Aleteia logoAleteia logoAleteia
sabato 27 Aprile |
Aleteia logo
Approfondimenti
separateurCreated with Sketch.

La cultura alla mercè dello Stato Islamico

St. Thecla Monastery, Ma’alula, Rif Dimashq Governorate, Syria – it

James Gordon

John Burger - Aleteia - pubblicato il 09/09/14

Antiche tavolette di pietra, monasteri, canti: tracce della civiltà potrebbero scomparire

I costi umani, è ovvio, sono la preoccupazione principale in questo tremendo periodo di terrore che sconvolge l’Iraq e la Siria: l’assassinio di persone innocenti, lo stupro e la schiavizzazione delle donne, lo sradicamento forzato e brutale di una popolazione i cui antenati hanno vissuto in quei luoghi per innumerevoli generazioni…

Ma la storia della civiltà, in tracce che vanno da tavolette di pietra e sculture di leoni alati ad antichissimi monasteri, cantici e perfino lingue, corre il rischio di estinguersi sotto il califfato che gli estremisti dello Stato Islamico stanno cercando di istituire in Siria e in Iraq.

Il mondo ha già testimoniato l’esplosione della tomba di Giona, moschea in cui, secondo la tradizione, era sepolto il profeta che predicò agli abitanti di Ninive. Ora si crede che reperti archeologici di valore inestimabile possano essere soggetti a traffici per finanziare ancor di più una jihad che conta già su abbondanti finanziamenti.

Un rapporto diffuso questa settimana da Amnesty International spiega il fenomeno che la stessa organizzazione ha definito “pulizia etnica in Iraq”. Oltre a uccidere cristiani, yazidi e altre minoranze religiose, lo Stato Islamico sta costringendo queste minoranze ad abbandonare la propria terra natale in modo così completo da non lasciare neanche un segno del proprio passaggio.

“Lo Stato Islamico ha rafforzato il messaggio per cui non c’è posto per le minoranze etniche e religiose in Iraq mediante la distruzione sistematica dei loro luoghi di culto e del loro patrimonio culturale”, dichiara il rapporto. “Da quando ha conquistato la città di Mosul il 10 giugno, lo Stato Islamico distrugge anche luoghi di culto delle comunità musulmane non sunnite. Tra i primi obiettivi ci sono state le moschee sciite esplose a Mosul e Tal ‘Afar a giugno. Nello stesso mese, una statua di Maria è stata tirata giù dalla sommità della chiesa cristiana di Tahira (dell’Immacolata), sempre a Mosul. A luglio è stata distrutta la tomba del profeta Giona, ancora una volta a Mosul. Ad agosto sono stati assaltati il santuario sciita Imam Rida Maqam, vicino Bartalla, i tre templi fratelli degli yazidi a Bashiqa e il tempio Sheikh Mand a Sinjar, oltre ai templi Kakai Mazar Yad Gar e Sayed Hayyas, a Al-Hamdaniya”.

“In Siria, migliaia di cristiani sono stati espulsi dalle proprie case in questi tre anni di conflitto”, ricorda un reportage della Associated Press (AP). “Città e villaggi cristiani sono stati attaccati dai jihadisti. Il caso più recente è quello della storica Mahradeh. All’inizio di quest’anno, i miliziani islamici in Siria hanno invaso l’antica città cristiana di Maaloula, vicino Damasco, distruggendo chiese e icone storiche”.

Giovedì scorso, il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako ha scritto che il silenzio del mondo di fronte a questa situazione “spinge lo Stato Islamico ad andare avanti in questa guerra feroce contro la cultura e la diversità e a minacciare la sicurezza intellettuale e sociale”.

Il patriarca ha fatto risuonare l’allarme almeno da giugno, quando le forze dello Stato Islamico hanno devastato la frontiera con la Siria e hanno preso Mosul, la seconda città dell’Iraq, dando inizio all’imposizione della conversione all’islam o dell’esodo forzato dei cristiani. La fuga continua di cristiani dal Medio Oriente, che era già in atto anche prima dell’azione dello Stato Islamico, “può porre fine alla sua ricca eredità culturale, sopravvissuta per secoli in questa terra”, ha osservato il patriarca. “Cosa accadrà alle antichissime chiese e ai monasteri, come la chiesa di Koche, nei pressi di Baghdad, o a Tahira, Sant’Isaia, Miskenta, San Tommaso, Marhudeini, il monastero di San Michele a Mosul e la Chiesa Rossa di Kirkuk, tutti risalenti al periodo tra il V e il VII secolo dell’era cristiana? Cosa succederà agli antichi manoscritti e a una lingua, l’aramaico, sconosciuta nel resto del mondo, se coloro che ne hanno sempre garantito la vita e la conservazione scompariranno?”

Monsignor Sako teme anche una “potenziale distruzione se l’integrità di questi luoghi fosse compromessa dalle operazioni militari”.

Ancor più rilevante dell’eredità cristiana in Iraq e in Siria, come ogni studente impara a scuola, è il fatto che la terra in questione è nota come “la culla della civiltà”. La Mesopotamia, la terra tra i due fiumi, è un’area piena di siti archeologici. “È tutta una cultura ad essere in gioco, perché è il luogo in cui è nata la scrittura e si sono sviluppate la storia e la cultura”, ha commentato il sacerdote domenicano Marcel Sigrist in un’intervista recente. Sigrist è esperto in assiriologia e dirige la Scuola Biblica e Archeologica Francese di Gerusalemme. “Abbiamo 5.000 anni di scrittura, in tutte le forme, su tavolette d’argilla, su statue, su pietra. Tutte esistono lì e ora stiamo vedendo persone poco istruite pronte a distruggere tutto”.

Sigrist ha affermato che sotto il regime di Saddam Hussein le reliquie culturali erano conservate in musei e molti stranieri andavano in Iraq per studi ed esplorazioni. “Si prosperava intellettualmente, in termini di archeologia, di storia”.

Purtroppo, durante la prima Guerra del Golfo, le forze nordamericane non hanno protetto i musei, che sono stati saccheggiati. “Hanno iniziato subito a ricostruire, perché sanno che tutto il turismo dipende da questo”, ha osservato padre Sigrist.

Il domenicano è stato in Kurdistan per una conferenza sull’archeologia poco prima che lo Stato Islamico invadesse il nord dell’Iraq. Tra gli abitanti locali, ha percepito il sentimento della necessità di salvare la sua cultura.

Di recente, però, sembra essere emersa una nuova tendenza preoccupante. Un articolo del New York Times, pubblicato venerdì scorso, informa che lo Stato Islamico non sta solo lucrando con le antichità rubate, ma sta turbando un delicato equilibrio e provocando gravi conseguenze per il ritorno alla normalità in Iraq e in Siria.

Anziché saccheggiare e rubare elementi culturali preziosi di per sé, lo Stato Islamico, in apparenza, sta permettendo che i propri abitanti scavino in cerca di tesori sepolti. I terroristi allora raccolgono imposte su qualsiasi cosa trovino gli abitanti. Ciò che i locali fanno in seguito con quanto scoperto è un’incognita.

“Lo Stato Islamico sembra incentivare l’esportazione clandestina di reperti archeologici, che si concentra soprattutto alla frontiera tra la Siria e la Turchia, vicino Tel Abyad, una roccaforte dello Stato Islamico”, dicono gli autori dell’articolo, gli antropologi Amr Al-Azm, dell’Università di Shawnee, e Salam al-Kuntar, dell’Università della Pennsylvania, oltre a Brian Daniels, direttore delle ricerche e dei programmi del Centro del Patrimonio Culturale della Pennsylvania, di questa stessa università. “Ci sono ragioni per sospettare che lo Stato Islamico abbia approvato e incentivato il commercio transfrontaliero di antichità. Istituzionalizzando questo sistema, che fornisce allo Stato Islamico un’altra delle sue tante fonti di reddito, il gruppo provoca danni irreparabili al patrimonio culturale siriano”.

Gli autori argomentano che l’interruzione del commercio illecito è imprescindibile perché “mette a rischio la possibilità della stabilizzazione post-conflitto e della riconciliazione. In Siria, il patrimonio culturale fa parte della vita quotidiana. I siriani vivono in città e quartieri antichi, pregano in moschee e chiese storiche e fanno acquisti in bazar che sono lì da secoli. Se e quando finirà la guerra, questo patrimonio sarà
fondamentale per aiutare il popolo siriano a ricollegarsi ai simboli che lo uniscono nella diversità religiosa e politica”.

Assiriologi, archeologi e antropologi non sono le uniche persone preoccupate per ciò che si può perdere in Medio Oriente come conseguenza del terrore attuale. Anche un batterista di punk rock è piuttosto allarmato. Jason Hamacher, ex membro della band Frodus, ha iniziato ad andare ad Aleppo, in Siria, nel 2006 per fotografare e documentare la vita di monaci ortodossi siriani che conservavano un cantico con 1800 anni di storia e che non era mai stato scritto né registrato. Questa eredità culturale di valore incalcolabile veniva trasmessa oralmente dai tempi in cui il cristianesimo ha iniziato a fiorire nella regione.

Con la guerra, però, per quanto tempo questa tradizione potrà ancora sopravvivere? Secondo il blogger Rod Dreher, la musica ad Aleppo “è sopravvissuta dall’inizio della Chiesa, ma ora può morire come tradizione viva e continua”.

Uno dei pochi sacerdoti che conoscevano tutto il corpus di questo cantico può essere tra i tanti assassinati dal terrore che sconvolge quelle parti del mondo. In una delle sue visite in Siria, Hamacher è stato ospite del vescovo siro-ortodosso Yuhanna Ibrahim, che non molto tempo dopo è stato sequestrato insieme all’arcivescovo greco-ortodosso Paul Yazici, con il quale tornava da una missione umanitaria. Il sequestro è avvenuto nell’aprile 2013, e nessuno dei due vescovi è stato più visto da allora.

La voce di monsignor Yuhanna è conservata in una delle registrazioni di Hamacher.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

Tags:
cristiani perseguitati in iraqiraqisis
Top 10
See More