Pacomio, l’egiziano, aveva vent’anni quando incontrò Cristo. Decise allora di lasciare l’esercito romano e di andare a vivere solo nel deserto, luogo di prova purificatrice e di incontro con Dio. Poi ha provato il bisogno di condividere il silenzio e la preghiera con dei fratelli, e con tre compagni fondò la sua prima comunità, su una delle rive del Nilo, nell’Alto Egitto. Qualche abitazione, un oratorio, un muro di cinta: il giovane monaco fonda il primo monastero cristiano. Alla sua morte, la sua rete conta nove stabilimenti nella regione. Siamo nel 348: Pacomio non lo sa, ma in trent’anni ha dato vita a un’organizzazione monastica ben regolata che non cesserà di ingrandirsi in Oriente e che sarebbe stata importata anche nell’Occidente cristiano, a cominciare dalle Gallie – ciò avrebbe fatto di lui il padre del monachesimo comunitario.

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Quando Pacomio, nato da modesta famiglia verso il 292 in un villaggio nei dintorni di Kénèh, in Alto Egitto, aveva lasciato l’esercito, era stato accolto da certi cristiani, a Tebe, la cui carità e la cui attenzione verso i sofferenti sconvolsero il suo cuore. Ricevette allora il battesimo. Nel 317, acceso dal desiderio di perfezionare la propria iniziazione religiosa e di darsi interamente alla preghiera, decise di mettersi alla scuola di Palamone, uno dei primi eremiti del deserto, che gli insegnò ad ascoltare il silenzio e a parlare con Dio. Poi il giovanotto raggiunse Antonio il Grande (251-356), molto popolare tra i contemporanei per i consigli e gli insegnamenti che dispensava a quanti volevano condurre una vita spirituale compiuta. La sua vita di eremita comincia e diventa egli stesso una guida per molti discepoli.
Una cittadella di virtù in pieno deserto
Un bel giorno Pacomio, che aveva letto a fondo le Scritture, provò il bisogno di vivere alla maniera della Chiesa primitiva, cioè in comunità, con altri fratelli, formando insieme «un solo spirito e un solo corpo». E fu lì in quel villaggio negletto di Tabennisi, sulle rive del Nicol, che una voce gli disse: «È qui che devi realizzare il tuo sogno». La casa madre del cenobitismo – dal greco κοινός βίος [koinòs bios], che significa “vita comune” – prende vita (336-337): un insieme di edifici, una cappella e degli ateliers, il tutto circondato da un muro di cinta, sul modello delle comunità rurali dell’epoca e degli accampamenti militari romani che, da giovane soldato, Pacomio aveva ben conosciuto. Il suo monastero divenne una cittadella di virtù in pieno deserto. A Tabennisi niente della vita comune è lasciato al caso: si abita sotto lo stesso tetto, si mangia insieme, si esercita il medesimo lavoro – tagliatore, conciatore, scriba, agricoltore… – e si osserva alla lettera un ordine del giorno comune, e tutti portano l’abito monastico, costituito da una tunica senza maniche, un cappuccio, un cappa sulle spalle e una cintura, si legge nel Libro delle Meraviglie che racconta l’epopea degli uomini e delle donne che così fecero la storia della Chiesa e dei cristiani da 2000 anni.
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Per organizzare al meglio la vita monastica, Pacomio edita una Regola composta di 194 articoli – scritti in copto, la sola lingua che conoscesse – i quali sarebbero stati tradotti in greco, in siriaco, poi in latino da san Girolamo, sessant’anni dopo la sua morte, e così quelle parole avrebbero valicato la soglia dell’Occidente ispirando altri testi, fra cui la Regola benedettina. L’ascesi auspicata da Pacomio, fondata su digiuni e veglie, è molto rigorosa ma adattata alle forze di ciascuno. I monaci sono invitati a meditare la Parola di Dio continuamente e a dare prova di grande carità fraterna.
L’espansione
Molto presto, furono decine e poi centinaia gli uomini che si unirono a Pacomio nei nove monasteri da lui fondati in Palestina, a Cipro, in Siria e in Asia Minore tra il 340 e il 350. Alla sua morte si contano due o tremila “Tabennisiani”. Sua sorella Maria fonda il ramo femminile della casa madre sulla riva opposta del Nilo, sottoposta all’autorità del medesimo superiore e alle medesime regole. Tra il 340 e il 360 il modello fu importato in Italia e in Gallia. Attorno all’anno 400, il monaco Giovanni Cassiano, grande conoscitore dell’Oriente, creò un ponte tra il monachesimo orientale e quello occidentale e si videro apparire in Provenza i primi focolari di vita monastica ispirati a questa nuova forma di vita cristiana.

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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]