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Cosa si intende per scelta preferenziale per i poveri?

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© Andrew Holbrooke

Aggiornamenti Sociali - pubblicato il 15/06/15

E' vero che ha origine nella teologia della liberazione?

di Alain Durand

L’espressione “scelta [oppure, spesso, “opzione”, N.d.R.] preferenziale [oppure “prioritaria”] per i poveri” è stata pienamente integrata nella dottrina sociale della Chiesa da Giovanni Paolo II. Essa proviene dall’America Latina, in primo luogo dalla corrente della teologia della liberazione, ma anche dalle riflessioni sviluppate dai vescovi in due dei periodici incontri della CELAM (Conferenza episcopale dell’America Latina e dei Caraibi). Nella Conferenza di Medellín (1968) si è inteso mirare a una «distribuzione degli sforzi e del personale apostolico che dia preferenza effettiva ai settori più poveri e bisognosi» (CELAM 1968, cap. 14, n. 9). Ma sarà a Puebla (1979) che l’espressione «opzione preferenziale per i poveri» verrà direttamente utilizzata (CELAM 1979, nn. 1134-1165). Si può dire che di là essa si estenderà alla Chiesa intera. Precedentemente, subito prima dell’apertura del Concilio Vaticano II, nel Radiomessaggio dell’11 settembre 1962, Giovanni XXIII aveva dichiarato: «la Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri». Il Concilio stesso parlerà poco della povertà, appena menzionata nella costituzione pastorale Gaudium et spes (nn. 3, 69, 88). Tuttavia un gruppo informale di lavoro, composto da una quarantina di Padri conciliari e animato dall’arcivescovo brasiliano dom Helder Câmara, diffonderà alla fine del Concilio un testo importante, di grande vigore, sull’impegno della Chiesa al servizio dei poveri, noto come «Patto delle catacombe» in quanto firmato al termine di una celebrazione eucaristica nelle catacombe di Domitilla, a Roma, il 16 novembre 1965.

Le origini nel contesto latinoamericano
L’espressione “scelta preferenziale per i poveri” è apparsa in un continente profondamente segnato da una presenza massiccia dei poveri, ma soprattutto dall’emergere della loro coscienza sulla scena continentale. Era l’epoca in cui imperversavano in America Latina numerose dittature che ricorrevano a metodi repressivi nei confronti dei movimenti popolari e in cui si installavano imprese Scelta preferenziale per i poveri 801 cristiani e cittadini multinazionali dal comportamento predatorio. Ugualmente, il continente era oggetto di forti pressioni nordamericane: il famoso rapporto Rockefeller (1969) e i successivi due documenti di Santa Fe raccomandavano all’amministrazione statunitense di lottare contro la teologia della liberazione, giudicata nefasta. In questo contesto, a un certo numero di teologi e di pastori non appariva più possibile pensare la fede cristiana senza articolarla con una pratica sociale e politica che favorisse la liberazione dei poveri. Erano condotti a rileggere la Bibbia a partire dalla situazione dei poveri, pratica divenuta abituale nelle comunità ecclesiali di base. A poco a poco si costruì un discorso teologico che assegnava ai poveri un posto centrale nella comprensione della fede e orientava al tempo stesso verso la costruzione di una “Chiesa dei poveri” e a un cambiamento delle strutture sociali oppressive. La teologia della liberazione fece così della scelta preferenziale per i poveri l’asse centrale della propria riflessione. A questa teologia sono dedicati due documenti della Congregazione per la dottrina della fede, allora presieduta dal card. Joseph Ratzinger. Il primo (Istruzione LN 1984) è di impianto fortemente critico; il secondo (Istruzione LC 1986) è più costruttivo. Uno dei rimproveri principali mossi alla teologia della liberazione, e quindi anche alla sua concezione della scelta preferenziale per i poveri, è il riferimento al marxismo. In contrasto con i teologi della liberazione, il primo documento respinge ogni posizione secondo cui sarebbe possibile utilizzare gli strumenti concettuali del marxismo senza accettarne l’ideologia generale e l’ateismo. L’altro rimprovero principale è di ridurre la fede cristiana a una prospettiva di liberazione temporale, sociale e politica. Evidentemente questi dibattiti sarebbero poi stati interpretati “politicamente” e non solo “teologicamente”: ci si accusava gli uni gli altri o di fare il gioco degli oppressori dei poveri, o all’opposto di fomentare una rivoluzione violenta e settaria, pericolosa per i poveri quanto per la Chiesa. Infine – e forse soprattutto – gli approcci teologici erano difficilmente conciliabili: nettamente induttivo quello della teologia della liberazione (partire dalla realtà storica), tradizionalmente deduttivo quello della Congregazione romana (partire dalla fede e dal dato dogmatico). Il “martirio” di molti cristiani vittime delle dittature, il crollo dei regimi comunisti e l’avvento al loro posto di governi democratici in vari Paesi latinoamericani, l’esaurimento dei movimenti rivoluzionari e di guerriglia, l’emergere di nuove analisi del sottosviluppo, una migliore percezione della diversità delle forme di povertà hanno contribuito a modificare il paesaggio ideologico, benché la povertà rimanesse e rimanga ancora una questione centrale in America Latina. Anche la politica vaticana di nomina dei vescovi latinoamericani ha contribuito a modificare il paesaggio ecclesiale. La teologia della liberazione ha perduto forza, ma ha continuato il suo cammino sviluppando un approccio più complesso alla povertà.

Il magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI
Sembra oggi possibile trovare un accordo sull’importanza evangelica di una scelta per i poveri e sul fatto che essa sia necessaria da parte di tutti i cristiani. Si riconosce più facilmente che tale scelta può tradursi in comportamenti diversi e fare riferimento a modelli di società differenti. Ci si può tuttavia chiedere se questa scelta, guadagnando in estensione e in consenso ecclesiale, non abbia perduto di intensità e di potere di mobilitazione evangelica. 802 Alain Durand Chi sono i poveri? Innumerevoli testi del magistero precisano che i poveri sono quanti soffrono di condizioni disumane per quanto riguarda il cibo, l’alloggio, l’accesso alle cure mediche, l’istruzione, il lavoro, le libertà fondamentali. La povertà è dunque una privazione grave di beni materiali, sociali, culturali che minaccia la dignità della persona. «“Poveri”, nelle molteplici dimensioni della povertà, sono gli oppressi, gli emarginati, gli anziani, gli ammalati, i piccoli, quanti vengono considerati e trattati come “ultimi” nella società» (VC, n. 82). La povertà non si limita dunque alla deprivazione materiale. La dimensione sociale della povertà è essenziale: i poveri sono “gli ultimi”. Benedetto XVI parla di «emarginazione, povertà relazionale, morale e spirituale», di «persone interiormente disorientate» (Messaggio per la giornata mondiale della pace 2009, n. 2), manifestando così la complessificazione della conoscenza della povertà, che del resto è propria di molti ricercatori. A seconda delle circostanze sono ugualmente menzionati le donne vittime di discriminazione e di violenza, i bambini, i senza terra, i senza alloggio, i migranti, i rifugiati, le minoranze etniche, ecc. Le giustificazioni di questa scelta prioritaria per i poveri appartengono – sottolinea il magistero – al cuore stesso della fede. Vivendola, il cristiano si fa «imitatore della vita di Cristo» (SRS, n. 42). La Chiesa «dimostra un amore preferenziale per i poveri e i senza voce, perché il Signore si è identificato con loro in modo speciale» (Ecclesia in Asia, n. 34). Infatti, «stando alle inequivocabili parole del Vangelo, nella persona dei poveri c’è una sua [di Cristo] presenza speciale, che impone alla Chiesa una opzione preferenziale per loro» (NMI, n. 49). È il Signore stesso, secondo il cap. 25 del Vangelo di Matteo, che ci interpella di fronte ai drammi della indigenza totale (cfr SRS, n. 13). Poiché «Gesù è venuto ad “evangelizzare i poveri”» (Matteo 11, 5; Luca 7, 22), occorre sottolineare con decisione «l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati» (TMA, n. 51). Essa è «testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa» (SRS, n. 42). La scelta per il povero è radicata nella fede in un Dio che si è fatto povero in Cristo. Come ha sottolineato Benedetto XVI, «l’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà» (Benedetto XVI 2007, n. 3). Si tratta dunque di una scelta che è al tempo stesso teocentrica e cristologica. Tale scelta, tuttavia, «non è mai esclusiva né discriminante verso altri gruppi» (CA, n. 57). Non implica rifiuto o disinteresse nei confronti di coloro che non fossero poveri, ma sottolinea chiaramente che i poveri hanno diritto al primo posto nelle preoccupazioni dei credenti. Inoltre non è riservata ad alcuni soltanto, poiché «si riferisce alla vita di ciascun cristiano» (SRS, n. 42). In questo senso non è una opzione facoltativa, ma una scelta, una decisione, a cui ogni credente è invitato. Si fonda sulla vocazione cristiana da tutti condivisa, anche se ciascuno – persone o gruppi – può contribuirvi in maniera differenziata: «La Chiesa […] invita i credenti in Cristo a manifestare, in modo concreto e in ogni ambito, un amore preferenziale per i poveri» (Messaggio per la giornata mondiale della pace 2005, n. 8). Questa scelta costituisce «una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana» (SRS, n. 42; cfr CA, n. 11), ovvero l’attuazione del principale comandamento del Signore. L’uso del termine “carità” è sgradito ad alcuni, che preferirebbero parlare di giustizia. Ma la carità non è estranea alla giustizia, perché la ricerca della giustizia si radica per il credente nella carità (cfr CV, n. 6). Mentre Giovanni Paolo II ricorreva più voScelta preferenziale per i poveri 803 cristiani e cittadini lentieri ai termini giustizia e solidarietà, Benedetto XVI si esprime più immediatamente in termini di carità, senza per questo ignorare il posto essenziale della giustizia (cfr DC nn. 26-31; CV, n. 6 ).

Dimensione politica ed ecologica
La scelta per i poveri si estende al vasto campo delle nostre «responsabilità sociali» e alle «decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l’uso dei beni» (SRS, n. 42). L’attuazione di questa scelta esige dunque che si prendano in considerazione gli insegnamenti sociali della Chiesa riguardanti la proprietà, l’uso dei beni e la loro destinazione universale. Esige altresì l’impegno a modificare le strutture economiche e sociali che causano la povertà. Dare il superfluo non basta, occorre soprattutto che cambino «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società» (CA, n. 58; Messaggio per la giornata mondiale della pace 2009, n. 15). È questa la dimensione “politica” della scelta prioritaria per i poveri. Da qualche tempo l’insegnamento del magistero si mostra sensibile alla questione ecologica, stabilendo un legame di carattere generale tra difesa dell’ambiente, avvenire dell’umanità e sviluppo (cfr CV, nn. 48-52). In futuro la questione potrebbe essere considerata nella prospettiva più specifica di un legame diretto e immediato tra ecologia e lotta contro la povertà.
CA = Giovanni Paolo II, lettera enciclica Centesimus annus, 1991. 
CV = Benedetto XVI, lettera enciclica Caritas in veritate, 2009. 
DC = Benedetto XVI, lettera enciclica Deus caritas est, 2005. 
GS = Concilio Vaticano II , costituzione pastorale Gaudium et spes, 1965. 
LC 1986 = Sacra Congregazione per la Dottrina della fede, Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione Libertatis conscientia. 
LN 1984 = Sacra Congregazione per la Dottrina della fede, Istruzione su alcuni aspetti della “teologia della liberazione” Libertatis nuntius. 
NMI = Giovanni Paolo II, lettera apostolica Novo millennio ineunte, 2001. 
SRS = Giovanni Paolo II, lettera enciclica Sollicitudo rei socialis, 1987. 
TMA = Giovanni Paolo II, lettera apostolica Tertio millennio adveniente, 1994. 
VC = Giovanni Paolo II, esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata, 1996. Benedetto XVI (2007), Discorso alla Sessione inaugurale dei lavori della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi, Santuario dell’Aparecida (Brasile), 13 maggio. 
— (2009), Combattere la povertà, costruire la pace. Messaggio per la celebrazione della XLII Giornata mondiale della pace, 1° gennaio. CELAM 1968, II Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano (Medellín), Documento finale. 
— 1979, III Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano (Puebla), Documento finale. 
Ecclesia in Asia = Giovanni Paolo II, esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Asia, 1999. 
Giovanni XXIII, Radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo, a un mese dal Concilio ecumenico Vaticano II, 11 settembre 1962. 
Giovanni Paolo II, Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male. Messaggio per la celebrazione della XXXVIII Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2005. 
Sobrino J. (2012), «Quell’intuizione rimasta fuori dall’aula», in Popoli, novembre. 
The Rockefeller report on the Americas (1969), Quadrangle Books, Chicago (USA). 
Vanzan P. (ed.) (1995), Enchiridion. Documenti della Chiesa latinoamericana, EMI, Bologna. 

La rubrica «Cristiani e cittadini» è realizzata in collaborazione con il CERAS (Centre de Recherche et Action Sociales di Parigi) e la sua rivista Projet. I testi originali sono disponibili sul sito www.ceras-projet.org/. La traduzione italiana è a cura di Rocco Baione SJ. Per i testi del magistero si fa riferimento alla versione disponibile su http://www.vatican.va.

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