendente che l’attuale Sinodo sui giovani, sulla fede e sul discernimento stia ponendo tanta attenzione proprio all’emergenza migratoria…
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L’enciclica successiva sarebbe uscita a San Giovanni del 1967: con la Sacerdotalis cœlibatus Papa Montini si pronunciava su una tematica che in quegli anni era particolarmente scottante e sulla quale durante le sessioni sinodali egli aveva avocato a sé la tematica (un esercizio di potere primaziale straordinario, in sede conciliare). Quando in questo documento Paolo VI parla di giovani è chiaro che parla soprattutto dei giovani candidati al sacerdozio o che avvertono in cuore una mozione da sottoporre al discernimento ecclesiale in vista di una consacrazione.
I giovani dovranno convincersi di non poter percorrere la loro difficile via senza una ascesi particolare, superiore a quella richiesta a tutti gli altri fedeli e propria degli aspiranti al sacerdozio. Una ascesi severa, ma non soffocante, che sia meditato e assiduo esercizio di quelle virtù che fanno di un uomo un sacerdote: rinnegamento di sé nel grado più alto – condizione essenziale per mettersi al seguito di Cristo – (118) ; umiltà e obbedienza come espressione di interiore verità e di ordinata libertà; prudenza e giustizia, fortezza e temperanza, virtù senza le quali non può esistere una vita religiosa vera e profonda; senso di responsabilità, di fedeltà e di lealtà nella assunzione dei propri impegni; armonia tra contemplazione e azione; distacco e spirito di povertà, che danno tono e vigore alla libertà evangelica; castità come perseverante conquista, armonizzata con tutte le altre virtù naturali e soprannaturali; contatto sereno e sicuro col mondo al servizio del quale il candidato si dedicherà per Cristo e per il suo regno.
Se la penultima enciclica di Papa Montini smorzò gli entusiasmi di quanti nella sua elezione, avvenuta dopo la morte di Papa Roncalli, avevano salutato l’avvento di un “Che Guevara della Chiesa”… fu con quella successiva che calò su Paolo VI un gelo così spesso da inibire per sempre la sua prolifica produzione di encicliche: dalla Ecclesiam suam alla Humanæ vitæ contiamo infatti sette encicliche in quattro anni; dal 1968 alla morte del Papa annoveriamo dieci anni senza neppure un’enciclica.
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La parola di Paolo VI sulla vita nascente fu dunque per quanti s’erano voluti illudere sul suo conto (semplicemente si erano fidati dei giornali, che quasi mai capiscono veramente di Chiesa) una doccia fredda peggiore di quella che subirono le frotte di entusiasti che si fecero preti convinti che Montini avrebbe abolito il celibato ecclesiastico in pochi mesi. Nell’ultima enciclica Paolo VI, “esperto in umanità”, guardava agli effetti dei contraccettivi nel medio-lungo periodo e vaticinava perfino l’esplosione del fenomeno dei “femminicidi”…
Gli uomini retti potranno ancora meglio convincersi della fondatezza della dottrina della chiesa in questo campo, se vorranno riflettere alle conseguenze dei metodi di regolazione artificiale delle nascite. Considerino, prima di tutto, quale via larga e facile aprirebbero così alla infedeltà coniugale ed all’abbassamento generale della moralità. Non ci vuole molta esperienza per conoscere la debolezza umana e per comprendere che gli uomini – i giovani specialmente, così vulnerabili su questo punto – hanno bisogno d’incoraggiamento a essere fedeli alla legge morale e non si deve loro offrire qualche facile mezzo per eluderne l’osservanza. Si può anche temere che l’uomo, abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezionali, finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna, rispettata e amata. Si rifletta anche all’arma pericolosa che si verrebbe a mettere così tra le mani di autorità pubbliche, incuranti delle esigenze morali. Chi potrà rimproverare a un governo di applicare alla soluzione dei problemi della collettività ciò che fosse riconosciuto lecito ai coniugi per la soluzione di un problema familiare? Chi impedirà ai governanti di favorire e persino di imporre ai loro popoli, ogni qualvolta lo ritenessero necessario, il metodo di contraccezione da essi giudicato più efficace?
Humanæ vitæ 17
Cinquant’anni dopo, oggi, non mancano quanti vorrebbero “aggiornare” (leggi “stravolgere”) il contenuto dell’estrema parola montiniana livellandolo sui desiderata del mondo (che non ha Desiderio), ma chiunque conservi un minimo di libertà e di onestà intellettuale può valutare e giudicare se i giovani di oggi non trovino nella Chiesa di Gesù – nonostante tutto – l’unica interlocutrice capace di una parola severa ma carica di speranza quanto all’avanzare dei popoli della fame, l’unica che difenda la pratica del celibato sacerdotale senza adeguarsi allo svogliato pansessualismo dilagante e che al contempo conservi un indefettibile amore alla vita umana. Viva Paolo VI! Cari giovani, quando Francesco vi suggeriva di andare a «parlare con i vecchi» pensava anche a lui.