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Madri che uccidono i propri figli in Senegal. Perché?

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Di CatherineLProd|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 04/08/21

Sono spesso giovani donne, non sposate. Si ritrovano con un figlio che sanno condannerà loro e sé stesso all'esclusione sociale e ad abusi. Uccidono per disperazione. Ma l'aborto libero non può essere la risposta.

Gli infanticidi delle madri senegalesi

Si dirà che è soprattutto un problema culturale e che se le giovani madri senegalesi arrivano ad uccidere i loro figli appena nati è perché non hanno accesso all’aborto.

E non è la stessa cosa? l’uccisione di un figlio, solo prima che nasca, perché non nasca.

Lo riporta Vanity Fair ma prende le mosse da studi pubblicati sul fenomeno che si verifica non solo in Senegal ma anche in altri stati africani subsahariani.

Gravidanze fuori del matrimonio e stigma sociale

Sono soprattutto quelle che rimangono incinte senza essere sposate a uccidere i loro piccoli: le ragioni principali per cui lo fanno sono la vergogna e la mancanza di un sostegno economico.

VanityFair

Il settimanale fa una considerazione interessante, prima di ripiegare sul tema aborto legale e accessibile come antidoto a questo crimine.

La fine di una tradizione

Le donne senegalesi avevano una ricca tradizione in tema di conoscenza della propria fertilità, di sessualità femminile e di distanziamento delle gravidanze. Era la zia più anziana che istruiva le ragazze ma ora questo formazione legata anche a riti di passaggio va scomparendo e con essa la consapevolezza nelle donne della propria fertilità e la possibilità quindi di decidere.

Capitano allora gravidanze indesiderate a donne giovani sessualmente attive (che espressione discutibile però è questa) ma non sposate.

«Qui, avere un figlio fuori dal matrimonio è qualcosa di serio e molto mal visto dalla società», spiega l’imam Mbaye Niang, deputato all’Assemblea nazionale del Senegal. «Le donne che si trovano in questa situazione preferiscono soffocare i loro bambini piuttosto che subire le pressioni della società».

Vanity Fair

Aborto e infanticidio sono puniti penalmente; ci sono donne detenute per reati simili già accertati o in via cautelare per il sospetto che se ne siano macchiate.

 L’aumento significativo del fenomeno è ricondotto dalle stesse donne delle comunità rurali, che più di tutte patiscono lo stigma sociale in caso di gravidanza fuori del matrimonio, alla perdita della trasmissione di conoscenze e metodi di contraccezione e di regolazione della fertilità che prima era assicurata da riti di passaggio ben precisi e periodi di vera e propria formazione.

Le Bois Sacré , o bosco sacro, era al centro dei riti per i ragazzi e le ragazze che raggiungevano la pubertà. Tra la rapida modernizzazione e urbanizzazione, questa tradizione è praticamente scomparsa, con le ultime cerimonie di massa avvenute nel 1968. Le ragazze, sotto la guida della Badiane , si recavano fino a tre mesi nei boschi sacri dove partecipavano a cerimonie e conoscere le mestruazioni e la sessualità e scoprire metodi alternativi di contraccezione. La perdita di un rito di passaggio così importante è spesso citata come una ragione per cui le donne hanno meno controllo sulla loro fertilità.

The Guardian

Violenze ed emarginazione prima dell’epilogo tragico dell’infanticidio: storie vere

Le storie riprese dal settimanale italiano vengono da un servizio, pubblicato su The Guardian, della fotografa Maroussia Mbaye che ha incontrato e ascoltato alcune di queste donne colpevoli di infanticidio, ma vittime di fortissime pressioni sociali. Con il venir meno di questa tradizione, nel senso letterale del termine di consegna di saperi e valori, in merito alla sessualità e alla fertilità, secondo il servizio della rivista britannica, si è andato

sminuendo il ruolo e il posto delle donne nella società, con conseguenze drastiche per le ragazze e le loro scelte sessuali. La generazione più anziana conosce i metodi tradizionali di contraccezione e aborto e molte donne intervistate hanno affermato di essersi sentite abbandonate dai loro anziani perché le loro madri e nonne avevano smesso di trasmettere queste informazioni. In Senegal, l’aborto è disponibile solo se la vita di una donna è considerata a rischio e la contraccezione è costosa.

The Guardian

Le donne detenute per infanticidio che Maroussia Mbaye ha avvicinato le hanno raccontato che la soppressione dei figli era per loro l’unico orribile modo per uscire da povertà ed esclusione, perché la donna che concepisce fuori del matrimonio è l’unica colpevole per la mentalità popolare prima che per i tribunali.

La storia di Fatima

Fatima* (nome di fantasia, Ndr) ha 40 anni. Ha scontato cinque anni di carcere per aver ucciso sua figlia appena nata (…).

Nella sua piccola comunità religiosa su un’isola nel sud del Senegal, si innamorò e a 18 anni rimase incinta e nubile. Nonostante le pressioni esterne e lo stigma, decise di tenere il bambino. Il padre di suo figlio, un marinaio, non fu mai più visto. Dice che lei e suo figlio hanno subito abusi quotidiani nella loro comunità.

Ibidem

La sua vicenda prosegue di violenza in violenza; costretta al matrimonio con un uomo molto più vecchio di lei ha avuto altri 4 figli. Bandita da casa per aver osato chiedere il divorzio, le sono stati tolti tutti i figli. Rifugiatasi nella capitale inizia a lavorare come domestica per mantenersi, chiede aiuto ad un capo religioso del posto ma ne subisce violenza e resta di nuovo incinta.

Teme per il figlio lo stesso destino di vita da reietto, non sa che fare. E’ tragico pensare che lasciarlo morire sia stata la sua unica opzione; partorisce in un vicolo piano di immondizia la sua creatura, che è una femmina. Resiste tre giorni allattandola e tenendola nascosta ai datori di lavoro, infine la uccide soffocandola.

Davanti a tanto orrore non può che sorgere in chi vi si imbatte la stessa dose di sdegno per la solitudine e il degrado in cui è stata costretta e pietà per la miseria fisica e morale in cui si è ritrovata a compiere, con le proprie mani, un’azione tanto grave e irreparabile.

Per ridurre gli infanticidi non servono più aborti

C’è anche un’altra faccia di questa e altre storie: l’approccio occidentale nel senso progressista e secolarizzato) al problema. Ci sono studi che ipotizzano l‘incidenza della mancanza di una legislazione libera sull’aborto sul numero di infanticidi. Ovvero, se i figli si possono sopprimere prima, nel ventre materno e in un ambiente ospedaliero, non saremo costretti a vedere bambini buttati nelle discariche – nella discarica di Mbeubeuss sono spesso bambini o ragazzi a trovare i cadaveri dei neonati soffocati o uccisi per abbandono dalle madri disperate.

Lo studio

Abbiamo ipotizzato che la legge sull’aborto in Senegal, una delle più restrittive al mondo, contribuisca direttamente all’incidenza dell’infanticidio. Abbiamo condotto un’indagine quantitativa su 1016 donne in età riproduttiva che vivono in Senegal e interviste approfondite con un sottocampione di 28 partecipanti.

I partecipanti hanno visto esplicitamente l’infanticidio come un risultato diretto delle severe restrizioni legali sull’aborto in Senegal, così come le potenti norme sociali che dettano ciò che è considerato accettabile contro la gravidanza inaccettabile nel paese. I risultati supportano l’ipotesi che le leggi e le politiche sull’aborto contribuiscano al verificarsi dell’infanticidio in Senegal e suggeriscono la necessità di ulteriori ricerche mirate per comprendere meglio questo collegamento e come i risultati possono essere utilizzati per informare la riforma delle politiche. annegamento o altri mezzi. 

PubMed, dicembre 2019

Certo il tema è complesso ma i suoi termini, in realtà, sono semplici: per ridurre gli infanticidi non servono più aborti – che sono di fatto la stessa pratica, solo anticipata; serve la difesa della famiglia, la formazione della donna sulla propria fertilità, l’educazione dei ragazzi, la promozione della dignità della persona umana. E risorse economiche, magari impegnate su questi fronti e non per ampliare strutture in cui si possano praticare interruzioni di gravidanza.

Tertium datur

Anche in Senegal nella tragica fotografia di questo aut aut spunta un dettaglio che fa la differenza, un luogo e un modo di trattare le persone, donne e bambini in primis, che scardina i termini di questo dilemma: la Chiesa con le sue opere di carità a favore di donne, bambini, orfani.

Il Pouponnière di Dakar è stato fondato nel 1955 per aiutare gli ospedali sopraffatti e fornisce assistenza a bambini abbandonati o orfani. Gestito da suore cattoliche romane, ha curato 4.150 neonati; Di cui 3.496 orfani, 550 adottati o in via di adozione e 104 deceduti. Oggi, il Pouponnière – uno dei pochi orfanotrofi del paese – si prende cura di circa 86 bambini all’anno, anche se poche donne senegalesi rurali sanno che esiste un posto del genere.

Ibidem

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