E solo pensare che dovremo ricucire e gettare continuamente le nostre reti per anni ci inquieta. Navigare vicino alla riva con la nostra povera barca. E pescare pochi pesci.
E realizzare opere di poco conto, sempre le stesse. Senza aver mai spiccato in nulla di importante. Senza aver raggiunto una pesca miracolosa, qualcosa che sia degno di essere raccontato.
Ci spaventa quell’abisso della semplicità, della routine, del silenzio, del tempo cadenzato che ci conduce per mano fino all’ultimo giorno della nostra vita. È una paura inconfessabile che tutti portiamo in noi. La paura di non vivere davvero, in pienezza.
La paura di perdere tutto nel tentativo di amare con tutta l’anima. La paura di non riuscire ad amare pienamente, con un amore eterno. E di non essere amato con lo stesso amore eterno. Come vinciamo quella paura?
Diceva Steve Jobs: “Se ogni giorno ti guardi allo specchio e pensi ‘Oggi può essere il mio ultimo giorno’, un giorno indovinerai”.
La paura della morte, di non lasciare nulla quando ce ne saremo andati, si supera se viviamo ogni giorno nel presente. Se viviamo sospesi in quell’ora in cui Gesù viene sulla mia barca e mi chiede di rischiare di più, di amare più profondamente, di lasciare tutto.
Si gioca qui e ora. Sapendo che un giorno non ci saremo più. Si gioca in questo istante sacro in cui posso dire “sì” a Dio con tutta l’anima e allontanarmi taciturno cercando il mio riposo.
Si gioca quando accetto che tutto ciò che ho davanti riposa solo in Dio.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]