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Sacerdote esorta i confratelli sacerdoti a rispettare la formula dell’assoluzione

CONFESSION

Philippe Lissac | Godong

José Miguel Carrera - pubblicato il 05/08/21

“Spesso ricevo messaggi di fedeli preoccupati della validità delle loro Confessioni”

Padre Wellington José de Castro ha esortato i suoi confratelli sacerdoti a rispettare la formula dell’assoluzione nel sacramento della Confessione:

“Sacerdoti, per favore, usate la formula dell’assoluzione prevista nel rituale!”

Riproduciamo il commento pubblicato via rete sociale dal sacerdote brasiliano, che è dell’arcidiocesi di Campo Grande ma attualmente si trova in Italia:

“Ci sono due situazioni che mi preoccupano, e credo che accada lo stesso ai miei confratelli sacerdoti. Molto, molto spesso, ricevo messaggi di fedeli preoccupati per la validità delle loro Confessioni per il fatto che il sacerdote altera la formula dell’assoluzione. Questa pratica è purtroppo molto comune. Qualche settimana fa, ad esempio, sono andato a confessarmi e il mio confessore abituale non c’era. Sono andato in un’altra chiesa e mi sono confessato con un altro sacerdote. Al momento dell’assoluzione, ha semplicemente recitato la preghiera di assoluzione dell’atto penitenziale della Messa. Ho chiesto con rispetto che recitasse l’assoluzione sacramentale. Ha protestato, ma lo ha fatto. Molto probabilmente usa sempre quella formula inadeguata e… sbagliata! Una cosa, però, è la validità, e un’altra la liceità. I canonisti e i moralisti non sono unanimi al riguardo, ma la maggior parte afferma che per la validità dell’assoluzione si richiede certamente che il sacerdote pronunci come minimo queste parole: ‘Io ti assolvo dai tuoi peccati’, anche se poi il sacerdote aggiunge altri elementi, come ‘da tutti i tuoi peccati’, o omette l’invocazione finale alla Santissima Trinità (il che, ne conveniamo, è rarissimo)”.

La formula dell’assoluzione

Il sacerdote prosegue:

“Per alcuni autori, per la validità della Confessione sarebbero sufficienti le parole ‘Io ti assolvo’, visto che indicano sia il soggetto che viene assolto che l’assoluzione del debito da lui contratto peccando. In effetti, la parola ‘assolvo’, pronunciata da un sacerdote dotato del potere di perdonare peccati in nome di Dio, ha di per sé la forza per indicare lo scioglimento dal vincolo dei peccati, pur non esprimendolo in modo diretto ed esplicito.

Allo stesso tempo, è illecito e ingiustificabile usare un’altra formula diversa da quella che prevede la Chiesa, ovvero: ‘Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del padre e del Figlio e dello Spirito Santo‘ (Rituale Romano, Rito della Penitenza).

È vero che l’azione di Dio va al di là dei sacramenti, e che i fedeli contriti e che desiderano riconciliarsi con il Signore e recuperare la grazia non meriterebbero che avvenisse una cosa del genere per trascuratezza/malafede/impreparazione/errore del sacerdote. Per questo, soprattutto, credo nella validità (anche se c’è illiceità) di queste Confessioni”.

Penitenti impreparati

“L’altra situazione che mi preoccupa (e qui in Italia l’ho vista spesso, e non che non l’avessi già vista in Brasile) è il penitente che arriva al confessionale senza sapere cos’è andato a fare, senza aver compiuto un esame di coscienza e senza saper discernere cos’è peccato e cosa non lo è.

Non è raro sentire ‘Padre, mi dica lei cosa devo fare’, al che rispondo sempre: ‘Io conosco e accuso solo i miei peccati’. O quando percepiamo chiaramente che manca sincerità al momento di accusare i peccati, si confessano i meno gravi nascondendo quelli più ‘pesanti’, e noi, come confessori, dobbiamo ‘spingere’ per vedere quello che c’è. Anche quelle Confessioni sono passibili di invalidità, perché mancano la coscienza, la verità, l’umiltà e il pentimento sincero. Se non si confida nel valore del Sacramento o si fa solo per avere la coscienza tranquilla, una o due volte all’anno, non si confida nella Misericordia di Dio, che può e vuole perdonare tutte le nostre mancanze.

Questo senza contare il fatto che molti sacerdoti non impongono ai fedeli, alla fine dell’accusa dei peccati, la penitenza (che dà il nome al sacramento) o soddisfazione, che appartiene all’integrità della Confessione e dev’essere compiuta dal penitente più rapidamente possibile dopo la liturgia sacramentale.

Insomma, c’è molto da dire su questo argomento così delicato. In questa sede ho espresso solo un pensiero partendo da esperienze personali e pastorali.

Sacerdoti, per favore, usate la formula dell’assoluzione prevista nel rituale! Per il bene delle anime, per non provocare dubbi. Impararla a memoria è semplice. Non trascuriamo i sacramenti!”

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