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Affidate a un monastero contemplativo le preghiere per i vostri cari defunti

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Matilde Latorre - pubblicato il 03/11/21

Il vescovo di Avila, monsignor José María Gil Tamayo, parla del servizio che le religiose e i religiosi di clausura offrono alla Chiesa e al mondo affidando le nostre preoccupazioni a Dio

In occasione della commemorazione dei fedeli defunti, Aleteia sta dando l’opportunità ai suoi lettori di condividere le loro intenzioni di preghiera, in questa occasione con il Monastero dell’Incarnazione di Avila (Spagna).

La comunità delle Carmelitane Scalze in cui ha vissuto per trent’anni Santa Teresa di Gesù affiderà le intenzioni dei nostri lettori nella Messa che si celebrerà il 2 novembre.

Nessuno meglio di monsignor José María Gil Tamayo, vescovo di Avila e noto esperto di comunicazione, può aiutarci a valorizzare il servizio che le religiose e i religiosi contemplativi offrono alla Chiesa e al mondo.

Monsignor José María, che senso ha nella nostra società iperattiva e ipertecnologica che degli uomini e delle donne dedichino la loro vita a pregare per la Chiesa e il mondo?

Sono un promemoria della presenza di Dio nel nostro mondo secolarizzato. Purtroppo si vuole eliminare Dio dall’orizzonte, nasconderlo. Si vogliono relegare i credenti all’ambito della vita privata o all’interno delle sagrestie. La presenza dei contemplativi e delle contemplative è un promemoria del primato di Dio, del fatto che Dio è ciò che conta di più. E questo è positivo. È particolarmente necessario. Abbiamo bisogno di questi promemoria della presenza di Dio. Bisogna rivendicare questa presenza della vita contemplativa, dei monaci e delle monache. Senza Dio non si ha nulla. Ricordandocelo, i contemplativi non solo diventano un modo per levare un grido silenzioso a Dio pregando per il nostro mondo, per la gente, ma ci ricordano anche che Dio ci ama, ci perdona, ci ha salvati nel Suo Figlio Gesù, ci abbraccia e ci porta alla pienezza.

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Crede che il mondo cattolico sia realmente consapevole del valore che apportano contemplativi e contemplative con la loro preghiera costante per l’umanità?

Credo che si siano persi gradi di questa consapevolezza della vita contemplativa, forse per la secolarizzazione interna che ha interessato la Chiesa stessa. Papa Francesco ci chiede di essere evangelizzatori con spirito, in pienezza. Senza i contemplativi e le contemplative, senza i monasteri, non staremmo vedendo la pienezza cristiana. Credo quindi che si debba rivendicare il ruolo delle monache di clausura, dei monaci, nella vita reale. È importantissimo. Dobbiamo essere portavoce nelle parrocchie, nelle associazioni, nelle famiglie, nelle scuole, di questa chiamata di Dio: Dio chiama le anime perché si dedichino alla vita contemplativa.

AVILA

Con questa campagna stiamo invitando chiunque a condividere le sue intenzioni di preghiera in occasione della Commemorazione dei Fedeli Defunti a più di un anno dall’inizio della pandemia. Anche lei affida le sue intenzioni di preghiera ai monasteri della sua diocesi?

Sì, lo faccio perché ne ho bisogno. Il vescovo è colui che ha più bisogno di preghiere per il suo ministero, e anche per la vita della comunità cristiana. Io sono fortunato, perché nella nostra diocesi ho quindici monasteri, cinque dei quali Carmeli di Teresa di Gesù. A loro chiedo di pregare, di intercedere per le nostre tante necessità. Lo abbiamo sperimentato particolarmente quest’anno: sentire il suo aiuto, sentirsi rafforzati, sentirsi nelle mani di Dio… Gesù ci dice “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. Ci ha anche detto che dove due o tre si uniscono per chiedere qualcosa al Cielo ce lo concederà.

In un momento simile, questa iniziativa a favore dei defunti è necessaria. La Sacra Scrittura ci dice che se non credessimo sarebbe inutile pregare per i nostri defunti. Non possiamo dimenticare i nostri defunti. È un dovere di giustizia e di carità. Chiediamo per loro la visione di Dio, che è la pienezza a cui ci incamminiamo in modo pieno nella resurrezione finale. Chiediamo per loro e al contempo sentiamo il colpo della morte, il vuoto, la nostalgia, che è una forma di affetto.

Questo ora si trasforma non solo con l’abbellimento dei cimiteri, ma con la preghiera, e soprattutto con il sacrificio rinnovato di Cristo.

I contemplativi e le contemplative si offrono per noi senza chiedere niente in cambio. In che modo un cattolico può collaborare in modo attivo e tangibile con i monasteri?

Direi che in primo luogo la preghiera dev’essere reciproca. Il fatto che ci sia vita contemplativa, che ci siano monasteri, non ci esime dal primato della preghiera, che è il primato di Dio. E pregare deve far parte della nostra vita. Gesù ci insegna la preghiera più bella, che è il Padre Nostro. Ci chiede di pregare incessantemente. In primo luogo serve la preghiera: pregare per loro, perché i monasteri contemplativi abbiano quel rinnovamento di vocazioni tanto necessario. È molto importante. Vari monasteri stanno chiudendo per l’invecchiamento dei loro membri. Servono giovani.

Questo accade quando viviamo come se Dio non esistesse, quando Dio viene escluso dalla vita ordinaria, quando si mette in primo piano semplicemente l’avere, quando si dimenticano la nostra ragion d’essere e le ragioni della fede, quando si perde il senso della vita.

Per questo è importante il contributo delle famiglie, necessarie nell’educazione alla vita contemplativa come un orizzonte non dico professionale, ma di donazione di vita. È l’apporto migliore.

E poi c’è l’elemosina, che è sicuramente importante. Ne hanno bisogno. In quell’“ora et labora” basico della vita monacale rientra anche il fatto di guadagnarsi da vivere. Aiutarli è importante.

Riassumendo: possiamo contribuire soprattutto con la preghiera, con una cultura vocazionale che esorti altri a seguire quella chiamata di Dio a dedicarsi alla preghiera, alla contemplazione, al mistero di Dio, testimoniando la Resurrezione di Gesù, ma l’affetto che nutriamo per i monasteri deve passare anche per il portafogli.

Come vescovo di Avila, quale crede che sia il messaggio che ci darebbe Santa Teresa se vivesse oggi, nel 2021? 

Cambierei il tempo verbale. Non direi “se vivesse oggi”, ma “vive oggi”. Vive nei monasteri, vive ogfgi nelle sue figlie, nei suoi scritti e con la presenza della comunione dei santi.

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Il messaggio che ci offre è quello di sempre: quello che ci ha dato nei suoi scritti, come «maestra di spiritualità», come l’ha definita Papa San Giovanni Paolo II. Ci direbbe che “solo Dio basta”: il primato di Dio, la vita di preghiera, poter parlare con Dio.

Papa Francesco mi ha scritto una lettera in occasione del congresso per il 50° anniversario della proclamazione di Santa Teresa di Gesù come Dottore della Chiesa, in cui ci dice che Santa Teresa “continua a parlare oggi attraverso i suoi scritti, e il suo messaggio è aperto a tutti, perché conoscendolo e contemplandolo ci lasciamo sedurre dalla bellezza della parola e dalla verità del contenuto, e possa far sbocciare dentro di noi il desiderio di avanzare sulla via della perfezione”.

“Averla come amica, compagna e guida nel nostro pellegrinaggio terreno conferisce sicurezza e tranquillità all’anima. Il suo esempio non è solo per quei nostri fratelli e quelle nostre sorelle che sentono la chiamata alla vita religiosa, ma per tutti coloro che desiderano progredire sulla via della purificazione da ogni mondanità, e porta al fidanzamento con Dio, alle dimore elevate del castello interiore”.

Questo è il messaggio di Teresa, di sempre.

E non dimentichiamo di pregare per i nostri defunti. È un dovere di giustizia e di carità cristiana.

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