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Il conforto dell’ateismo e la consolazione della fede

ATEISMO FEDE CONFORTANTE

Christof Stache | AFP

David Mills - pubblicato il 23/06/17

Non credere in nulla richiede pochi sforzi. Per avere fede, invece, è necessario il pensiero critico e soprattutto autocritico

“La cosa più fastidiosa che chi non è religioso possa dire”, scrive uno sceneggiatore di Hollywood, “…non è che la religione sia opprimente o che le persone religiose abbiano subito un lavaggio del cervello”. Dorothy Fortenberry scrive sul Los Angeles Review of Books, non esattamente il luogo in cui ci si aspetterebbe di trovare una cattolica che spiega il motivo per cui lo è. Il pezzo è stato anche pubblicato nell’edizione cartacea.

La cosa più fastidiosa è “il modo cortese e condiscendente in cui chi non è religioso dice, ‘Sai, a volte vorrei essere religioso. Vorrei poter avere quella certezza. Sembra essere così consolatorio, il fatto di non avere mai alcun dubbio’ “.

In realtà è Fortenberry a voler avere tante certezze quanto i suoi amici atei. Non lo dice espressamente, ma lascia intendere che se fosse certa che Dio non esistesse, lei sarebbe più felice con se stessa. Il cattolicesimo ci consola, certo, ma – strano a dirsi – non conforta tanto quanto l’ateismo.

Siamo individui a pezzi, che viaggiano insieme

Il conforto che lei trova nella Chiesa è il conforto di appartenere ad un corpo del genere. Le piace cantare e pregare insieme. Le piace essere parte di un popolo. “In chiesa non sono una persona speciale”, dice. La Chiesa ci dice che Dio ama ognuno noi allo stesso modo. “Siamo tutti ugualmente speciali. Le cose che mi rendono orgogliosa, qui non possono affatto aiutarmi; le cose di cui mi vergogno sono invece irrilevanti. Sono una persona ma, per 60 minuti, non sono una personalità”.

Purtroppo lei non tratta abbastanza il conforto della dottrina della Chiesa, perché non ci crede in modo totalmente coerente, come ammette lei stessa. “Pensandoci anche con un minimo di razionalità, la preghiera non ha senso”, dice. Aspetta un secondo, vorrei dire, parliamo del tuo concetto errato di razionalità. Se continua a pregare, come lei sembra voler fare, un giorno ne vedrà la ragione.

Credo che, se leggo bene ciò che ha scritto, lei non voglia davvero il conforto di essere atea. È un’illusione affascinante, perché è così semplice e facile. Nessun Dio, niente di cui preoccuparsi. Nessun Dio, nessun inferno sotto di noi, ogni persona che vive per l’oggi, condividendo il mondo. Immaginalo.

Non funziona in questo modo. Come sostiene il Balordo de “Un brav’uomo è difficile da trovare” di Flannery O’Connor, se non c’è Dio “non ci resta che goderci meglio che possiamo i pochi minuti che ci avanzano: uccidendo qualcuno, bruciandogli la casa o facendogli qualche altra cattiveria. Non c’è piacere al di fuori della cattiveria”. Immagina non ci sia alcun Paradiso: ecco che il Balordo spara alla tua famiglia.




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Dio è nel Suo Cielo, ma…

L’ateo sembra pensare che il cristianesimo equivalga alla lieta visione della vita che Robert Browning ha illustrato nel breve passaggio conosciuto come “La canzone di Pippa”:

“L’anno è a primavera;E il giorno è al mattino;[…]L’allodola è sull’ala;La lumaca è sulla spina;Dio è nel Suo cielo;Tutto va bene nel mondo!”

Soltanto a volte, ma di base non è così. Il cristianesimo conforta, ma lo fa attraverso la Croce. Richiede una visione della vita ben più sottile e sofisticata di quella degli atei o di Pippa. Tra le altre cose, costringe a vedere se stessi più chiaramente. Dio è nel Suo cielo, e tutto va bene nel mondo, tranne me.

In realtà no, non tranne me. Dato che a me non va tutto bene, Gesù si è fatto uomo e ha lasciato che i Romani lo torturassero a morte. Ascoltare queste parole è un sollievo? Sì. Ma è confortante? Sì e no. Il cristiano vede entrambi gli aspetti: il “sé” che lo ha mandato sulla Croce, e il Gesù che cammina fuori dalla tomba.

Vedere se stessi più chiaramente

Fortenberry spiega cosa voglia dire vedere se stessi più chiaramente. “Non è affatto confortante sapere quanto sono subdola, quando in realtà dovrei essere generosa tanto quanto chiede Gesù”, scrive. La Chiesa le mostra il tipo di persona che vuole essere, ma di conseguenza anche il fatto che non riesce ad esserlo:

“Niente fa avere più consapevolezza di sé come rifiutarsi di portare i bambini a visitare i loro genitori in carcere. O evitare i propri turni al banco alimentare. O calcolare quanto mettere nel cestino della raccolta. Grazie alla Chiesa, ho guardato intensamente nel mio cuore, e ho scoperto che non è poi così grande. E niente di tutto ciò è particolarmente confortante”.

La Chiesa, dice lei, “è un gruppo di individui a pezzi, uniti solo dalla propria limitatezza, che viaggiano insieme per chiedere di essere sanati”.




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Confortante? Non nel modo in cui gli atei pensano che sia. Ma sì, lo è.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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