Partendo da questa lettura ho potuto dedurre tre aspetti importanti che hanno trovato perfettamente senso se inseriti nella mia esperienza a Siena:
1. La bellezza è luce

A cosa è collegato il colore? Alla luce. I colori sono i primi testimoni della luce. Se non c’è luce non c’è alcun colore. Padre Rupnik usa un buon esempio: cos’è che splende quando partecipo a una liturgia in una chiesa oscura, nella quale ci sono solo delle candele accese? Le cose che hanno colore, che proiettano la luce, come le vetrate o i mosaici che hanno oro o colori dorati e che sono belli perché sembra che la loro luce venga dall’interno. È una luce che apre le porte a un mistero che sembra nascosto. Posso dire che è la stessa luce che brillava quel giorno in quelle 223 ostie in cui è nascosta la Bellezza stessa.
2. Non c’è bellezza senza unità

Una parola associata alla bellezza è “unità”. Sperimento la bellezza reale di una persona perché sono unito a lei. Mi riferisco alla bellezza della quale stiamo parlando, quella che va al di là della forma. La bellezza si manifesta come unità con quello che consideriamo bello, unità perché ci identifichiamo in qualcosa, perché c’è qualcosa che ci piace, perché c’è qualcosa che richiama la nostra attenzione, qualcosa che ci attira e ci invita a unirci con forza a quella persona o a quella cosa che è bella. La stessa attrazione emanata quel giorno da quelle 223 ostie in cui è nascosta la Bellezza stessa.
3. Siamo “accesi”

L’altra esperienza che distinguiamo quando riconosciamo qualcosa come bello è che ci entusiasma. Sentiamo come veniamo illuminati da dentro da una forza traboccante di allegria che non proviene da noi, ma da quello che vediamo o percepiamo con i nostri sensi. Sentiamo letteralmente che qualcosa si accende dentro di noi. Può essere una fiamma piccola o grande, ma nasce qualcosa. E pensare che cerchiamo tutta la vita di accenderci con i nostri mezzi! Ma questo non è possibile: abbiamo bisogno che qualcuno alimenti costantemente la nostra speranza, una presenza, una persona reale.
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