I ribelli continuano a bombardere da Ghouta verso il centro della Capitale. Le trappiste scrivono una lunga lettera: i media non raccontano questa violenza. Il francescano: vogliono decimare i cristiani
In queste settimane organismi internazionali, cancellerie occidentali e i grandi network dell’informazione hanno lanciato un attacco frontale contro il governo di Damasco e il presidente siriano Bashar al-Assad, accusandoli di colpire in modo deliberato i civili intrappolati a Ghouta est, enclave ribelle alla periferia della capitale.
“Scudi umani”
Ma c’è un’altra guerra, che i media continuano a non raccontare e che denunciano preti e suore cattolici presenti in Siria. Le monache trappiste siriane – confermando quanto affermato dal sacerdote salesiano padre Munir Hanashy – sostengono che in quella zona «sono cominciati gli attacchi verso i civili che abitano nella parte controllata dal governo, e non viceversa». Inoltre, quanti nell’area «non appoggiavano i jihadisti, sono stati messi in gabbie di ferro: uomini, donne, esposti all’aperto e usati come scudi umani».

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La paure dei bambini
«Noi che in Siria ci viviamo – sentenziano le monache – siamo davvero stanchi, nauseati da questa indignazione generale che si leva a bacchetta per condannare chi difende la propria vita e la propria terra».
Più volte, raccontano le religiose, sono andate in questi mesi a Damasco. «Siamo andate dopo che le bombe dei ribelli avevano fatto strage in una scuola, eravamo lì anche pochi giorni fa, il giorno dopo che erano caduti, lanciati dal Ghoutha, 90 missili sulla parte governativa della città. Abbiamo ascoltato i racconti dei bambini, la paura di uscire di casa e andare a scuola, il terrore di dover vedere ancora i loro compagni di classe saltare per aria, o saltare loro stessi… bambini che non riescono a dormire la notte, per la paura che un missile arrivi sul loro tetto. Paura, lacrime, sangue, morte. Non sono anche questi bambini degni della nostra attenzione?», si domandano polemicamente le trappiste.
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Due pesi e due misure
Che poi lanciano una serie di domande provocatorie: «Perché l’opinione pubblica non ha battuto ciglio, perché nessuno si è indignato, perché non sono stati lanciati appelli umanitari o altro per questi innocenti? E perché solo e soltanto quando il governo siriano interviene, suscitando gratitudine nei cittadini siriani che si sentono difesi da tanto orrore (come abbiamo constatato e ci raccontano), ci si indigna per la ferocia della guerra?».
«Preghiamo anche per i jihadisti»
Certo, proseguono le suore, anche quando l’esercito siriano bombarda «ci sono donne, bambini, civili, feriti o morti. E anche per loro preghiamo. Non solo i civili: preghiamo anche per i jihadisti, perché ogni uomo che sceglie il male è un figlio perduto, è un mistero nascosto nel cuore di Dio. Ed è a Dio che si deve lasciare il giudizio, Lui che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva».
Ma questo, concludono, «non significa che non si debbano chiamare le cose con il loro nome. E non si può confondere chi attacca con chi si difende» (Asianews, 5 marzo).