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I consigli di Gesù per lottare contro lo spreco alimentare

FOOD TRASH

Andrey_Popov | Shutterstock

Edifa - pubblicato il 16/10/20

Se gli uomini continuano a morire di fame, anche se la Terra può nutrire fino a nove miliardi di persone, abbiamo tutti la responsabilità di cambiare le cose. Certo, questo richiede uno sforzo di attenzione e di rinuncia, ma è la via del Vangelo.

di Bénédicte de Saint Germain

In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, questo 16 ottobre, interroghiamoci sul nostro modo di consumare. In un momento in cui migliaia di persone muoiono di fame nel mondo, come possiamo cambiare il nostro modo di vivere e di consumare? Risponde padre Olivier Lebouteux, professore francese di Sacra Scrittura.

Ogni anno buttiamo numerosi chili di rifiuti alimentari. Perché questa disinvoltura?

Lo spreco alimentare può derivare da una perdita di consapevolezza del valore delle cose. Quando Gesù racconta la parabola dell’amministratore disonesto (Lc 16,1-8), invita i Suoi interlocutori a riflettere sul loro rapporto con il denaro. La missione di un amministratore consiste nell’amministrare dei beni che non possiede. Tuttavia, questo amministratore senza scrupoli li dissipa, segno che non ne misura il vero valore. Quando il proprietario gli chiede di rendere conto del suo lavoro e gli ritira la gestione del suo patrimonio, si fa delle domande ed esamina altre possibili attività (lavorare, chiedere l’elemosina…), poi si arrende, non sentendosi in grado. Ritorna alla sua professione originaria, l’amministratore, e prende coscienza del valore dei prodotti come l’olio e il grano che hanno richiesto del lavoro da parte dei loro produttori.

Nella parabola del figliol prodigo, troviamo un’osservazione simile: “Sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto” (Lc 15,13). Poiché la sua eredità non gli richiese alcuno sforzo da parte sua, non ne misurò il valore e la sprecò. Lo spreco può anche essere dovuto alla mancanza di fiducia nella sollecitudine del Padre, che sa invece di cosa abbiamo bisogno. Gesù ha detto: “Per questo io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il corpo, di quello che indosserete. La vita infatti vale più del cibo e il corpo più del vestito” (Lc 12,22-23).

Ad un livello più profondo, lo spreco spesso deriva dalla paura di una mancanza e quindi da una paura per il futuro che si riduce alla paura della morte. Siamo invitati ad interrogarci su questo comportamento e a superare le nostre paure, non tanto per dimostrare coraggio, ma per dimostrare la nostra fiducia in Dio.

Qual è il legame tra la paura del domani e lo spreco?

L’accumulo. Gesù lo illustra con la parabola del ricco che costruisce granai sempre più grandi per conservare tutte le sue provviste. Quest’uomo dice a sé stesso: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. (Lc 12,16-21). È “stolto” non tanto perché non ha tenuto conto della propria morte (chi può prevederne la data infatti?), ma perché non potrà nemmeno beneficiare di ciò che ha, né potrà condividerlo con gli altri.

Da qui l’invito a guardare ai nostri beni da una nuova prospettiva: quella di dover lasciare tutto un giorno. Questo dà più intensità alla vita: non più spesa in progetti casuali, ma nella forza del momento presente, cercando prima di tutto il Regno di Dio.

Quando abbiamo troppo, buttare non diventa comprensibile?

No! Lo spreco è motivo di scandalo, soprattutto per i più poveri. È inaccettabile gettare qualunque cosa quando sappiamo che hanno fame. Nel racconto della moltiplicazione dei pani (Mt 14,13-21), i resti raccolti indicano la volontà di Gesù di non buttare via nulla del pane e del pesce. Queste sette o dodici ceste (a seconda delle narrazioni) indicano che il dono di Dio nella Sua sovrabbondanza è destinato ad essere trasmesso e condiviso con coloro che non erano presenti o che verranno dopo. Il gesto di Gesù deriva dalla Sua percezione di un bisogno in questa folla. Non vuole mandare le persone a casa a digiuno, e compie un miracolo a partire da ciò che è disponibile e direttamente accessibile.

Possiamo sperimentare questa necessità, questa mancanza, quando decidiamo di digiunare. La privazione volontaria ci rende più sensibili ai bisogni di chi non ha il necessario. Ci apre all’attenzione e alla condivisione di ciò che abbiamo di disponibile. Possiamo anche constatare che spesso consumiamo al di là dei nostri bisogni.

Non è catastrofico mancare, o essere un po’ affamati, ma è una cosa grave buttare via. Se la gente continua a morire di fame quando la Terra potrebbe sfamare fino a 9 miliardi di persone, abbiamo tutti una responsabilità di cambiare le cose. Certo, questo richiede uno sforzo di attenzione e di rinuncia, ma questa è la via del Vangelo. Fare uno sforzo sul cibo è già un atto di carità: il digiuno è sempre associato all’elemosina.

La lotta contro lo spreco inizia, quindi, con una presa di coscienza personale?

Sì, non c’è bisogno di dare la colpa alla società, alle strutture o ai regolamenti. Certo, un’azione deve essere intrapresa a livello della società e degli stati; ma ogni cristiano è invitato ad un impegno personale: “Questo è ciò che si deve fare, senza trascurare il resto” (Mt 23,23).

Il nostro modo di vivere e di consumare deve essere convertito. Lo spreco segnala un modo di consumare che è malato e deve essere guarito. La consapevolezza inizia con il cibo quotidiano, il più essenziale. Poi potremo riflettere su come utilizzare l’acqua, l’elettricità, ma anche i beni di consumo (nuove tecnologie, mobili, ecc.). La lotta contro lo spreco alimentare è semplice da attuare, senza sconvolgere il nostro stile di vita, a condizione di essere vigilanti.

Cominciamo quindi a considerare il nostro consumo di pane, l’elemento base dell’alimentazione mondiale, che spesso troviamo, ahimè, nelle nostre pattumiere. Prendiamo la ferma decisione di non buttare più via il pane, come obiettivo non negoziabile, da conservare per tutta la vita. Forse una sera mangeremo del pane duro, ma almeno non lo avremo sprecato.

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