A volte il mio scetticismo naturale si impone, ma non riesco a fare marcia indietro
Mio suocero è una delle persone più giuste, pazienti e virtuose che conosca. È sempre disponibile ad aiutare, la sua capacità di perdono è immensa e quando non è disponibile in genere è perché si sta prendendo cura di altre persone o sta insegnando ai membri della sua comunità. È intellettuale, onesto e un essere umano profondamente degno. È anche ateo.
Mio suocero è in parte il motivo per il quale ho rispetto per le persone atee e per cui quando scrivo sull’ateismo in genere ho cose positive da dire. Non penso che sia vero che tutti gli atei sono guidati da egoismo, orgoglio o immoralità. Alcune persone sono atee perché sono state scandalizzate a livello intellettuale o morale da una catechesi povera o dal comportamento sbagliato di chi rappresenta il Vangelo. Altre possono essere come quei lavoratori che stanno fuori al mercato e non sono ancora stati chiamati a lavorare nei campi. La conversione, dopo tutto, è una grazia che ci arriva in base al programma stabilito da Dio.
Ho scoperto tuttavia che quando parlo bene della comunità atea la gente crede spesso che io ne faccia parte, o che ci manchi poco perché mi ci unisca. Ovviamente non posso garantire che non perderò mai la mia fede (nessuno può farlo), ma non sono decisamente un’atea.
Sono scettica, e ne so abbastanza per sapere che lo scetticismo è un tratto della personalità profondamente radicato che non svanirà. Non sono mai stata capace di quel tipo di fede comoda e stabile. Metto costantemente in discussione qualsiasi cosa e cerco sempre risposte migliori – per poter rispondere meglio non solo ai dubbi altrui, ma anche ai miei. Ho un enorme rispetto per chi è capace di nutrire una fiducia semplice e da bambino in Dio e nella Chiesa. Ma io non sono quel tipo di bambino. Per me essere come un bambino vuol dire essere come quel piccolo di tre anni che ha sempre mille perché.

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