Mi sono accorta che se faccio così, se rimetto in scena, se racconto prima di me, se recupero dettagli interessanti, se condisco con le emozioni, i momenti divertenti, le idee che una data esperienza anche banale mi ha sollecitato, se faccio vedere l’intreccio che continuo a tessere anche mentre loro non mi vedono ma nel quale sono sempre impigliate, allora, occhi e interesse si accendono. Non è un trucco. Non è uno stratagemma per “fregare” le mie figlie e costringerle a fare la loro deposizione.
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Le tratto da uguali. Cioè un attimo. Io sono la mamma e voi le bambine -ok, tu sei una ragazzina, lo so che non sei più una bambina e sì, mi ricordo anche che le carezze non ti piacciono (bugiarda! Lo vedo che sorridi sotto i baffi, ma fa parte del tuo gioco, ora, sbuffare e allontanarti. Salvo poi inventarti scuse come: mamma tocca i capelli, senti come sono morbidi? E la pelle? Vero che la mia è molto liscia?) però ci apparteniamo. La separazione delle ore che ci reclamano ognuno al proprio dovere nel mondo vogliamo riempirla di vita. Vogliamo che anche solo in differita ci sia chiaro che siamo sempre legati.
Alle mie figlie interessa sapere cosa faccio, come sto, cosa penso. Ma non amano essere costrette ad esporre le cronache delle loro mattinate che lì per lì sono solo felici essersi concluse.
Se mi espongo io per prima, invece, senza doverlo chiedere, iniziano a raccontare pure loro. E, anzi, il problema che subito si crea è una sorta di intasamento al centralino. Un accavallarsi di domande, emozioni, virgolettati del compagno che le ha detto “ciao come ti chiami” fingendo di non conoscerla, o la maestra nuova che, sì, mamma, è brava, non dico di no, però è troooooooppo severa.
Ecco, volevo rendere partecipi anche voi di questa bellissima scoperta (dell’acqua calda).
Vi interessa sapere cosa ha fatto vostro figlio a scuola?
Non chiedeteglielo.
Raccontategli la vostra, di giornata. Tutto qua.