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Quella volta che san Martino… sopravvisse al veleno (2/3)

MARTIN OF TOURS

Abmg-(CC BY-SA 3.0)-

Anne Bernet - pubblicato il 11/11/21

L’11 novembre i cristiani festeggiano san Martino di Tours, il militare misericordioso di cui nella sola Francia circa 500 chiese portano il nome. Aleteia vi racconta tre disavventure attraversate vittoriosamente dall’ex militare: la seconda è ambientata su un’isola deserta.

Malgrado tutti i pericoli incontrati lungo la strada che doveva portarlo in Ungheria, dove si recava ispirato da un sogno, nonostante una conversazione col demonio – venuto in persona per dissuaderlo – Martino finì per giungere a Sabaria, ma nella sua città natale le cose non andavano bene come lui sperava. 

Sì, è vero: la madre lo ascoltò e chiese il battesimo, ma il padre – che già l’aveva rinnegato e consegnato alla polizia militare – stava invecchiando e s’era sclerotizzato nell’odio per i cristiani. Non volle avere nulla a che fare con quel figlio degenere che non solo aveva rinnegato i numi aviti, ma neppure era stato capace di aderire almeno alla confessione ariana, cioè a quella in quel momento tenuta dal trono imperiale. Del resto, dopo pochi mesi le autorità locali – contrariate al vedere Martino riportare troppa gente alla fede cattolica – lo fecero espellere da Sabaria dopo averlo fatto bastonare in pubblica piazza. 

Esiliato su un’isola deserta 

Martino riprese la via per le Gallie ma, arrivato a Milano, vi apprese che il suo vescovo, Ilario, campione della lotta contro l’eresia ariana, era stato deposto ed esiliato in Oriente. Stando così le cose, che senso aveva tornare a Poitiersi? Martino si stabilì a Milano e tentò di risollevare gli animi dei cattolici, perseguitati dal vescovo ufficiale, l’ariano Aussenzio. Al quale bastò poco tempo per farsi saltare la mosca al naso per la predicazione dell’ultimo arrivato: anche qui dunque si richiese la messa al bando di Martino. 

Volontariamente o (più probabilmente) per via di condanna giuridica, Martino e un prete milanese cattolico furono spediti su un’isola nel golfo di Genova, l’isola Gallinara, un brullo isolotto popolato solo di uccelli marini. I due chierici si consolarono dicendosi che perlomeno sarebbero sfuggiti alla frequentazione degli eretici, e che lì avrebbero potuto condurre una vita simile a quella dei Padri del deserto egiziano, tenuti in tanto grande onore dalla Chiesa. Avendo letto la Vita di Antonio, il best-seller di Atanasio di Alessandria, Martino sapeva bene come quegli amici di Dio vivevano: nella preghiera continua, nella macerazione e nel digiuno, che non rompevano se non per assumere pochi legumi lessi coltivati nei propri orti. 

Un’insalata di elleboro 

Solo che non c’erano orti – non ancora –, a Gallinara, e ci sarebbe voluto del tempo per farne spuntare. Poiché nell’attesa bisognava pur mangiare qualcosa, i due raccolsero e mangiarono quel che poterono trovare sull’isola. Cittadini entrambi, Martino e il suo amico non sapevano granché di botanica, e quindi raccolsero un po’ tutto quello che sembrò loro commestibile. Non senza rischi… Un giorno Martino si fece un’insalata di elleboro, erba medicinale che, in dosi consistenti, si rivela tossica. Poco dopo, ovviamente, si contorceva per gli spasmi addominali: sfatto dalle nausee, in un bagno di sudore e in preda a terribili vertigini. Intossicato e morente… un altro sarebbe stato preso dal panico, ma non lui. Ricordandosi della promessa di Cristo ai discepoli, quella secondo la quale avrebbero potuto prendere i serpenti a mani nude e sopravvivere illesi all’assunzione di veleni, Martino s’inginocchiò e si mise a pregare ardentemente. E gli effetti tossici dell’elleboro si dissiparono senza nuocergli oltre. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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san martinosanti e beati
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